Le sigarette elettroniche e quelle morti preoccupanti

Il flusso di notizie legato ai gravi casi di malattie polmonari dovute al consumo di sigarette elettroniche che arrivano dagli Stati Uniti inizia a preoccupare l’opinione pubblica. Così come i medici di tutto il mondo. Giornalmente, oramai, si registrano ricoveri, se non decessi. In particolare fra giovanissimi fumatori. Il cosiddetto «svapo», da moda, vizio, si sta trasformando in un problema di salute pubblica. Già. Ma cosa sappiamo, davvero, su questi prodotti relativamente recenti? «Sappiamo poco», ci spiega Marco Pons, pneumologo ticinese. «Ancora non abbiamo un’idea chiara di ciò che contengono queste sigarette elettroniche».
«Soprattutto – prosegue – non si conoscono gli effetti di questi prodotti sui polmoni. Qualche anno fa, quando discutemmo del tema nella Commissione della società svizzera di pneumologia, eravamo stati estremamente restrittivi nelle direttive che avevamo tracciato. Avevamo chiesto di non andare verso una liberalizzazione del mercato delle sigarette elettroniche. Per due ragioni. La prima: avevamo paura che questi prodotti potessero portare i giovani, i ragazzini, verso il consumo di tabacco o dei suoi derivati. La seconda: ancora non si conoscevano gli effetti sul sistema polmonare. Ed è esattamente quello che effettivamente è avvenuto negli Stati Uniti con la liberalizzazione, causa primaria di un’escalation massiccia del consumo di questi prodotti fra i ragazzini. Oggi, appunto, registriamo i primi casi oltre Oceano. Attenzione: non pazienti affetti da malattie ai bronchi, bensì da malattie infiammatorie non infettive del polmone che portano a difficoltà respiratorie acute. Una specie di polmonite diffusa, sì. E il sospetto è che siano proprio le sigarette elettroniche a provocare queste infiammazioni».
Un report preliminare
Per ora si tratta – come spiega Pons – di report preliminari redatti negli Stati dell’Illinois e del Wisconsin. Ma la tendenza è chiarissima. E preoccupante. «Il vantaggio, se così possiamo definirlo, di questi prodotti elettronici è che rispetto alle sigarette tradizionali non c’è combustione», prosegue lo pneumologo. «Vengono così a mancare centinaia di sostanze cancerogene legate alla combustione. Io ad esempio, ai fumatori incalliti e che proprio non riescono ad abbandonare il fumo, dico di provare con la sigaretta elettronica o quella riscaldante. Per provare a fumare di meno e poi, in un secondo tempo, a smettere del tutto, può essere effettivamente una soluzione. Ho visto vari pazienti ridurre il consumo. Però, ovviamente, i rischi sulla salute rimangono elevati. E i casi americani – seppur in mancanza della prova definitiva – lo dimostrerebbero. Inoltre, a produrre queste sigarette sono multinazionali come Philip Morris».
È solo l’inizio
Marco Pons avverte: «È solo l’inizio». Sì. Bisogna prestare la massima attenzione al fenomeno. «È molto difficile, allo stato attuale delle cose, risalire al processo di causa-effetto. In altre parole, ancora non c’è la certezza che sia effettivamente la sigaretta elettronica a creare queste gravi infiammazioni polmonari. Conosciamo però alcune malattie, come la rara polmonite eosinofila acuta in cui particolari globuli bianchi infiltrano il polmone. Abbiamo avuto anche da noi casi del genere, e sovente si verificano quando dei giovani iniziano a fumare intensamente, di colpo. In generale, l’enorme problema in Svizzera è che le sigarette e le sigarette elettroniche rientrano sotto il controllo della legislazione sulle derrate alimentari. E quindi diventa estremamente difficile poter fare qualcosa per arginare il tabagismo, le lobby che si oppongono – ad esempio – al divieto di pubblicizzare i prodotti del tabacco sono molto potenti».
Quando la causa si spaccia come soluzione
Nel rapporto sulla sigaretta elettronica pubblicato dal Cantone lo scorso anno, si legge: «Nella pubblicità le sigarette elettroniche vengono veicolate da chi le produce per lo più come strumento che aiuta a smettere di fumare o come un’alternativa più sana della sigaretta tradizionale. L’industria del tabacco tende a presentarsi non più come causa del problema ma come parte della soluzione». Insomma, l’industria del tabacco fa e l’industria del tabacco disfa.
Parliamo di un’industria che, dal punto di vista pubblicitario, ha sempre fatto scuola, anche senza la necessità di risalire all’idea del lifestyle advertising. Nello stesso campo della prevenzione, le grandi aziende del settore hanno imposto, loro stesse, i vari progressi. Se di veri progressi si può parlare. Basti pensare ai filtri e alle sigarette light. La sigaretta elettronica è un ulteriore passo in questa direzione. Possono coesistere, al di là delle leggi, il marketing del tabacco e l’etica? Lo abbiamo chiesto a Laura Illia, che tiene il corso di Marketing e etica all’USI e quello di Business Communication a Friburgo. «Non è che se lavoro per un’azienda di tabacco o di alcolici e promuovo questi prodotti faccio una cosa non etica. Molto, in questo senso, dipende dall’approccio dei singoli brand rispetto alle questioni sociali, alla creazione di valore sociale. Spesso, è vero, per chi lavora negli ambiti più aggressivi ogni occasione diventa buona per promuovere il proprio prodotto, nei limiti della legge».
Il passaggio massivo alla sigaretta elettronica? Non è una questione di marketing, ma di business. «Tutti stanno provando a spostarsi in un’economia circolare, in modo da aggirare il rischio di ritrovarsi senza materie prime. Non la vedo come una via per aggirare le regolamentazioni, bensì per mantenere il business sul lungo periodo». E il marketing semmai farà poi il resto. In questa direzione molto si fa, guardando ai giovani, attraverso i media elettronici. «Non funzionano più i cowboy, ora rende di più il product placement». È il potere degli youtuber. «Ecco, qui spesso è lecito chiedersi quanto sia un metodo etico di comunicazione».