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L’antica lezione di Jung sulla Rinascita

Nel 1939 Carl Gustav Jung teneva ad Ascona una memorabile conferenza dal titolo «Rebirth» – Oggi quel testo inedito è stato pubblicato dalle edizioni Aragno Eranos Ascona – Un tema attualissimo che esaminiamo col presidente della Fondazione Eranos, Fabio Merlini
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Carlo Silini
02.01.2021 06:00

«La pubblicazione della conferenza è stata pianificata prima della pandemia. Ma l’idea della rinascita, del riportare a nuova vita l’esistenza, è un tema la cui urgenza precede la pandemia», ci spiega Merlini che è anche Direttore regionale dell’Istituto Universitario Federale per la Formazione Professionale, IUFFP. «Quest’ultima non fa che rendere visibile una crisi di lunga durata, rispetto alla quale siamo tutti chiamati a ripensare radicalmente il nostro modello di civilizzazione».

In che modo?

«In questi anni abbiamo pensato di poter delegare alla sola innovazione tecnologica questo compito. Ma una rigenerazione dei comportamenti e delle finalità nelle quali riconoscersi non può passare dal solo aggiornamento tecnologico. Occorre piuttosto interrogarsi sul perché si è incrinato l’equilibrio che permette alla vita umana e animale di riprodursi. Per quale desiderio di affermazione e per quale profonda incomprensione di noi stessi abbiamo disconosciuto le relazioni di reciprocità da cui dipende la vita in generale, così come il mondo che la ospita? La rinascita deve partire da qui, altrimenti siamo di nuovo nell’equivoco dell’onnipotenza dei mezzi; come se il mero incremento dell’efficienza strumentale fosse di per sé un generatore automatico di benessere materiale e spirituale».

Fabio Merlini © CDT/ARCHIVIO
Fabio Merlini © CDT/ARCHIVIO

All’inizio del suo saggio, Jung spiega il concetto di rinascita nelle principali religioni. Dalla metempsicosi, alla reincarnazione, alla resurrezione, ma buona parte del testo è dedicato alle dinamiche psicologiche del rinascere. Cosa vuol dire «rinascere» per la psiche?

«Vuol dire che tra essere ed esistenza vi è uno scarto, un vuoto che la vita, quando è consapevole di sé, percepisce come una lacuna da colmare. Essere se stessi, essere la propria esistenza, non è un dato immediato. È un compito da realizzare che comporta un lavoro di distruzione (di pratiche, di abitudini di rappresentazioni di sé) anche molto doloroso. Rispetto a ciò che siamo, la nostra esistenza è sempre in difetto. In questo senso, rinascere significa poter diventare ciò che si è. Se questa è una struttura universale dell’esistenza, poiché la vita umana per poter esistere pienamente deve sempre, in un certo senso, morire a se stessa, allora la rinascita costituisce certamente un archetipo. Ed è proprio di questo che ci parlano i miti, le religioni e tutto quell’insieme di riflessioni sul senso della condizione umana che costituisce uno dei tesori più preziosi del nostro patrimonio culturale».

Una lettura positiva della morte.

«Prima di essere la marca della finitudine, la morte è l’esercizio consapevole e risoluto di un riconoscimento di sé rinnovato, capace di accogliere quella ineludibile alterità che è in noi, e di cui la psiche ci parla attraverso i sogni o i nostri comportamenti meno controllati, soprattutto quando non ci sentiamo più padroni di noi, oppure quando l’Io mette a tacere le voci presuntuose della sua certezza di sé. Certo, si tratta di una morte solo simbolica. Ma che dà luogo a una rinascita in cui ne va dell’esistenza stessa, nella sua concreta possibilità di essere pienamente se stessa, qui e ora».

Carl Gustav Jung.
Carl Gustav Jung.

Jung parla dell’esperienza «dell’amico interiore»: di cosa si tratta?

«È un altro modo per definire l’alterità di cui ho appena detto. Incontrare il proprio amico interiore significa guardare in faccia, senza volerla disconoscere e rimuovere, quella alterità che è alla radice dell’esistenza stessa e che è forse anche la prima origine della violenza e del male, quando anziché farcene carico, integrandola nella comprensione che abbiamo di noi stessi, pensiamo di poterla trascurare. Per proiettarla infine fuori di noi, così da farle assumere un corpo e un volto, secondo la ben nota logica del capro espiatorio. Per questo Jung dice che dipende solo da noi se di questa alterità vogliamo parlare in termini di amico o di nemico. Possiamo farcene carico, oppure ignorarla. Ma se la ignoriamo, se non accogliamo questa dimensione numinosa collocata nella nostra interiorità, allora non solo perdiamo l’appuntamento con noi stessi; diventiamo anche veicoli di forme di violenza di cui siamo al contempo vittime e carnefici».

Il discorso potrebbe farsi anche sociale e politico. Jung sostiene che esistono processi di trasformazione di massa, con l’esperienza dell’identificazione in un gruppo. Ma sostiene che è un livello di trasformazione inferiore a quello intrapreso in solitudine dall’individuo? Perché?

«Nel passaggio cui lei fa riferimento, Jung coglie un processo che riguarda tutti quei casi in cui la trasformazione porta con se anche un momento regressivo. Come dire che esistono esperienze di rinascita, di adesione partecipativa a una nuova forma di vita, dove coscienza e moralità risultano attenuate, quando non sospese del tutto. Qui la rinascita equivale a una involuzione, perché il singolo è come dissolto dentro un organismo che si comporta in base a criteri che deresponsabilizzano l’azione, potenziandone però l’effetto. In un certo senso, è come se nel gruppo agisse una sorta di esonero: sono e non sono io quello che intraprende una certa azione, difende una certa prospettiva, immagina una certa soluzione. Per questo qui Jung parla di un “livello di coscienza più basso”. Il che ovviamente non intende affatto costituire né una giustificazione, né un’attenuante. Tutto ciò è facilmente riconoscibile nelle varie forme di totalitarismo, in cui le masse hanno assicurato al potere il loro avallo, sino al punto da immolarsi per esso. Esistono però ovviamente anche altre modalità di appartenenza a un gruppo, dove l’identificazione genera una partecipazione di segno diverso, come quando, inserito in una comunità, mi sento responsabile verso i suoi membri e verso le ragioni della sua azione: qui, siamo nel quadro di una diversa variante del potenziamento. Perché l’appartenenza al gruppo, con la forza che ne scaturisce, non si traduce in un annichilimento della responsabilità individuale. È, certo, sempre una risposta alla nostra fragilità costitutiva, ma una risposta in cui la forza della coesione viene orientata da un disegno diverso rispetto a quello cui accennato sopra».

Olga Fröbe-Kapteyn.
Olga Fröbe-Kapteyn.

Quali sono i progetti di Eranos per il dopo pandemia?

«Sul fronte delle manifestazioni pubbliche, dedicheremo il prossimo ciclo di conferenze al tema della libertà, proprio alla luce di quanto è accaduto e sta accadendo. Mentre l’annuale colloquio settembrino sarà dedicato al tema dei legami sociali, nella consapevolezza che una società senza sentimento della comunità non è in grado di sopravvivere. Poi c’è il grande progetto della digitalizzazione degli archivi, per una più agevole e allargata fruizione e la pubblicazione dei prossimi volumi della nostra casa editrice, fra cui un testo del premio Nobel per la fisica Erwin Schrödinger, ospite a Eranos nel 1946, dedicato allo spirito della scienza. Infine, citerei, due importanti esposizioni in cui sarà presente la Fondazione Eranos. L’una al Centre Pompidou di Parigi e l’altra al Guggenheim di Bilbao, dove in una mostra dedicata alla pittura femminile astratta del primo Novecento saranno presentate, come già era successo a Milano (Palazzo Reale) e a New York (New Museum) alcune tele di Olga Fröbe-Kapteyn, in cui astrattismo e spiritualità si fondono magistralmente».

Un centro e i suoi padri ispiratori

Il centro culturale «Eranos» nasce a Ascona nel 1933, da una idea di Olga Fröbe-Kapteyn (1881-1962) per dare vita a un ciclo di Convegni annuali, di carattere interdisciplinare e internazionale.

Su impulso di alcuni grandi padri ispiratori che ne hanno accompagnato la nascita – lo psicologo Carl Gustav Jung, il teologo Rudolf Otto e il sinologo Richard Wilhelm, a Eranos si sono incontrati e confrontati, infatti, molti tra gli studiosi più influenti nella cultura del ventesimo secolo.

Per cogliere la rilevanza di questa impresa culturale, basti ricordare che Eranos è stato l’unico centro congressuale internazionale attivo in Europa durante la guerra.

I volumi che contengono gli atti (Eranos-Jahrbücher) originati dai numerosi simposi, arrivati oggi al 73° tomo, sono stati giustamente definiti «una delle enciclopedie più importanti del nostro tempo».

Da sapere

I due canali
Le attività culturali della Fondazione Eranos sono documentate e rese disponibili al pubblico interessato attraverso due canali: gli Annuari, editi dall’editore Daimon di Einsiedeln, e la collana i Saggi di Eranos pubblicati da un editore storico di Torino, Rosenberg&Sellier, presso la cui libreria di respiro internazionale si serviva anche Friedrich Nietzsche durante il suo soggiorno nella città piemontese.

La ristampa
A questi canali va aggiunta la ristampa anastatica della serie storica degli Annuari, ormai introvabile sul mercato, grazie alla generosità dell’editore Nino Aragno, che negli anni ha avviato un lavoro di riedizione delle pubblicazioni di alcune fra le più grandi istituzioni culturali europee, come il Warburg Institute di Londra, il Collège de France, la Freie Universität di Berlino.

La casa editrice
È sempre alla passione culturale dell’editore Aragno che si deve la nascita di una casa editrice, la Aragno Eranos Ascona, il cui scopo precipuo è proprio di valorizzare i ricchissimi materiali custoditi negli archivi della Fondazione Eranos, redatti prevalentemente in lingua tedesca o francese, rendendoli accessibili, in una edizione bilingue, sia al pubblico di lingua italiana sia al pubblico di lingua inglese. Così nasce la collana i Classi di Eranos.

Documenti preziosissimi
Grazie alla nuova casa editrice gli archivi di Eranos dispongono ora di un importante strumento di diffusione, che permetterà di portare alla luce documenti di inestimabile valore, come ad esempio i carteggi tra Olga Fröbe-Kapteyn, la fondatrice del centro congressuale, e alcuni fra i più importanti studiosi del XX secolo.