Le discussioni in Parlamento dovranno essere accorciate

È passato con i voti della destra, del centro politico e addirittura di alcuni «partitini» un tema che poco ha a che fare con la quotidianità dei cittadini ma che ha comunque saputo far discutere (e non poco). L’iniziativa firmata da Paolo Caroni e Giuseppe Cotti (Centro) e da alcuni colleghi di PLR, UDC e Avanti con T&L per ridurre i tempi di parola in Parlamento (sia ai deputati, sia ai Consiglieri di Stato) ha superato lo scoglio del plenum: in pratica, quando verrà modificata la Legge sul Gran Consiglio, le forme di dibattito verranno sensibilmente ridotte. Si parla di alcuni minuti di riduzione e, in alcuni casi, anche di un dimezzamento del tempo a disposizione.
Due visioni opposte
In aula si sono scontrate visioni diametralmente opposte. C’è chi ha sostenuto la modifica legislativa per velocizzare i dibattiti e forzare la «sintesi» dei discorsi e chi, invece, ha ribadito la necessità di mantenere lo status quo perché la democrazia si costruisce anche attraverso il confronto, e non è quindi una questione di cronometro.
«Sono convinto che la qualità del dibattito non debba essere misurata in minuti ma in chiarezza di idee espresse», ha sottolineato l’iniziativista Cotti. «Non nascondiamoci: in aula spesso assistiamo a dibattiti troppo lunghi, a ripetizioni». Ridondanze e complicazioni «che non aiutano i cittadini». L’obiettivo della riforma non va comunque a svilire il ruolo del Parlamento, ha aggiunto il deputato. L’aula «è il luogo delle parole e del confronto, e ciò è indiscutibile. Ma parlare non significa farlo senza limiti». Per Cotti, il dibattito resta essenziale per far evolvere le diverse opinioni, eppure «deve essere ascoltabile e comprensibile, altrimenti rischia di produrre l’effetto opposto». Per Caroni, l’altro iniziativista, la riforma «non imbavaglia il Parlamento» e garantisce che nessuna voce venga esclusa. Piuttosto, «è un invito alla sintesi» e al buon uso «del tempo comune». Inoltre, molti dei dibattiti vengono già fatti nelle Commissioni. Con la modifica, per Caroni «la decisione politica riacquista centralità».
Pro e contro
Anche secondo Roberta Passardi (PLR), relatrice del rapporto di maggioranza, la questione è semplice. «In un mondo caratterizzato da cambiamenti sociali e tecnologici, la capacità di un Parlamento di rispondere rapidamente ai bisogni della società è fondamentale». Ecco che di conseguenza «una riduzione strategica dei tempi di discussione può riflettere questa necessità di agilità». In soldoni, ha evidenziato la deputata, «siamo chiamati a decidere se il nostro Parlamento debba rimanere ostaggio di lungaggini e ripetizioni oppure se si debba evolvere verso un modello di confronto politico moderno, incisivo e rispettoso del tempo collettivo».
Tutte argomentazioni rispedite al mittente da Daria Lepori (PS), relatrice di minoranza. Per la socialista, infatti, «qualsiasi proposta sui tempi di parola significa intervenire su quanto siamo chiamati a fare» in quanto deputati. «Non sono stata eletta per rimanere muta ma per esprimermi sui temi sui quali penso di poter dare un contributo». Più nel dettaglio, per Lepori l’iniziativa «riduce in maniera sproporzionata i tempi di parola a chi non ha altra possibilità di argomentare», e cioè ai partiti che non fanno gruppo. «Con la semplificazione non si rende un buon servizio ai cittadini», ha chiosato.
«Partitini» in ordine sparso
Sintetico, nel pieno spirito dell’iniziativa, l’intervento di Andrea Censi (Lega). «Attilio Bignasca definitiva l’aula un ‘‘parlatoio’’. Ecco, la modifica può far tornare questo luogo un Parlamento». Sostegno al progetto è arrivato anche da alcuni UDC, mentre i Verdi hanno bocciato il testo. Posizioni in ordine sparso, invece, fra i «partitini». Per Amalia Mirante (Avanti con T&L), «non si sta togliendo la parola a nessuno». «Fosse per me», ha aggiunto, «tutti dovrebbero parlare 5 minuti. Non è una riforma contro il Parlamento, ma per il Parlamento. E chi ci guarda da fuori». Sì anche da parte dei Verdi liberali. Contrarietà è arrivata invece da parte di HelvEthica, PC e MpS. Per Massimiliano Ay «ridurre non valorizza un tubo, è semplicemente umiliante». Secondo Matteo Pronzini, invece, «nella società liberale l’unico Parlamento utile è quello che non serve a nulla. Noi siamo tranquilli» di fronte alla riforma. Ma «alcuni di voi» ha detto riferendosi ai deputati «sono dei frustrati».
Un dibattito acceso, come detto. Che però, in futuro, verrà ridotto.
