«Le iniziative non sono gratuite»: Il Governo si schiera per due no

Dopo l’altolà dei Comuni sulle iniziative popolari di Lega e PS, oggi è toccato al Consiglio di Stato prendere posizione in vista della votazione cantonale del 28 settembre sui premi di cassa malati. Lo ha fatto invitando la popolazione a respingere entrambe le proposte, considerate toppo onerose per le finanze cantonali e comunali.
Una sintesi? «Le iniziative non sono gratis», ha chiosato il presidente Norman Gobbi, il quale – a precisa domanda – ha parlato di «posizione presa collegialmente». Insomma, non è dato sapere in che misura vi siano state divergenze all’interno dell’Esecutivo. Nella sostanza, comunque, poco cambia, perché oggi il Consiglio di Stato ha ribadito il suo secco no ad entrambe le proposte.
Pur riconoscendo la preoccupazione dei cittadini per il continuo aumento dei premi di cassa malati, il Governo ritiene che le due proposte non solo non affrontino le reali cause dei costi sanitari, ma soprattutto siano finanziariamente insostenibili. «Le due proposte si limitano a spostare la spesa, stimata a circa 400 milioni di franchi annui, sul Cantone e sui Comuni. Per finanziarle sarebbe necessario aumentare le imposte o ridurre i servizi», ha aggiunto Gobbi, ricordando il contesto finanziario tutt’altro che rassicurante nel quale il Cantone deve già oggi destreggiarsi. L’orizzonte EFAS è un muro stimato 190-240 milioni di franchi entro il 2032, a cui si aggiungono possibili trasferimenti di oneri dalla Confederazione per un totale di circa 40 milioni annui.
«Finanze a rischio»
Ad argomentare contro l’iniziativa del PS – che chiede di fissare un limite massimo ai premi di cassa malati, pari al 10% del reddito disponibile – è stato il direttore del Dipartimento della sanità e della socialità, Raffaele De Rosa. Il Consigliere di Stato ha parlato di «un modello insostenibile per le finanze pubbliche», che vedrebbero incrementare la spesa pubblica per i sussidi RIPAM di circa 300 milioni, secondo le stime dell’Ufficio cantonale di statistica. «La spesa complessiva RIPAM, prendendo i dati del 2024, passerebbe da 386 milioni di franchi a quasi 690 milioni». Non solo. «L’aggravio diventerebbe strutturale e progressivo», tanto che «la spesa creerebbe un disequilibrio così importante da mettere a rischio la sostenibilità stessa del sistema RIPAM e delle finanze dello Stato». De Rosa ha quindi ricordato come il sistema ticinese dei sussidi sia tra i più sociali in Svizzera, con oltre 110 mila beneficiari, ossia un cittadino su tre. Vista l’ampiezza dell’importo in gioco, ha detto De Rosa, «non è stata vista nessuna misura di compensazione finanziaria praticabile all’interno del budget della Cantone». Il rischio, quindi, è un aumento delle imposte. «300 milioni di finanziamento cantonale corrispondono a circa 20 punti di moltiplicatore». In alternativa, come già ribadito da Gobbi, «si prospetta una riduzione degli investimenti o un taglio dei servizi essenziali». Il rischio, ha concluso, è di spostare il problema sulle spalle dei contribuenti «senza risolverlo».
«Favoriti i redditi più elevati»
Una valutazione condivisa anche dal direttore del DFE, Christian Vitta, che si è espresso sull’iniziativa leghista «Basta spennare il cittadino, cassa malati deducibile integralmente!». Il testo propone di aumentare i limiti massimi di deduzione: da 5.500 a 9.000 franchi per le persone sole; da 10.900 a 18.000 franchi per i coniugati; da 7.800 a 11.200 franchi per i pensionati soli; e da 15.400 a 22.300 franchi per i pensionati coniugati.
Innanzitutto, Vitta ha sottolineato come la deduzione prevista dall’iniziativa leghista non riguardi solo l’assicurazione malattia obbligatoria, ma tocchi anche altre voci: i premi delle complementari, i premi per l’assicurazione infortuni, le rendite vitalizie e i premi per le assicurazioni sulla vita. «Così facendo andiamo ad aumentare le deduzioni fiscali inserendo voci che non riguardano i premi di cassa malati». Sono elementi estranei all’assicurazione malattia obbligatoria e che, pertanto, esulano dall’obiettivo primario dell’iniziativa, ha osservato Vitta. Per non parlare degli effetti «indiretti» sulle scelte degli assicurati: «Sapendo che si può dedurre di più fiscalmente, potremmo essere portati a scegliere modelli più onerosi». Un meccanismo pericoloso per l’evoluzione futura dei premi, calcolati in base ai costi. Vitta ha quindi spiegato come già oggi il Ticino, avendo premi mediamente più alti, conceda già deduzioni maggiori per oneri assicurativi, che raggiungono anche il doppio della media nazionale.
Tra gli argomenti più rilevanti, però, spicca quello relativo ai beneficiari: la misura favorirebbe in modo particolare i contribuenti con redditi più alti e, in parte, anche chi è tassato alla fonte, ossia i frontalieri. «Avendo un sistema di imposizione fiscale con un’aliquota progressiva, una maggiore deduzione fiscale incide maggiormente sui redditi alti», ha spiegato Vitta. Il quale ha poi ricordato come l’iniziativa leghista consenta di dedurre anche elementi che esulano dai premi di cassa malati, come il terzo pilastro e gli interessi sui depositi. «Chi ha più capitale, potrà dedurre maggiormente».
Vitta ha quindi portato alcuni esempi concreti: «Una persona sola con un reddito di 42.000 franchi, grazie all’aumento delle deduzioni, otterrebbe una riduzione d’imposta di appena 100 franchi, mentre chi guadagna 150.000 franchi risparmierebbe 824 franchi». L’iniziativa, dunque, non raggiunge l’obiettivo dichiarato di sostenere il ceto medio. Ancora più emblematico il caso di una coppia con due figli: «Con un reddito complessivo di 100.000 franchi la famiglia, tipico esempio di ceto medio, non avrebbe alcun beneficio. Con un reddito di 250.000 franchi, invece, il risparmio salirebbe a 1.761 franchi».
In questo caso, l’impatto finanziario dell’iniziativa leghista è stato stimato attorno a 100 milioni di franchi, suddivisi come segue: 55 milioni sul Cantone, 44 milioni sui Comuni. «Non a caso – ha concluso Vitta – anche gli enti locali si sono espressi su queste due iniziative, che non affrontano il problema dei costi della sanità e rischiano anzi di generare nuovi oneri finanziari».