Medio Oriente

La Svizzera e il riconoscimento dello Stato palestinese: «Non ci sono le condizioni»

Berna prende atto della decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia e ribadisce: non è il momento giusto – Il professore di diritto internazionale Edoardo Greppi: «L’incertezza giuridica sulla questione lascia maggiore spazio al giudizio politico»
©ALI ALI
Francesco Pellegrinelli
22.05.2024 20:30

«L’aspetto più rilevante della decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia di riconoscere lo Stato palestinese  è che questi sono Paesi europei, due dei quali membri dell’UE». In generale, però, spiega Edoardo Greppi, professore di Diritto internazionale all’Università di Torino, «si tratta di un atto politico discrezionale». Un’azione che il diritto internazionale definisce «meramente lecito». Insomma, fa parte del rapporto tra Stati riconoscere, o non riconoscere, un altro Stato. Greppi cita alcuni illustri esempi storici, come le due Germanie, che fino al 1963 non si riconoscevano reciprocamente. «Eppure nessuno mette in dubbio che entrambi gli Stati esistessero anche prima di quella data». Stesso discorso per la Repubblica popolare cinese. Gli Stati Uniti hanno iniziato a riconoscere il Governo di Pechino come legittimo solamente nel 1979. «Il riconoscimento di uno Stato è un atto meramente politico, con cui un Governo decide di entrare in relazione con un altro Stato».

Tornando alla decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia, non è però affatto scontato che questo riconoscimento avvenga in una fase storica così delicata, nel pieno di un conflitto e all’indomani della decisione del procuratore capo della Corte penale internazionale (CPI) di chiedere mandati d’arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Yoav Gallant. «Ciò che emerge è la complessità crescente delle relazioni internazionali. Sicuramente, la decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia dimostra che è in atto un’accelerazione sulle dinamiche del Medio Oriente e, in particolare, sulla questione palestinese».

Tra le valutazioni politiche che entrano in linea di conto nella decisione di uno Stato di riconoscere la Palestina, spiega ancora Greppi, c’è il riconoscimento dell’Autorità nazionale palestinese (ANP), l’organismo politico di autogoverno formato nel 1994, in conseguenza degli accordi di Oslo, per amministrare la Striscia di Gaza e le aree della Cisgiordania. «Ma l’ANP è davvero un’autorità nel senso tecnico e giuridico del termine? Secondo alcuni sì, secondo altri no. L’obiezione dei contrari è che l’Autorità nazionale palestinese non esercita pienamente i poteri sovrani su una parte di territorio ben definita, in quanto su questi stessi territori vi è anche l’esercizio dell’autorità dello Stato israeliano». La valutazione, poi, è resa ancora più complicata dalla presenza, nella Striscia di Gaza, di Hamas, che parte della comunità internazionale considera un’organizzazione terroristica. «Eppure Hamas controlla, parzialmente, la Striscia». Insomma, l’incertezza giuridica è così vasta che lo spazio discrezionale per il giudizio politico, circa l’esistenza dello Stato di Palestina, aumenta. «In questo spazio c’è chi ritiene che vi siano elementi sufficienti per andare verso il riconoscimento e chi no».

Berna: sì ai due Stati ma...

Tra questi figura anche la Svizzera che ieri ha ribadito la sua posizione ricordando che «Berna sostiene da anni la creazione di uno Stato palestinese sovrano (sulla base dei confini del 1967) che viva fianco a fianco con Israele in pace e sicurezza». Al momento, però, «mancano le condizioni» per procedere in questa direzione. A metà aprile, la Svizzera si era già astenuta dal voto in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sull’adesione della Palestina all’ONU. In quell’occasione, Berna aveva dichiarato che tale adesione «non era appropriata per contribuire a un rasserenamento della situazione in Medio Oriente». In definitiva, quindi, la Confederazione ieri si è limitata a prendere atto della decisione di Spagna, Irlanda e Norvegia, dichiarando che «prenderà in considerazione tale riconoscimento solo se potrà contribuire concretamente al processo di pace in Medio Oriente». Sulla complessità, «spesso a geometria variabile», del riconoscimento dello Stato palestinese, Greppi ricorda che «la Palestina fa parte dell’UNESCO, un’organizzazione dell’ONU. Allo stesso tempo, però, la Palestina non è riconosciuta come Paese membro dell’ONU, pur avendo uno status all’interno dell’Assemblea generale». Assemblea che, lo scorso 10 maggio, ha approvato una risoluzione che attribuisce più diritti ai palestinesi in seno all’ONU. «È un altro segnale politico: non si riconosce l’adesione all’ONU, ma si estendono i diritti a partecipare ai lavori dell’Assemblea generale».

I limiti della diplomazia

Che cosa accadrebbe, invece, se la Palestina diventasse, a tutti gli effetti, Paese membro dell’ONU? Ancora Greppi: «Diventerebbe uno Stato membro al pari di Israele, Stati Uniti o le isole Seychelles. Diventerebbe il 194. Paese delle Nazioni Unite». Con quali effetti concreti sulla creazione dello Stato? «Diciamo che il percorso politico da seguire sarebbe comunque un altro. Prima lo Stato deve nascere. Poi eventualmente può essere ammesso dalle Nazioni Unite». Ma allora - chiediamo - qual è il reale spazio di manovra di Stati e organizzazioni internazionali? «Il diritto internazionale offre diversi strumenti. Alla base, però, serve la volontà politica, che oggi, su larga scala, manca. In questo senso, è sicuramente rilevante che tre Stati europei decidano di imprimere alla questione palestinese una certa direzione politica». Allo stesso tempo, lo spazio di manovra della diplomazia e del diritto internazionale è residuo, conclude Greppi: «Finché i due attori belligeranti non si riconoscono reciprocamente è difficile farli sedere attorno al medesimo tavolo. Qualcosa, però, si sta muovendo».  

Prima del riconoscimento annunciato oggi da Spagna, Irlanda e Norvegia (che non fa parte dell’Unione europea), la Svezia era l’unico Paese membro dell’UE ad aver attuato il riconoscimento dello Stato palestinese. Malta, Cipro, Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania e Bulgaria invece lo avevano fatto quando ancora non erano membri dell’Unione. Nel 1999 l’Unione europea si dichiarò pronta a «riconoscere uno Stato palestinese a tempo debito», come scritto nelle conclusioni del Consiglio europeo di Berlino. Dei 193 Paesi dell’ONU, 142 hanno riconosciuto lo Stato di Palestina, ossia circa il 70%. Il 18 aprile gli Stati Uniti, in seno al Consiglio di Sicurezza, hanno posto il veto all’ingresso della Palestina come Paese membro a pieno titolo.