Energia

Le alternative al nucleare per completare la transizione

Dai rischi di blackout ventilati da Guy Parmelin alla prospettiva di una Svizzera senza atomo: il problema dell’approvvigionamento continua a far discutere, anche alla luce del congelamento dell’accordo sull’elettricità con l’UE - Ne parliamo con Marco Bigatto, direttore di AIL
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Giona Carcano
03.11.2021 06:00

La Svizzera è sicura dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico? Ha gli strumenti per far fronte a un’Europa profondamente divisa sulla direzione da prendere in materia di energie rinnovabili? O ancora: a lungo termine, il preventivato addio al nucleare rischia di essere un boomerang per il nostro Paese? Domande talmente centrali e sentite, che quando vengono sollevate spingono subito alla polemica, alla zuffa politica o fra settori economici diversi. Recentemente, è stato il caso delle parole pronunciate da Guy Parmelin. Il presidente della Confederazione ha messo in guardia su una possibile e seria penuria di elettricità a partire dal 2025. Il motivo principale? Lo stralcio dell’Accordo quadro con l’Unione europea, e il conseguente congelamento del cosiddetto «Stromabkommen» (accordo sull’elettricità) con Bruxelles. Parmelin ha espressamente citato gravissimi blackout, da mettere in conto durante la stagione storicamente meno favorevole per la produzione di energia svizzera: l’inverno.

Per capire meglio qual è la posta in gioco e quali rischi corre davvero il nostro Paese – non solo a breve termine, ma anche sul medio e lungo periodo –, abbiamo incontrato Marco Bigatto, direttore generale delle AIL.

Accordi fondamentali

Per comprendere i sistemi elettrici europei e svizzeri – regolati da più di mezzo secolo da accordi internazionali – è utile riavvolgere il nastro del tempo. «La storia della connessione con i nostri vicini parte da lontano, dal 1958, quando a Laufenburg vennero congiunte le reti di trasporto di elettricità di Svizzera, Francia e Germania. L’idea era quella di ottimizzare il sistema, di renderlo più solido e solidale. Queste regole – aggiornate e adattate negli anni – sono valide ancora oggi e hanno permesso di far funzionare l’intera rete senza grossi problemi». Con poche eccezioni, come il gigantesco blackout del 2003 che paralizzò per quasi due giorni l’Italia.

Il colpevole? Un albero poco sotto una linea ad altissima tensione sul Lucomagno, che diede vita a un cortocircuito provocando una colossale reazione a catena lungo tutta la rete italiana. «Un evento che mostra come l’intero sistema europeo sia vulnerabile e come la coordinazione fra Paesi sia imprescindibile», ricorda Bigatto. «Ecco perché gli accordi sono fondamentali per la stabilità dell’intera rete europea: nel 2003 una migliore coordinazione a livello internazionale avrebbe consentito di evitare il tracollo, nello specifico aumentando la produzione in Italia e allo stesso tempo riducendo i consumi».

La Svizzera si trova in una posizione centrale del sistema elettrico europeo, composto da linee di trasporto aeree ad altissima tensione: parliamo di un voltaggio compreso fra 220mila e 380mila volt. «La ragnatela europea non è comunque esente da colli di bottiglia, specie nei punti di collegamento fra Paesi, ma pure all’interno di certe nazioni come fra il Nord e il Sud della Germania», prosegue il direttore generale. «L’equilibrio è dunque fragile, bisogna far coincidere in ogni istante produzione, capacità di trasporto e consumo. Compito questo dei gestori delle reti nazionali, come Swissgrid per il nostro Paese».

La forza del corridoio

E se all’equilibrio precario del sistema si sommano le incomprensioni fra Paesi, ecco che allora possono nascere serie preoccupazioni, come quelle messe sul tavolo da Parmelin. «Alla luce del raffreddamento dei rapporti con l’Europa, anche gli accordi tecnici sull’elettricità ne potrebbero risentire», spiega Bigatto. «È soprattutto un problema di coordinazione: se, ad esempio, un produttore francese mettesse fuori servizio una grande centrale senza avvisare la Svizzera, potrebbero verificarsi modifiche di flusso in rete tali da causare problemi anche gravi, di sovraccarico oppure di mancanza di potenza. Il messaggio di Parmelin va letto in quest’ottica». Uno scenario estremo, quello indicato dal presidente della Confederazione. E che secondo il nostro interlocutore ha scarse probabilità di avverarsi. «La Svizzera è il crocevia di 41 linee transfrontaliere. L’Europa ha dunque l’interesse a mantenere il corridoio svizzero e a non far collassare il nostro sistema elettrico. I flussi europei devono transitare sulle nostre linee, in particolare per alimentare l’Italia. Ad ogni modo, la Svizzera non se ne sta con le mani in mano: uno studio di ElCom, il regolatore del settore elettrico svizzero, ha identificato un pacchetto di 80 misure, di cui 6 urgenti, per rendere il sistema elettrico interno più solido». Una sorta di vademecum per aumentare l’autosufficienza della Confederazione nel caso in cui si arrivasse a una rottura – comunque improbabile – con l’Unione europea in termini di elettricità. «Si tratta di numerose migliorie tecniche per incrementare la sicurezza della rete e dell’approvvigionamento, come l’eliminazione di certi colli di bottiglia interni alla nostra rete, ma pure la sottoscrizione di accordi tecnici con i gestori europei», sottolinea Bigatto.

C’è anche l’idrogeno

Sul medio-lungo termine, un’altra arma per difendersi da un’eventuale fase prolungata di blackout l’ha sviluppata anche l’associazione PowerLoop, che riunisce 22 aziende elettriche comunali. L’idea è quella di installare 2.000 piccole centrali a gas in tutta la Svizzera e di attivarle in caso di limitazioni all’approvvigionamento elettrico. A fronte di un investimento stimato di circa 3,5 miliardi di franchi, le centrali potrebbero evitare blackout dal costo di 3 miliardi al giorno. «Come AIL, già da qualche anno installiamo impianti di produzione elettrica di piccola taglia nel nostro comprensorio. Oltre al fotovoltaico, investiamo infatti nelle centraline a cogenerazione. Si tratta di grossi motori, simili a quelli dei camion, opportunamente studiati e alimentati a gas. Invece di far girare le ruote del veicolo, azionano un generatore di corrente elettrica; il calore prodotto viene recuperato per scaldare l’edificio. Proponiamo questi impianti ai proprietari di grandi complessi abitativi o commerciali e stabili pubblici. Quando vi è la possibilità di installare impianti di dimensioni maggiori, con soluzioni di teleriscaldamento alimentiamo un intero quartiere».

Questa soluzione locale permette quindi di rendere il sistema maggiormente indipendente e sicuro. Ma c’è un problema: la Svizzera non possiede giacimenti di gas, mentre la produzione indigena di biogas è limitatissima. Ecco che allora si torna al punto di partenza: la dipendenza dall’estero. «La preoccupazione è quella di disporre di sufficiente energia elettrica durante il periodo invernale», spiega Bigatto. «Già oggi siamo dipendenti dall’estero durante la stagione fredda. E guardando più avanti, dunque sul lungo termine, il rischio di carenza energetica potrebbe aumentare. In particolare spegnendo le centrali nucleari. Il mix energetico svizzero andrà rivisto, cercando soluzioni percorribili e realistiche. Sono in fase di sviluppo soluzioni basate sull’idrogeno, che permetterebbero di accumulare l’energia prodotta nella bella stagione per l’inverno. Ma per il momento i costi sono elevati. A titolo personale ritengo che sul medio termine l’uscita dal nucleare sia possibile se accompagnata dalla realizzazione di alcune centrali a gas. Una soluzione certo non ancora ottimale dal punto di vista ambientale, ma che serve da base sicura per la transizione. L’alternativa, o più realisticamente l’obiettivo finale, è invece quello di disporre di sufficiente potenza fotovoltaica installata da riuscire a coprire anche il fabbisogno invernale».

Il problema del prezzo

Per quanto riguarda il gas, un altro grande punto interrogativo riguarda il prezzo: a partire da luglio il costo del gas è esploso. «Come AIL agiamo in anticipo, acquistando all’ingrosso prodotti standard già quattro anni prima della fornitura. In questo modo, prevedendo in anticipo il fabbisogno, riusciamo a tenere i prezzi costanti. Disponiamo da più di un decennio di un’unità dedicata all’acquisto all’ingrosso del gas in Italia tramite partner accreditati. Abbiamo già coperto tutto il 2022 a prezzi convenienti, e pure il grosso del 2023 è già stato acquistato a buone condizioni, prima della forte crescita di luglio. Questo approccio di acquisto strutturato nel tempo, ci è valso il riconoscimento di diversi clienti».