Il caso

«L'effetto Trump sui voli per gli USA? La verità è nei dati, non in certi titoli»

Il direttore generale della IATA, Willie Walsh, a muso duro: a suo dire, le politiche del presidente statunitense non stanno avendo effetto sulla domanda per i viaggi transatlantici
© HARISH TYAGI
Marcello Pelizzari
03.06.2025 21:00

«La verità è nei dati, non in certi titoli o in certe storie». Parole e musica di Willie Walsh, il direttore generale dell'Organizzazione internazionale di compagnie aeree (IATA), al termine dell'assemblea generale tenutasi oggi a Nuova Delhi. A che cosa si riferisce, di preciso, il massimo dirigente? Alla domanda per i viaggi fra Europa e Stati Uniti, vittima a suo dire di tanta, troppa disinformazione. Per dire: in Svizzera, negli ultimi giorni, la compagnia di bandiera Swiss ha parlato di «più passeggeri verso gli USA rispetto allo scorso anno» mentre le agenzie di viaggio, dal canto loro, hanno segnato un calo. Il cosiddetto effetto Donald Trump, presidente dalle politiche aggressive.  

Dove sta la verità, dunque? Nei dati, per dirla con Walsh. Detto in altri termini, Trump e le sue citate politiche aggressive – pensiamo a quelle tariffarie, ad esempio – non hanno ancora cancellato il desiderio e, di riflesso, la domanda dei passeggeri di attraversare l'Atlantico. Una buona, buonissima notizia per le compagnie, considerando quanto siano redditizie le rotte transatlantiche. Nel dettaglio, nonostante le forti preoccupazioni legate a un possibile rallentamento della domanda, sia per motivi politici sia, come detto, per motivi economici, i biglietti continuano a essere venduti. Ancora Walsh: «I dati mostrano che il traffico, nel 2025, è superiore a quello dell'anno scorso». Nonostante un leggero calo a marzo, il primo trimestre è stato effettivamente caratterizzato da una crescita, che sta continuando pure all'inizio del secondo trimestre. «Oggi la situazione è migliore di quanto potessimo temere al momento delle elezioni americane, quando non sapevamo quale sarebbe stato l'impatto sul nostro settore» ha dichiarato al quotidiano economico francese La Tribune Benjamin Smith, amministratore delegato di Air France-KLM. Smith ha parlato, in particolare, della tenuta nelle classi business e premium economy. 

L'ottimismo di Walsh e del settore, per contro, fanno a botte con uno studio del World Travel and Tourism Council (WTTC), organizzazione che riunisce i principali operatori turistici del mondo. Studio condiviso dall'agenzia di stampa AFP e riassumibile in una perdita di 12,5 miliardi di dollari per l'industria turistica a stelle e strisce. Walsh, in questo senso, qualche ammissione l'ha fatta: nei suoi colloqui con «numerosi amministratori delegati di compagnie aeree» è emerso «un certo rallentamento delle prenotazioni, ma nessuno sembra particolarmente preoccupato al momento». Smith, al riguardo, ha detto che «un impatto sull'economia c'è», in particolare «sui passeggeri che viaggiano per motivi di svago». Tuttavia, stiamo parlando di un impatto «non  enorme». Il capo di Air France-KLM ha assicurato che è possibile mitigare questo effetto e continuare a riempire gli aerei modificando le tariffe. «Il rendimento è un po' più basso del previsto, ma allo stesso tempo anche il prezzo del petrolio è più basso del previsto».

«La riluttanza dei consumatori può sempre essere compensata da misure di stimolo dei prezzi, come è sempre avvenuto in passato» ha rilanciato Walsh. «Alcune compagnie aeree hanno dichiarato di avere ancora la possibilità di considerare la stimolazione delle tariffe per aumentare la domanda sulle rotte transatlantiche». Trump, sia quel che sia, a detta del direttore generale di IATA c'entra fino a un certo punto. Anzi, non c'entra affatto. Le dinamiche legate ai voli fra Europa e Stati Uniti sono collegate e collegabili, semmai, al tasso di cambio, con un dollaro forte rispetto all'euro. Lo stesso Walsh, di suo, è parso conciliante rispetto a Trump: «Sento alcune persone dire ''non sono sicuro se voglio viaggiare negli Stati Uniti'' a causa dei titoli dei giornali. Leggo articoli sulle difficoltà alla frontiera. Ma sono stato negli Stati Uniti diverse volte quest'anno e non ho notato alcun cambiamento, anche se questo è solo un esempio». La verità è nei dati, insomma. E quelli, al momento, indicano che il traffico transatlantico tra Europa e Nordamerica sarà «leggermente migliore nel 2025 rispetto al 2024».