Elezioni americane

L’Europa e il bagno di realtà

Crescono gli interrogativi degli alleati di fronte a una possibile vittoria di Trump a novembre - Ma come cambierebbero i rapporti economici e di politica estera con il Vecchio Continente? - L’esperto Vittorio Parsi: «L’imprevedibilità è la sua caratteristica principale»
© Evan Vucci
Francesco Pellegrinelli
24.07.2024 06:00

«Trump dice tante cose, per fortuna non fa tutto quello che dice». Vittorio Emanuele Parsi è ordinario di Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Basterebbe ricordare quanto dichiarato dal candidato repubblicano solo qualche mese fa: «Mosca potrebbe fare tutto quello che vuole con i membri dell’Alleanza atlantica che non rispettano i patti sulla spesa militare». O il più esplicito: «Se l’Europa venisse attaccata non verremmo ad aiutarvi» pronunciato a margine del WEF di Davos nel 2020. Dichiarazioni in perfetto stile Trump, «sparate» che di fronte a una possibile rielezione del candidato repubblicano alla Casa Bianca preoccupano più di un alleato europeo.

Soluzioni a metà

«L’imprevedibilità è la caratteristica principale di Trump», osserva a questo proposito Parsi. Imprevedibilità (soprattutto in politica estera) che ha spinto diversi capi di Stato a ragionare seriamente su un suo possibile ritorno nella stanza Ovale a novembre. Non a caso il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, consapevole di una possibile svolta a Washington, negli scorsi giorni ha contattato l’ex presidente in cerca di un futuro sostegno militare. «Metterò fine alla guerra in un solo giorno», ha fatto sapere dal canto suo Trump. Un’altra abile e tagliente uscita che solleva in realtà più interrogativi di quanti ne risolva.

«Dal punto di vista di Zelensky si tratta di capire quanto realmente Trump voglia chiudere i cordoni degli aiuti militari in Ucraina», osserva Parsi. Allo stesso tempo, però, si dovrà capire quale sarà la strategia di Trump di fronte alla crisi. «Lavarsene le mani non è un’opzione».

Condividere gli oneri

Un eventuale disimpegno americano in Ucraina toccherebbe infatti tutta l’Europa. «Di certo, il problema del conflitto non verrebbe risolto. Anzi». Allo stesso tempo, Trump dovrà chiarire la sua strategia verso i partner europei della NATO, da tempo chiamati alla cassa per sostenere la spesa militare, conformemente agli impegni presi sotto l’amministrazione Obama.

Sebbene la cosiddetta «condivisione degli oneri» sia sempre stata centrale nelle relazioni euro-americane, Trump l’ha trasformata in una priorità politica, utilizzandola come cavallo di battaglia sia a livello internazionale che all’interno degli Stati Uniti. «Con l’elezione di Trump, l’Europa sarebbe chiamata a provvedere in maniera più autonoma alla propria sicurezza», dice Parsi. Per quanto un disimpegno USA in Europa non equivarrebbe a uno smantellamento completo della presenza militare, Parsi si interroga sulla reale protezione nucleare sotto un’eventuale presidenza Trump: «In che misura questa protezione sarebbe realmente attiva in caso di vittoria del candidato repubblicano?». L’esperto ricorda quindi l’articolo 5 del trattato dell’Alleanza atlantica, secondo cui «l’attacco contro uno o più membri è considerato un attacco contro tutti». Parsi fa però notare che «i membri possono (e non devono) decidere la risposta militare». Una sottile differenza d’interpretazione che nell’ottica europea, con Trump alla testa, potrebbe diventare sostanziale. Visto che l’Europa non dispone del medesimo arsenale nucleare vantato da USA e Russia, il Vecchio Continente (fatta eccezione per il modesto deterrente francese) si troverebbe piuttosto sguarnito. «La politica estera di Biden si fonda sull’idea che l’America è un gigante solitario circondato da Paesi ostili e alleati poco leali». Una visione problematica per far funzionare le istituzioni internazionali e per andare nella direzione di stabilizzare l’Atlantico e il Medio Oriente, aggiunge ancora Parsi. «Oggi l’Europa ha problemi con i nemici, la Russia, e con i rivali, la Cina. Ora dovremo mettere in conto di avere problemi anche con i partner, ossia gli Stati Uniti». Ma attenzione, ribadisce subito Parsi: «I problemi europei non derivano (solo) da un’eventuale elezione di Trump, ma soprattutto da una scarsa consapevolezza del duro costo della sicurezza e della competitività economica».

Protezionismo e dazi

L’economia, appunto. Al di qua dell’Atlantico, le decisioni di Washington non influenzeranno solo l’assetto militare. Trump, fervente sostenitore dell’«America First», non indugerà a impiegare il potere degli Stati Uniti per proteggere il mercato interno. Un aspetto messo in evidenza da molti analisti e condiviso anche da Parsi: «Trump ha già dichiarato di volere introdurre nuovi dazi nei confronti dell’Europa. Le polemiche che abbiamo avuto con Biden riguardo al piano di rilancio dell’economia americana, il cosiddetto Inflaction Reduction Act che noi europei abbiamo definito “protezionista”, fanno intendere come le cose potrebbero cambiare in peggio con Trump». L’instabilità economica che il candidato repubblicano potrebbe provocare in Europa sarebbe ancora più significativa. Un esempio? La transizione verde su cui l’Europa ha scommesso e investito tanto. «Con Trump alla Casa Bianca ci ritroveremmo ad avere non solo i cinesi e i russi molto più tiepidi (eufemismo) sul tema, ma anche gli americani». E ancora: «Un conto per l’Europa è rallentare la spinta verso la transizione; un conto è accorgersi che gli altri vanno in un’altra direzione».

Rafforzare le regole

Di fronte a un mondo che cambia, l’Europa è quindi chiamata a un bagno di realismo, dice Parsi. «Nel contempo, deve rimanere però coerente con alcuni principi democratici e liberali che ne hanno ispirato l’esistenza». Detto altrimenti: occorre adattarsi senza svendere quel compendio di norme, regole e principi che ha permesso al Vecchio Continente di prosperare, garantendo il benessere sociale. Piuttosto che tornare a un mondo di protezionismo che non interessa a nessuno, nemmeno agli Stati Uniti, occorre rafforzare le regole del mercato, dice Parsi. Questo - prosegue l’esperto - vale soprattutto per l’Europa che deve mantenere integro, nel nome della libertà, tanto il libero mercato, quanto il sistema democratico. «Il problema è che né i russi né i cinesi sono interessati a salvaguardare questo modello, ed è chiaro che un’eventuale rielezione di Trump renderebbe tutto più complicato». E con l’elezione di una democratica come Kamala Harris, invece, cambierebbe realmente qualcosa? «L’elezione di Harris garantirebbe una certa continuità, sia in termini di politica economica che di politica estera. Ma soprattutto, per i Paesi che guardano con simpatia alla Russia e alla Cina, l’elezione di un candidato democratico renderebbe più difficile mantenere tale posizione rispetto a quanto accadrebbe invece con un’eventuale elezione di Trump». Ad ogni modo, conclude Parsi, «l’Europa è chiamata a un cambio di passo e a un bagno di realtà».