L’avatar di una persona straordinaria

L’ha chiamata con il nome della figlia, ma sarebbe stato molto più onesto darle il suo nome. Perché il giocattolo messo sul mercato sessant’anni fa dalla Mattel, null’altro era che l’avatar (per dirla con un termine di oggi) della sua creatrice Ruth Marianna Mosko in Handler (1916-2002), una riproduzione in plastica di questa donna e del suo corredo di sogni, aspirazioni e certezze che prima di essere trasferite alla sinuosa bambola, ha sperimentato in prima persona. L’immagine di donna brillante, colta intraprendente ed emancipata suggerita nel corso degli anni da Barbie attraverso i suoi mille look e mestieri – il più delle volte lontanissimi ed in antitesi con l’immagine della donna «angelo del focolare» che andava per la maggiore negli USA ma anche in Europa – non era infatti un sogno, ma l’incitamento lanciato da una donna che un simile percorso l’aveva compiuto.

Una donna che in un’epoca in cui le presenze femminili nei consigli di amministrazione erano limitate al servire il caffè, era riuscita ad arrivare a capo di una importante società, pilotandola in scelte controcorrenti e rivoluzionarie, guidate da quell’intuizione femminile che altrove veniva ignorata. Che in anni in cui conciliare maternità e carriera era considerato impossibile, era riuscita nell’intento, sottolineando questo suo doppio ruolo proprio attraverso l’imposizione dei nomi dei figli (Barbara e Kenneth) ai due prodotti di punta della sua impresa. E che in un periodo in cui affrontare il tema dell’abbattimento delle barriere che separavano i sessi e le etnie era difficile, non aveva esitato a farlo senza preoccuparsi delle censure, dei boicottaggi, delle conseguenze economiche che queste prese di posizione avrebbero potuto causare.

Dalla creazione della Barbie astronauta e/o chirurga che nei primi anni Sessanta cercava di instillare nelle bambine il concetto che potevano ambire a professioni in quel momento tabù per le donne, alla prima bambola di colore con la quale, nel 1968, diede un contributo alla lotta contro la segregazione razziale; dalla Barbie presidente che nel 1992 lanciò l’idea di una donna alla Casa Bianca, alle recenti bambole ispirate a figure iconiche dell’universo femminile, Ruth Handler – e chi ha continuato il suo lavoro alla Mattel – non ha mai cessato di far passare, attraverso il gioco, il concetto che le donne sono da mettere sullo stesso piano degli uomini, che possono e debbono ambire a tutti i ruoli all’interno della società, senza per questo dover sacrificare le loro caratteristiche e le loro peculiarità. Un discorso, insomma, più femminista di quelli delle tante femministe che in questi decenni hanno osteggiato quello che, invece, avrebbe dovuto essere un esempio da seguire.