Le profezie di sventura sbagliate in campo economico e finanziario

Da una parte la crisi della Silicon Valley Bank e di altre banche regionali negli Stati Uniti, dall’altra la crisi di Credit Suisse in Svizzera. Capitoli che hanno riflessi non solo sui rispettivi mercati nazionali, ma anche a livello internazionale. Stiamo andando verso una caduta del settore bancario in molte parti del mondo? Sulla base dei fatti e dei dati sin qui disponibili, è altamente improbabile. Un conto infatti sono gli indubbi problemi di alcuni istituti, anche importanti, e un altro conto è il destino del settore.
Il quadro
I rialzi dei tassi di interessi, peraltro necessari per combattere l’inflazione, la tassa più iniqua, hanno cambiato il quadro per il mercato delle obbligazioni e per una parte delle attività delle banche, facendo emergere gestioni errate, che peraltro erano già sbagliate in precedenza. È possibile che emerga qualche altro caso di gestioni negative, ma ciò non significa che tutto vada male. Sul versante opposto a quello delle crisi ci sono infatti fattori di peso, tra i quali due principali. Anzitutto, la buona situazione in molti luoghi del globo dei conti di un gran numero di banche, di cui si è parlato molto meno (tra queste la svizzera UBS, di cui molti media internazionali sono tornati a occuparsi solo per via del caso Credit Suisse). Poi, il quadro di regole sulle attività e sulla solidità patrimoniale delle banche, che è stato esteso e rafforzato dopo la crisi finanziaria del 2008, in Svizzera e in Europa ancor più che negli USA, dove pure le garanzie sono maggiori che in passato ma dove ci sono state anche oscillazioni sulle norme.
Occorre dunque ancora una volta non cedere al catastrofismo, che riemerge con forza ogni volta che ci sono casi negativi e difficoltà. Abbiamo visto molti altri momenti in cui l’emergere di casi complicati è stato amplificato dal nervosismo di analisti e operatori dei mercati, oltre che di molti media. Salvo poi vedere che soluzioni, seppur magari pesanti e non facili, sono state trovate e il percorso è ripreso. Basta guardarsi indietro per trovare molte esperienze del genere, in finanza e in economia. Per restare a quest’ultima fase, è interessante l’analisi fatta recentemente sul «Corriere della Sera» da Federico Rampini, autore certo non sospettabile di facile ottimismo. Le profezie di sventura rivelatesi poi sbagliate ormai non si contano più, ma anche rimanendo appunto alle ultime in ordine di tempo il quadro è ampio.
Troppo pessimismo
Dopo l’invasione dell’Ucraina, circa un anno fa l’Occidente ha cominciato ad applicare sanzioni economiche contro la Russia. A quel punto nel dibattito si sono allargate le previsioni più negative. Secondo molti ci sarebbe stata una recessione internazionale, con crolli di occupazione e redditi. La perdita di forniture russe e i rincari nel settore dell’energia ci avrebbero procurato un inverno difficilissimo. Le penurie alimentari ampliate dalla guerra in Ucraina avrebbero messo in difficoltà anche i Paesi sviluppati e avrebbero causato una carestia senza precedenti nel Sud globale, con una maggior numero di guerre civili e ingestibili ondate di immigrazione verso l’Europa.
Ora, non è che non ci siano alcuni problemi in ciascuno di questi capitoli, ma il quadro catastrofico che era stato delineato è ben lungi dalla realtà. A livello internazionale c’è un chiaro rallentamento economico, ma la recessione più volte preannunciata sin qui non c’è stata e secondo le previsioni ora prevalenti probabilmente non ci sarà. I redditi reali sono intaccati dai rincari (di qui la necessità di proseguire la battaglia contro l’inflazione) ma non c’è stato un crollo; quanto alla disoccupazione, sin qui non c’è stata l’impennata descritta e inoltre c’è un dibattito nei Paesi sviluppati sul fatto che una parte delle imprese semmai non trova la manodopera che richiede.
L’equilibrio
L’inverno non è stato così terribile (a parte per chi è coinvolto direttamente nella tragedia dell’Ucraina) e ciò è dovuto non solo al clima mite ma anche al fatto che il prezzo del gas naturale è calato (insieme a quello di altre materie prime) ed è oggi più basso di prima della guerra nell’Est Europa. Nel Mediterraneo purtroppo ci sono ancora tragedie, ma i flussi migratori Sud-Nord sono nel complesso inferiori a quelli di altre fasi. Tutto ciò mostra ancora una volta quanto sia sbagliato abbracciare profezie di sventura che non hanno sufficienti fatti e dati a sostegno. Sulla Russia di Putin, ad esempio, bastava guardare al suo peso limitato nell’ambito dell’economia mondiale, a dispetto delle sue grandi dimensioni. Questo non vuol dire che la guerra non crei problemi. Significa che le valutazioni vanno fatte sempre con equilibrio, evitando eccessi di ottimismo ma anche eccessi di pessimismo.
Svizzera, arriva una nuova conferma della sua ampia capacità di tenuta
Le cronache di questi giorni sul caso Credit Suisse hanno messo un po’ in seconda fila dati e previsioni della Segreteria di Stato dell’economia (SECO) sulla Svizzera. Mentre i riflettori non solo elvetici ma anche esteri si accendevano sui destini della seconda banca rossocrociata per dimensioni, è così rimasta in parte in ombra la nuova conferma della tenuta di fondo dell’economia svizzera. Infatti, se i dati del 2021 e del 2022 già avevano mostrato un buon andamento del Prodotto interno lordo (PIL) elvetico, considerando il contesto internazionale, queste nuove previsioni della SECO indicano una tenuta per quest’anno e per il prossimo.
Le cifre
Guardando al PIL corretto dagli eventi sportivi (la Confederazione è sede di organizzazioni internazionali dello sport, che curano eventi con ampio indotto), la Svizzera ha registrato una crescita economica del 3,9% nel 2021 e del 2,1% nel 2022. Quest’ultima percentuale, inferiore alla precedente ma ottenuta in un quadro di rallentamento mondiale, ha un significato positivo. Per quel che riguarda le previsioni, SECO indica ora una crescita economica dell’1,1% quest’anno e dell’1,5% il prossimo; le stime del dicembre scorso erano rispettivamente 1% e 1,6%. La Segreteria di Stato dell’economia esclude quindi una recessione per la Svizzera, sia per il 2023 sia per il 2024. Di nuovo, le cifre vanno valutate considerando il rallentamento internazionale e in questa chiave, soprattutto, hanno valore positivo. Per quel che riguarda il PIL al lordo degli eventi sportivi, questa la serie: 4,2% nel 2021, 2,1% nel 2022, 0,8% nel 2023 (non più 0,7%), 1,8% nel 2024 (non più 1,9%).
Interessante è anche vedere come secondo la SECO vanno le cose in tema di inflazione e disoccupazione in Svizzera. L’inflazione media annua è stata dello 0,6% nel 2021, del 2,8% nel 2022 e sarà del 2,4% (non più 2,2%) nel 2023 e dell’1,5% (previsione confermata) nel 2024. È chiaro che anche in Svizzera c’è stato rincaro e che quindi le percentuali dell’anno scorso e di quest’anno vanno valutate negativamente, perché sono sopra la soglia considerata massima, cioè il 2%. Quello svizzero rimane tuttavia un tasso di inflazione nettamente inferiore a quelli dei principali Paesi sviluppati. E se davvero entro il 2024, come prevede la SECO, l’inflazione annua tornerà ben sotto il 2%, ebbene si tratterà in questo caso di una tappa significativa.
Per quel che concerne la disoccupazione media annua a livello nazionale, la Segreteria di Stato dell’economia fornisce questo quadro: è stata del 3% nel 2021 e del 2,2% nel 2022; dovrebbe essere del 2% (non più 2,3%) nel 2023 e del 2,3% (non più 2,4%) nel 2024. La trasmissione degli effetti della crescita economica sul mercato del lavoro ha sempre i suoi tempi ed è quindi naturale che il forte rimbalzo del 2021 abbia fatto scendere in modo rilevante la disoccupazione nel 2022. Così, anche il rallentamento economico tra il 2022 e il 2023 dovrebbe far lievemente salire la disoccupazione nel 2024. Nel complesso, il tasso svizzero di senzalavoro rimane comunque tra i più bassi a livello mondiale e questi dati della SECO suonano come una conferma anche su questo versante.
La miscela
Una delle ragioni principali della tenuta di fondo dell’economia svizzera, che anche in altre fasi è emersa, è il mix di attività che la caratterizza. Pur essendo un Paese piccolo, la Svizzera ha saputo creare nel tempo una miscela di industria, finanza, commerci. Le attività economiche sono quindi ben diversificate e ciò consente di avere un buon equilibrio complessivo. La Svizzera ha inoltre sviluppato da tempo un alto grado di apertura economica. Pur mantenendo la sua piena autonomia politica, la Confederazione è molto presente negli scambi globali e proprio dai rapporti con l’estero trae una parte considerevole della sua crescita. In tema di mercati esteri, la Svizzera ha anche sviluppato negli ultimi anni una maggiore diversificazione; l’area dell’Unione europea resta principale, ma è rilevante anche il ruolo del Nord America ed è cresciuto quello dell’Asia.