Peste suina africana

«Le perdite dovranno essere indennizzate»

Nel settore agricolo sale la preoccupazione – Sem Genini (UCT): «Se il virus arrivasse in Ticino, le conseguenze sarebbero pesanti: sarà fondamentale che le autorità forniscano le adeguate garanzie»
©Chiara Zocchetti
Francesco Pellegrinelli
12.02.2024 06:00

Aumento dei costi, diminuzione degli introiti e maggiore carico lavorativo a causa delle misure sanitarie supplementari. Senza contare, nel peggiore dei casi, l’abbattimento dei maiali.

«Se questa grave malattia dovesse arrivare anche in Ticino, le conseguenze per il settore primario sarebbero pesanti». Sem Genini è il segretario cantonale dell’Unione contadini ticinesi (UCT). Da tempo sta monitorando la situazione: «La diffusione della peste suina africana sul territorio cantonale impatterebbe non solo le aziende che praticano l’allevamento di maiali, ma anche quelle attive nelle zone attigue colpite dal virus». Le misure di salvaguardia che verrebbero introdotte dalle autorità prevedono infatti, entro un certo raggio, una limitazione della normale gestione di pascoli, prati, alpeggi e terreni.

La sensibilizzazione

«Come UCT abbiamo cercato di informare gli agricoltori su che cosa potrebbe accadere. Lo abbiamo fatto redigendo diversi documenti e articoli in collaborazione con la Sezione dell’agricoltura e il gruppo di lavoro creato dal Cantone, soprattutto tramite il nostro giornale, l’Agricoltore ticinese». Ma se i contadini sanno esattamente come comportarsi, «tra la teoria e la pratica ci sono sempre differenze». E soprattutto: «Sapere che cosa fare non significa ridurre il problema».

Le richieste alla politica

Quello che sarà però fondamentale, spiega ancora Genini, è che le autorità forniscano, in caso di epidemia, un adeguato sostegno al settore agricolo: «Le perdite generate in qualsiasi maniera dalla malattia o da eventuali misure di contenimento che limitano il lavoro o che ne aumentano i costi di produzione (vedi uccisione degli animali, impossibilità di lavorare in luoghi contagiati, impossibilità di recarsi per esempio al mercato del bestiame e ai macelli, costi di pulizia delle auto e dei macchinari agricoli, ecc.) dovranno essere indennizzate adeguatamente, come tra l’altro è stato fatto dall’Unione europea nei diversi Paesi già toccati dalla malattia».

Il lupo

Un capitolo a parte, nelle valutazioni del segretario dell’UCT, lo merita il lupo. «Se ci dovessero essere dei divieti di accesso a talune zone, è importante che queste interdizioni valgano anche per i lupi, i quali non devono poter muoversi diffondendo il virus in nuove zone. Avere vettori di diffusione che si spostano anche di 50 chilometri al giorno non è per niente l’ideale».

La mazza nostrana

Attualmente non esiste ancora un vaccino, fa notare Genini, per cui le misure preventive e di controllo sono essenziali: «È l’unica strada percorribile, speriamo che siano efficaci».

A pagare lo scotto di una diffusione allargata del virus, non sarebbero infatti solo i pochi allevatori presenti in Ticino che allevano maiali su larga scala. «Non bisogna dimenticare anche l’impatto sulle aziende che caricano gli alpeggi con un numero limitato di maiali. Aziende che permettono però, per esempio, di valorizzare il siero di latte derivante dalla mungitura delle mucche. Si tratta di numeri ridotti, certo, ma importanti per la nostra agricoltura».

Oltre a ciò, non bisogna neppure dimenticare tutte quelle aziende dove il maiale è allevato per la mazza nostrana. «Una tradizione che ancora oggi porta sulle nostre tavole prodotti tipici molto apprezzati e che contribuisce a una certa immagine rurale del Ticino».