Il reportage

Le promesse di Jair Bolsonaro e la sofferenza dell’Amazzonia

Non è bastato il summit sul clima indetto da Joe Biden per rilanciare la credibilità internazionale del presidente brasiliano - Il discusso politico vuole raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 - Ma intanto prosegue senza sosta la deforestazione del polmone verde
© EPA/MARCELO SAYAO
Maria Zuppello
24.04.2021 06:00

Non è bastato il summit sull’emergenza climatica voluto da Biden per rilanciare sul piano internazionale la credibilità del presidente del Brasile Jair Bolsonaro. Molte e belle sono state le promesse, certo, tanto che John Kerry, l’inviato speciale degli USA per il clima si è detto stupito. Per poi, però, aggiungere «la domanda è: saranno mantenute?».

Il cambio di registro

Sicuramente il presidente-capitano ha cambiato completamente registro rispetto al discorso tenuto davanti all’ONU lo scorso settembre in cui aveva definito il Brasile «vittima di una campagna brutale di disinformazione sull’Amazzonia». Stavolta, invece, come già si era capito dalla lettera inviata a Biden la scorsa settimana, la strategia comunicativa è cambiata. Bolsonaro ha promesso di ridurre le emissioni del 40% entro il 2030 anche se in cambio ha chiesto un «giusto compenso per i servizi ambientali» prestati dal Brasile. Tra i punti chiave del suo discorso oltre alla riduzione della deforestazione illegale sempre entro il 2030, anche il raggiungimento entro il 2050, con un anticipo di 10 anni, della cosiddetta «neutralità climatica» ovvero le cosiddette emissioni zero. E ancora, Bolsonaro ha promesso di «rafforzare gli organi ambientali, raddoppiando i budget per i controlli». Peccato però che proprio il suo governo abbia deciso nei mesi passati di tagliare il budget dell’IBAMA, l’organismo pubblico che si occupa di contrastare il disboscamento illegale. E senza finanziamenti i controlli diventano ormai sempre più rari e difficili. Se non bastasse, sempre sotto il suo governo sono stati tagliati anche i fondi dell’INPE, l’Istituto di ricerche spaziali, organismo responsabile della produzione dei dati relativi alla deforestazione. Inoltre, per la prima volta in Brasile, Bolsonaro ha aperto 237 riserve indigene per permettere la vendita di circa un milione di ettari di terra. Questo nonostante nel discorso di giovedì proprio agli indios abbia retoricamente teso la mano dichiarando che «bisogna valorizzare la foresta contemplando anche i loro interessi».

Il blocco dei fondi

Di tutto questo però Bolsonaro non ha chiaramente fatto menzione nel suo discorso mentre non ha esitato a battere pubblicamente cassa. Ogni anno del resto il suo discusso ministro dell’Ambiente Ricardo Salles cerca 1 miliardo di dollari in aiuti esteri da Paesi come gli Stati Uniti e la Norvegia per contribuire a ridurre la deforestazione in Amazzonia fino al 40%. Oslo, il più grande donatore del cosiddetto Fondo Amazônia, ha chiesto però a Brasilia di dimostrare che le misure di protezione stiano realmente funzionando. Anche perché dal febbraio del 2019 l’equivalente di quasi mezzo miliardo di franchi del Fondo Amazônia, che si potrebbero utilizzare per una maggiore fiscalizzazione, risultano di fatto bloccati dal governo brasiliano.

Dati preoccupanti

Intanto i dati che arrivano dall’Amazzonia sono sempre più preoccupanti. Da quando Bolsonaro è entrato in carica nel gennaio 2019, la deforestazione ha accelerato al massimo degli ultimi 12 anni. Dal 2000 al 2018 sono 425.051 i km2 di Amazzonia brasiliana distrutti, ovvero l’8% dell’intera foresta, secondo l’ultimo rapporto dell’ Amazon Geo-Referenced Socio-Environmental Information Network. Mentre il periodo da agosto 2019 allo stesso mese del 2020 secondo i dati ufficiali ha fatto segnare un +9,5% rispetto all’anno precedente. A questo ritmo si stanno distruggendo ogni anno l’equivalente di 3500 campi da calcio.

I tanti perché

Le cause sono tante: un traffico illegale di legno, di cui poco si parla ma che rischia addirittura adesso per volume e guadagni di superare quello della cocaina, e poi l’agrobusiness, con una lobby agguerrita che da sempre pressione il governo centrale di Brasilia. Come dimostra anche la recente vicenda che ha visto come protagonista il ministro dell’ambiente Ricardo Salles, a fianco di Bolsonaro nel discorso di giovedì, accusato dalla società civile e da Alexandre Saraiva, ex capo della polizia federale dell’Amazonas che per questo è stato ingiustamente rimosso, di essere esplicitamente dalla parte dei disboscatori. Proprio Salles nel 2019 aveva tentato di cambiare le regole di gestione del fondo Amazônia per sviare i fondi e usarli paradossalmente per indennizzare la lobby dei proprietari di terra.

Numerose le critiche al discorso di Bolsonaro da parte degli esperti brasiliani. Per Suely Araújo, ex presidente dell’IBAMA, «il governo attuale ha demolito quanto fatto in precedenza e chiede adesso soldi per correggere quello che ha distrutto». Polemiche anche sui dati relativi al bioma amazzonico. «Il presidente si è detto orgoglioso di una preservazione dell’84% del bioma ma non è così. Abbiamo deforestato in modo radicale circa il 20% della foresta cui si aggiunge un’area stimata tra il 10 e il 20% che ha subito vari livello di degrado». Per non parlare poi dell’effetto Covid. Nella maggior parte dei paesi grazie alla pandemia le emissioni sono diminuite, in Brasile sono aumentate proprio a causa della deforestazione dell’Amazzonia. Infine a lasciare tutti perplessi è il fatto che nelle stesse ore sia entrato in vigore l’accordo di Escazù siglato tra alcuni paesi dell’America Latina e dell’area caraibica per proteggere i diritti di chi difende l’ambiente. Il Brasile che pure è al terzo posto al mondo per omicidi contro gli ambientalisti lo ha firmato ma poi ha deciso di non ratificarlo.