L'altro volto del disagio giovanile: finiscono in AI per la depressione

Nell’immaginario collettivo, l’assicurazione invalidità (AI) viene storicamente associata a infermità congenite, oppure a gravi incidenti accaduti nel corso della vita e che hanno costretto la persona coinvolta a lasciare (o cambiare) lavoro. Detto altrimenti: sovente la nostra mente va a malattie di tipo fisico. In realtà, però, oggi come oggi le cifre raccontano anche un’altra storia. Una storia che la dice lunga su come la nostra società sia cambiata nel tempo. Da qualche anno a questa parte, infatti, più della metà dei beneficiari dell’AI lo sono a causa di malattie psichiche. L’ultimo dato disponibile (fornito dall’Ufficio federale delle assicurazioni sociali) è quello del 2023: in Svizzera siamo a quota 115.367 su 223.660 beneficiari (51,6% del totale); stessa sorte in Ticino, con 6.103 beneficiari a causa di malattie psichiche sul totale di 11.989 (50,9%). Un dato che, sul medio e lungo termine, ha conosciuto una crescita significativa. Basti pensare che nel 1995, poco meno di trent’anni fa, le persone in AI a causa di malattie psichiche rappresentavano circa il 27% del totale, sia in Svizzera sia in Ticino. Tutto ciò, a fronte di una sostanziale stabilità del numero totale di beneficiari (perlomeno in Ticino, mentre in Svizzera sono invece cresciuti parecchio).
Le «cattive notizie», però, non sono purtroppo finite qui. E questo perché, come spiegatoci dall’Ufficio dell’assicurazione invalidità dell’Istituto cantonale delle assicurazioni sociali (IAS), questo aumento ha anche a che fare con un fenomeno noto: il crescente disagio tra i giovani.
Più consapevolezza
«In realtà – spiega al Corriere del Ticino Monica Maestri Crivelli, capoufficio dell’Ufficio assicurazione invalidità – il numero annuale delle decisioni di concessione di rendita per motivi psichici sono stabili, situandosi intorno al 45%». Tuttavia, aggiunge Maestri Crivelli, «essendo l’età degli assicurati che hanno queste patologie sempre più giovane, essi rimangono più a lungo nel circuito assicurativo rispetto alle persone che beneficiano di rendita per motivi fisici di cui la rappresentanza è più vicina all’età del pensionamento e quindi escono prima dallo statuto di beneficiario di rendita AI». Ecco perché, appunto, «sommando di anno in anno si constata un aumento percentuale dei beneficiari di rendita AI per motivi psichiatrici». Insomma, detto in soldoni, tra i nuovi casi registrati ogni anno e legati a malattie psichiche, vi sono sempre più giovani. «In effetti – prosegue la capoufficio –, sono aumentati i giovani che presentano una richiesta di prestazioni AI per fragilità psichiatriche». Ma ciò, in parte, è anche dovuto al fatto che «le figure di riferimento (come i medici curanti oppure le scuole) sono sempre più a conoscenza del nostro servizio grazie al grande lavoro d’informazione che abbiamo svolto negli ultimi anni». Pertanto, prosegue Maestri Crivelli, «i ragazzi hanno un accesso più celere e tempestivo alle nostre prestazioni». Non per forza, dunque, questo aumento è negativo sotto ogni punto di vista. Anche perché «fino a qualche anno fa, era frequente che persone con fragilità psichiatrica già in giovane età si annunciassero all’Ufficio AI solo in età adulta; spesso si trattava di persone che, dopo la fine delle scuole medie, erano state perse di vista e non avevano proseguito un progetto formativo post-obbligatorio. Arrivavano dunque un po’ per “caso” grazie a un medico che constatava la situazione già critica. Oggi, invece, la sensibilizzazione e la prevenzione su questo tema è rafforzata a diversi livelli, grazie anche all’importante lavoro svolto dalle istituzioni e dai numerosi enti sul territorio». E ciò, concretamente, «porta a una maggiore rappresentatività dei richiedenti di prestazioni in giovane età». In altri termini: «Nel corso degli anni si è rafforzata la consapevolezza delle malattie psichiatriche e al contempo è diminuita la stigmatizzazione. Di conseguenza c’è anche un maggiore accesso alle cure, che porta, oltre alla cura della malattia, a una diagnosi precoce».
Senza entrare troppo nei dettagli delle cifre, la capoufficio conferma che, a prescindere dall’età, «nella maggior parte dei casi si tratta di episodi depressivi di grado medio rispettivamente di sindrome depressiva ricorrente, con episodio attuale di grado medio».
Che cosa si sta facendo
La situazione, lo abbiamo visto, è dunque complessa e in evoluzione. Nel frattempo, però, l’Ufficio preposto non è certo stato con le mani in mano. E i miglioramenti dal punto di vista della reintegrazione di questi giovani in difficoltà non sono mancati. «Dal 2022 – ci spiega ancora Maestri Crivelli – grazie all’ulteriore sviluppo dell’AI, la legge consente un aggancio con i giovani già nelle prime fasi della domanda tramite le misure di intervento tempestivo. E ciò consente di entrare in contatto e (ri)attivare gradualmente i ragazzi; tale approccio è importante anche per valutare se vi siano risorse da attivare». Solitamente, chiosa la capoufficio, «per i casi psichiatrici si procede inizialmente con provvedimenti a bassa soglia (misure di reinserimento) e sovente in istituzioni semi-protette. In questo contesto, gli operatori sono formati e in grado di accogliere e comprendere i ragazzi e le problematiche di salute, come anche di fornire una struttura e un contenimento spesso necessari per accompagnare in modo appropriato il provvedimento». L’obiettivo di queste misure, va da sé, «è di porre le basi per sostenere e valutare l’opportunità di provvedimenti volti all’inserimento nel mercato del lavoro».
«I casi sono sempre più complessi e difficili da trattare»

La tipologia di persone che si rivolgono all’AI, come abbiamo visto, è dunque almeno in parte cambiata nel corso del tempo. Con molte più persone che finiscono nella rete di aiuti sociali a causa di malattie psichiche. Un’evoluzione riscontrata, come vedremo, anche da Pro Infirmis, storica organizzazione attiva nel campo del sostegno alle persone con disabilità. «Sì, anche noi siamo confrontati con un’evoluzione simile», spiega, da noi contattato, il direttore di Pro Infirmis Danilo Forini. Concretamente, aggiunge, «un po’ meno del 50% delle persone che si rivolgono a noi hanno anche problemi psichici». E, da questo punto di vista, Forini mette l’accento sulla parola «anche»: «Sul piano della statistica occorre mettere un’etichetta alle disabilità. Ma in realtà sovente si parla di doppia diagnosi». Ossia «di casi molto complessi, con patologie combinate. In cui una persona magari presenta sia disturbi fisici che mentali. E non sempre è possibile capire quale sia la causa e quale l’effetto». Già, «perché in un contesto molto produttivo e incentrato sulla performance come quello odierno, spesso un problema di salute fisico si traduce anche in una depressione o, più in generale, in un problema psichico». Ora, al netto di ciò, anche Forini sottolinea che «sì, è un dato di fatto che sempre più persone stanno male a livello psichico». Motivo per cui, anche Pro Infirmis «ha dovuto adattarsi, dal punto di vista delle competenze, per dare la miglior consulenza possibile in questi casi». Certo, aggiunge Forini, «noi non siamo specializzati per questi casi, e restiamo un punto di riferimento anche e soprattutto per tutte le altre disabilità, ma abbiamo cercato di adattarci: i nostri assistenti sociali, ad esempio, hanno seguito formazioni ad hoc sulle malattie psichiche». Tutto ciò, ovviamente, «per intervenire al meglio in queste situazioni e lavorare in una rete che è un po’ diversa rispetto a quella tradizionale, dirottando poi questi casi ai servizi specialistici».
Anche Pro Infirmis, inoltre, conferma la tendenza riguardante la sempre più giovane età delle persone con disturbi psichici. «Purtroppo sono tanti i giovani e giovanissimi con disturbi di questo tipo», spiega ancora Forini. «È un allarme – aggiunge – che d’altronde lanciano da tempo anche le scuole, le autorità regionali di protezione, così come il magistrato dei minorenni». Proprio per cercare di rispondere a questo allarme, «Pro Infirmis negli scorsi anni, durante il Covid, ha lanciato un progetto a Locarno, chiamato ‘ProRis – Rete intensiva di sostegno’, un sostegno educativo intensivo dedicato ai giovani tra 18 e 25 anni con importanti problemi psichici». E, rileva Forini, «abbiamo constatato che sempre più giovani sono completamente esclusi dalla rete di aiuti, dal mondo del lavoro, dalla società. Sono chiusi in casa, senza prospettive». Con il nostro progetto «abbiamo - grazie all’aiuto di dapprima di alcune fondazioni private e poi con il sostegno importante, ma parziale del Cantone - attivato degli educatori che raggiungono questi ragazzi al domicilio per aiutarli a ritrovare una certa autonomia». In questo momento «seguiamo otto giovani nel Locarnese». Ma, sottolinea il direttore, «è ovvio che questi casi sono presenti anche nel resto del cantone. Purtroppo, però, in questo momento non ci sono i soldi per espandere il progetto». La speranza di Forini, dunque, è che Pro infirmis stessa o altre organizzazioni possano ricevere il sostegno pubblico necessario per attivare progetti simili nelle altre regioni. Anche perché «è in quella fascia d’età che occorre investire, dove il potenziale di recupero è maggiore rispetto a una persona che vive una situazione di disagio da tanti anni». Investire, dunque, nei giovani in difficoltà e nelle strutture che possono accoglierli. Anche perché da questo punto di vista siamo un po’ al limite. E i casi sono sempre più complessi e difficili da trattare. Anche per noi di Pro Infirmis non è facile».