L’Ebola torna a far paura in Africa

YAMBIO (dal nostro inviato) - Martedì il virus Ebola proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo (RDC) ha colpito l’Uganda con 3 casi accertati, facendo scattare l’allarme rosso tra gli operatori dell’Organizzazione mondiale della Sanità (OMS) in tutti i Paesi limitrofi. Dal 2018, la RDC sta vivendo un’epidemia considerata come la più grande dopo quella del 2013-2016 che ha colpito Guinea, Liberia e Sierra Leone (causando circa 30 mila morti). Nel nord ovest del Paese, a ridosso della frontiera con Uganda e Sudan del Sud (o Sud Sudan), si sono calcolati quasi 2 mila casi e più di 1.200 morti accertati. I primi contagi oltre confine, confermano i timori di un’espansione incontrollata dovuta alla porosità dei confini e ai controlli insufficienti.
Se in Uganda regna il panico, in Sudan del Sud il Governo e gli operatori umanitari stanno facendo di tutto da mesi per contenere i danni, cercando di sensibilizzare le comunità vicine al confine congolese attraverso azioni di prevenzione e introducendo misure di sicurezza oltre che un nuovo vaccino testato in Guinea nel 2016 e somministrato per ora solo al personale sanitario. Siamo andati nella cittadina di Yambio, nel Sud Sudan, a meno di 10 chilometri dal confine congolese, per vedere come si sono preparati gli abitanti.
Ebola, una parola che fa paura a tutti oggi ma che esiste dagli anni ’70. Dopo la presa di coscienza a livello internazionale della sua esistenza attraverso la disastrosa epidemia avvenuta in Africa Occidentale tre anni fa, oggi tutti sono in allerta per la seconda crisi maggiore di sempre, scoppiata nelle regioni nord-orientali della RDC (Nord Kivu e Ituri), al confine con il Sudan del Sud e l’Uganda. Qui è la foresta a dettare legge e le persone passano la frontiera attraverso sentieri incontrollati, aumentando il rischio di contagio in maniera esponenziale. In RDC è più di un anno che si è propagata l’epidemia di Ebola (di tipo Zaire) facendo più di mille morti. Una crisi che stenta a trovare una soluzione anche perché i mezzi messi a disposizione da parte delle organizzazioni internazionali sono pochi e il territorio è difficilmente controllabile. Il ripetersi del disastro di qualche anno fa è dietro l’angolo, e così, per prevenire un contagio inarrestabile, l’OMS ha deciso di intervenire almeno nelle regioni di frontiera negli Stati vicini, creando molta apprensione.
A Yambio, piccolo centro sud sudanese a ridosso della frontiera, l’OMS si muove con operatori locali di comunità in comunità per sensibilizzare e permettere alla popolazione di porre domande e capire i sintomi e la provenienza della malattia. «Tutte le comunità della regione sono consapevoli dei rischi. Abbiamo messo delle insegne e delle immagini nei mercati, sulla strada e quando gli operatori fanno prevenzione nei villaggi, portano dei disegni per facilitare la comprensione» commenta Viktor Diko, un supervisore. La tensione è alta, soprattutto per i numerosi contatti che la popolazione locale ha con i vicini congolesi. Molti di loro hanno familiari o amici, che incontrano regolarmente dall’altro lato della frontiera: «Queste persone condividono il territorio di confine con la stessa popolazione dall’altro lato, parlano la stessa lingua e si muovono senza permessi attraverso il confine».
Il problema, oltre al via vai incontrollato, è dovuto al commercio di carne di animali selvatici cacciati nella regione. Uno dei maggiori rischi. Scimmie, elefanti, scimpanzé e pipistrelli sono tutte specie considerate deliziose e quindi cacciate. Ma sono anche portatori «sani» della malattia. In special modo i pipistrelli fruttiferi, considerati anche da vari studi come una delle più probabili fonti del virus, ma che svolgono un ruolo fondamentale nella regione a livello di ecosistema. Gli studi finora effettuati, tuttavia, non hanno potuto provare la veridicità dell’ipotesi, già formulata in Liberia. Nonostante ciò, visto l’alto rischio di contagio, la popolazione è stata sensibilizzata sul pericolo che corre cibandosi di carne della foresta, creando molta paura: «Non vado più dall’altro lato. Come molti di noi d’altronde. Abbiamo interrotto i contatti con i nostri cari in Congo per paura - commenta Gabrielle, madre di 8 figli e abitante della comunità di Napere, vicino a Yambio - ho deciso di evitare la carne di animali della foresta. Ma tutto questo rischia di mettere in pericolo la nostra coesione sociale visto che, nel caso qualcuno fosse contagiato, non potremmo più avvicinare nessuno che ha contatti con lui». I rischi di contagio, come dimostrano i tre casi di Ebola arrivati in Uganda (e non sono i primi), mostra come il pericolo sia reale, così Viktor Diko: «Il rischio che Ebola arrivi anche da noi è molto alto. Il primo caso è arrivato a Wachu qualche mese fa, una località in Congo giusto dall’altro lato della frontiera. La popolazione è spaventata ma noi cerchiamo di mantenere la calma, mostrando come cercare di evitare il contagio e la propagazione del virus».
È qui che gli operatori sociali, oltre alle operazioni di controllo ai principali posti di frontiera e negli aeroporti, hanno un ruolo fondamentale. Attraverso delle immagini ben chiare, spiegano nelle lingue locali cosa fare per minimizzare il rischio di contagi, come proteggersi e quali sintomi si possono manifestare. Una volontaria afferma che «dopo aver spiegato come prevenire il contagio, ad esempio non bevendo acqua contaminata o evitando la carne selvatica, la gente è molto attenta e si impegna. Ora fanno bollire l’acqua e vanno a prenderla al pozzo e non più al fiume, ad esempio. Chiaramente evitano di mangiare i frutti che sono stati morsi dai pipistrelli, il rischio maggiore. Se possiamo però parlare di un problema, esso è rappresentato dall’arrivo del famoso vaccino. La gente si lamenta che sia somministrato solo agli operatori sanitari ma non ai civili. Pensano che potrebbe essere d’aiuto».
È proprio questa la questione che sta creando frizioni. Il vaccino rVSV- ZEBOV, studiato nel 2015 in Guinea e considerato molto efficace, è stato infatti introdotto nella regione del Congo e nei Paesi limitrofi nel 2018 ma non è stato ancora commercializzato. Introdurlo quindi, non sembra facile, come spiega il dottor Olushayo Olu (vedi intervista in basso), rappresentante dell’OMS in Sudan del sud. Sta di fatto che Ebola ha colpito dove non si voleva, minacciando seriamente di risvegliare i fantasmi del passato, anche se ora le autorità sembrano molto più consapevoli e preparate.