L'intervista

«L’Europa rivaluta i rapporti con la Cina alla luce di quanto accaduto in Ucraina»

La rivalità economica e strategica tra Washington e Pechino ha delle ripercussioni anche sulle piccole e medie potenze asiatiche ed europee — Ne abbiamo parlato con la sinologa Simona Grano
Il presidente cinese Xi Jinping (a sinistra) riceve a Pechino il suo omologo filippino Ferdinand Marcos Junior. © EPA/Yao Dawei
Osvaldo Migotto
14.01.2023 06:00

La rivalità economica e strategica tra USA e Cina ha delle ripercussioni anche sulle piccole e medie potenze asiatiche ed europee. Nel libro «China-US Competition, Impact on Small and Middle Power’s Strategic Choices» che sarà pubblicato a giorni, viene analizzata la situazione in 5 Paesi europei e in 4 asiatici. Tra di essi figurano anche Svizzera, Germania e Giappone. Abbiamo intervistato la sinologa Simona Grano, coautrice del libro.

Nel libro che lei ha scritto con Wei- Feng Huang emerge che la rivalità economica e strategica tra USA e Cina ha ripercussioni più negative in Europa o in Asia?
«La vicinanza geografica alla Cina dei Paesi dell’aria asiatica, secondo noi, ma anche secondo chi ha analizzato la situazione negli Stati presi in esame, fa sì che i Paesi asiatici valutino questa sfida geopolitica in maniera più seria di quanto facciano i Paesi europei che si trovano molto più lontani dal teatro di una possibile guerra. È però vero che dopo l’invasione russa dell’Ucraina anche i Paesi europei hanno capito che i loro rifornimenti di prodotti provenienti dalla Cina dipendono dalla stabilità in Asia. Per cui ora i Paesi europei si preoccupano maggiormente di questioni di geopolitica e sicurezza internazionale».

Ciò ha avuto delle ripercussioni nei rapporti tra Cina ed Europa?
«Sì, possiamo dire che ciò ha creato una maggiore distanza tra Cina ed Europa. Il Governo cinese negli anni passati considerava l’UE come una regione del mondo dove poteva perseguire i propri interessi economici con minori tensioni geopolitiche rispetto a quelle presenti nelle relazioni tra Pechino e Washington. Poi l’invasione russa dell’Ucraina ha costretto l’UE e i suoi Stati membri a rivedere in modo drastico sia i rischi, sia i benefici del commercio con la Russia, e visto il legame di Xi Jinping con Putin, tale rivalutazione si sta ora estendendo alle autocrazie e alla Repubblica Popolare Cinese».

In diversi Paesi c'è una certa preoccupazione per l'eccessiva dipendenza dalle importazione di prodotti cinesi

Nei Paesi presi in esame nel suo libro è già scattato l’allarme per l’eccessiva dipendenza dalle importazioni di prodotti cinesi in diversi settori economici? 
«Sì, in diversi dei Paesi che abbiamo analizzato c’è una certa preoccupazione per questa dipendenza. Non è però così chiaro come questi Stati stiano cercando di cambiare le cose. Ad ogni modo anche in Germania, uno dei Paesi da noi analizzati, il cancelliere Scholz parla della necessità di ridurre la dipendenza dalla Cina e di diversificare i mercati da cui si importano merci. Berlino in particolare vuole ridurre la dipendenza dalla Cina dei grandi conglomerati tedeschi».

Cosa può invece dirci sulla situazione nei Paesi asiatici? 
«Tra quelli da noi analizzati vale la pena ricordare il caso nipponico. Tokyo da un lato conta sull’alleanza con gli USA che hanno garantito la sicurezza del Giappone dal 1952, mentre dall’altro ha nella Cina il partner commerciale di gran lunga più importante. Il Giappone è interessato a mantenere e anche a espandere i rapporti economici con Pechino, però, proprio l’atteggiamento sempre più minaccioso della Cina nei confronti di Paesi come Taiwan, ha portato il Governo nipponico a schierarsi sempre più apertamente dalla parte degli USA, e anche a decidere di raddoppiare il suo budget militare. Tokyo ha inoltre stilato piani di difesa, ma anche di contrattacco, mosse che in passato in Giappone rappresentavano un tabù».

Tra i Paesi europei presi in esame nel libro ne figurano tre dell’UE. Vi sono strategie comuni a livello UE per evitare ripercussioni negative dal braccio di ferro in atto tra USA e Cina? 
«Non molte purtroppo. Ogni Paese analizza la propria situazione e poi agisce in base a quelli che sono i propri interessi. Lo abbiamo visto ad esempio nel caso del cancelliere tedesco Scholz che non ha accettato l’invito del presidente francese Macron a recarsi insieme in Cina per incontrare Xi Jinping, e ha preferito andarci da solo. Nel libro abbiamo analizzato il contesto domestico dei Paesi presi in esame e abbiamo constatato che i singoli Governi agiscono soprattutto tenendo in considerazione le aspettative del proprio elettorato e quello che l’opinione pubblica pensa della Cina. Ciò non toglie che a livello europeo e soprattutto in Germania si parli sempre più di una coordinazione delle politiche europee nei confronti della Cina. Per ora sono solo parole, però visto che negli ultimi tre anni sono successe molte cose che hanno rivoluzionato il modo con cui gli europei guardano alla Cina, non è da escludere che nel corso dei prossimi anni si proverà a coordinare meglio le strategie delle varie capitali europee nei confronti di Pechino, in modo da fare fronte comune».

Considerati i cambiamenti in atto, la Via della Seta, su cui punta molto Pechino, nell’UE oggi è vista ancora come un’opportunità commerciale o anche come un temibile strumento dell’espansionismo cinese? 
«Questo è un dibattito che si è avviato negli ultimi due o tre anni. Ci si interroga sempre di più, non solo a livello europeo, di quali alternative potrebbero venir presentate ai Paesi in via di sviluppo da parte europea e americana, in modo da contenere gli investimenti cinesi. Del resto molti dei contratti sottoscritti tra Cina e Paesi in via di sviluppo nell’ambito della Nuova Via della Seta (l’iniziativa strategica della Cina volta a migliorare i suoi collegamenti commerciali con i Paesi dell’Eurasia n.d.r.) hanno rivelato che i prestiti concessi da Pechino a questi Stati hanno causato un loro forte indebitamento. Inoltre, molto spesso nella realizzazione delle infrastrutture progettate in tale ambito viene impiegata manovalanza cinese, invece di offrire lavoro alla popolazione locale. Tutto questo ha cambiato negativamente l’immagine della Cina agli occhi dei Governi che inizialmente avevano accettato con favore gli investimenti di Pechino. In Occidente si discute quindi sulle alternative da offrire ora ai Paesi in via di sviluppo. Anche perché in passato l’Occidente non aveva prestato attenzione alle richieste di questi Paesi, lasciando spazio alla Cina che ha potuto così ampliare la sua area di influenza».

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