Leone XIV, un papa americano per ristabilire gli equilibri interni

«Le elezioni papali sono sempre imprevedibili, ma talvolta servono anche a ristabilire certi equilibri all’interno della Chiesa», afferma Agostino Paravicini, professore emerito di Storia della Chiesa all’Università di Losanna.
In questo senso, l’elezione di un Papa americano non sorprende il professore: «Questa scelta può essere interpretata come un tentativo del conclave di ricucire i rapporti con il mondo statunitense, che si erano in parte raffreddati durante il pontificato di Francesco». Il conclave - prosegue - ha spesso dimostrato di saper leggere le tensioni interne e di saperle riequilibrare attraverso la scelta del nuovo pontefice.
Per quanto riguarda, invece, la scelta del nome, Paravicini avverte subito come il pontefice abbia scelto il nome di un Papa di oltre un secolo fa. «Possiamo immaginare che si richiami a Leone XIII, e non a Papi più antichi. Sicuramente non a Leone X, che evoca l’immagine di un Papa non in sintonia con i tempi moderni. Richiamandosi a Leone XIII, l’attuale pontefice ha creato un collegamento con l’autore del Rerum Novarum, che è la prima grande enciclica moderna di carattere sociale che ha offerto al cattolicesimo la possibilità di dialogare con il mondo del lavoro e con i problemi sociali».
Un segnale quindi di apertura che si inserisce in una precisa visione episcopale: «Vogliamo essere una Chiesa sinodale che cammina e che cerca la pace», ha detto nel suo discorso inaugurale pronunciato dal loggiato della Basilica di San Pietro. Ossia, una Chiesa che «cammina assieme» (sinodale significa proprio questo) che non decide in modo verticistico, ma che ascolta, discute e coinvolge tutto il popolo di Dio: laici, religiosi e vescovi. Nello stesso tempo, le parole di Leone XIV suggeriscono l’immagine di una Chiesa «in movimento», ossia capace di rinnovarsi, non ferma e chiusa su sé stessa.
Secondo Paravicini, si tratta di un chiaro riferimento alla linea di papa Francesco che ha effettivamente promosso la sinodalità come stile ecclesiale. Tuttavia, «è un riferimento quasi inevitabile a papa Bergoglio, del tutto comprensibile, ma anche un richiamo al suo predecessore con cui il nuovo Papa deve, in qualche modo, confrontarsi». Secondo il professore, queste parole non devono essere lette come una dichiarazione di identità religiosa. Più significative, da questo punto di vista, sono due espressioni di carattere teologico presenti nel suo discorso. La prima è il riferimento reiterato a Cristo, in particolare, al titolo di «vicario di Cristo», che invece Bergoglio aveva soppresso. «Si tratta di una scelta interessante su cui occorrerà ragionare», dice Paravicini. La seconda, molto più esplicita, è l’appartenenza alla tradizione agostiniana: «Sono un figlio di Agostino», ha detto Leone XIV. Ovvero un Papa che appartiene all’Ordine di Sant’Agostino, una delle famiglie religiose della Chiesa cattolica che seguono la regola e la spiritualità di Sant’Agostino. «Parliamo di una teologia che unisce fede e ragione, con un forte senso della grazia di Dio e un’acuta coscienza del peccato e del cammino interiore verso Dio». Teorico del libero arbitrio e dell’errore, Sant’Agostino è uno dei padri della filosofia cristiana, «ma non c’era mai stato un Papa agostiniano». Paravicini, inoltre, osserva che «anche Lutero era un agostiniano. In un certo senso, è quindi un Papa che può dialogare con il mondo protestante, in quanto Lutero viene dallo stesso ordine».
Non sorprende neppure che Leone XIV abbia deciso di rinunciare all’inglese: «È una scelta diplomatica che condivido. L’impressione è che non abbia voluto imporsi come Papa americano. È un segno di prudenza».
Più in generale, secondo Paravicini, il nuovo Papa potrebbe contribuire non solo a ristabilire i rapporti con il mondo americano, ma anche a ricucire le divisioni interne alla Chiesa, che negli ultimi anni si sono acuite. «Come il mondo, anche la Chiesa cattolica oggi è frammentata», osserva Paravicini. «Basti pensare alle distanze tra la Chiesa africana e il sinodo tedesco: esistono visioni diverse, spesso in tensione tra loro». In questo contesto, papa Francesco ha talvolta accentuato le divergenze, portando avanti un orientamento percepito da alcuni come radicale. Per Paravicini, la scelta del nuovo pontefice risponde anche all’esigenza di ritrovare una maggiore coesione interna. «Non a caso, nel suo primo discorso, la parola ‘unità’ è tornata più volte. Il riferimento a una “Chiesa unita”, a una Chiesa che costruisce “ponti” sono un chiaro indizio della direzione che Leone XIV intende dare al suo papato. Se davvero riuscirà in questo intento, sarà tutto da vedere». La ricerca di un’unità della Chiesa, del resto, è il filo rosso della storia del papato degli ultimi decenni, aggiunge l’esperto.
Unità che, all’esterno della Chiesa, diventa «pace», l’altra parola reiterata da Leone XIV nel suo discorso. Un concetto che, nel contesto storico attuale, assume un significato chiaro; e che attribuisce alla Chiesa di Leone XIV la volontà di essere presente nel dibattito politico e geopolitico. «È un riferimento inevitabile all’attualità, ma per quanto abbiamo potuto ascoltare finora, si tratta di un richiamo generale, privo di prese di posizione esplicite», osserva Paravicini. «Papa Bergoglio, al contrario, andava oltre il semplice invito alla pace: prendeva posizione in modo chiaro e diretto come su Gaza».
Certo, è ancora presto per capire la tempra del nuovo Papa, «ma il riferimento all’attualità senza un’esplicita presa di posizione, che peraltro non poteva essere manifestata ieri sera, fa riflettere sull’impostazione che Leone XIV potrebbe dare rispetto a Francesco». Insomma, i segnali lanciati dal nuovo Papa fanno presagire una posizione di maggiore moderazione e cautela diplomatica: «Sia il richiamo al nome Leone, sia la scelta di indossare nuovamente il bianco e rosso sono segnali evidenti di continuità con la tradizione, in contrasto con lo stile di papa Bergoglio, che aveva invece abbandonato il rosso», chiosa Paravicini. Tuttavia, secondo lo studioso, non sarebbe corretto etichettare il nuovo Papa agostiniano - che ha trascorso vent’anni come missionario in Perù - come un conservatore. «È certamente più cauto e più diplomatico rispetto a Bergoglio», spiega. «Non a caso la sua moderazione era apprezzata sin dall’inizio da molti cardinali, provenienti da aree anche molto diverse della Chiesa».