«L’Europa vive grazie al suo passato ma deve includere e reinventarsi»

Stravagante lo è, lo scrittore olandese, ma genovese d’adozione, Ilja Leonard Pfeijffer. Ad osservarlo potrebbe sembrare uno scrittore per caso, mentre ha alle spalle un passato autorevole e solido di classicista che emerge anche nel recente Grand Hotel Europa (ed. Nutrimenti) romanzo che attraverso il racconto e i ricordi di una storia d’amore che si dipana tra Genova e Venezia, si trasforma in un’originale metafora della nostra complessa contemporaneità. Lo abbiamo intervistato.
Ilja Pfeijffer, Gran Hotel Europa è una falsa autobiografia, visto che il protagonista (e io narrante) porta il suo nome di battesimo. E che contiene alcuni dati riconducibili a lei, ad esempio il fatto che a un certo punto ha deciso, di lasciare l’Olanda e trasferirsi a Genova. Come mai? Si è mai pentito?
«No, affatto. Sono arrivato a Genova durante un viaggio e mi sono innamorato di quella città. Ho deciso di fermarmi per un breve periodo, ho affittato un appartamentino per due mesi e poi altri due mesi e poi altri due mesi e così sono passati dodici anni».
Nel romanzo lei si prende un po’ gioco della mentalità olandese, nel libro, dice che l’Olanda non è la vera Europa.
«L’Olanda è una palude beata alla foce del Reno, un Paese senza problemi. Ma non vuol dire che la gente lì viva meglio. L’Olanda è un Paese tranquillo dove ho vissuto bene per più di quarant’anni una vita molto comoda, sicura. La cosa che ho ritrovato a Genova e che l’Italia mi ha regalato è stata la capacità di stupirmi. Ci tengo però a dire che il fatto che sono olandese non implica che io condivida le posizioni prese dal mio governo in Europa».

Il tema centrale del libro però non è l’Italia ma l’Europa. Un continente in declino?
«Una caratteristica fondamentale della nostra identità europea è che siamo circondati dal nostro passato, qualcosa di tangibile e onnipresente. Ovviamente è la nostra ricchezza, molto positiva, ma magari c’è anche un rovescio della medaglia. Quando si vive sempre circondati da monumenti e dal ricordo di secoli gloriosi è facile pensare che i tempi migliori li abbiamo alle spalle. Ci sono anche argomenti oggettivi per arrivare alla stessa conclusione. Ad esempio politicamente l’Europa non ha più il ruolo che aveva un tempo, ed è forse meglio così. Questa idea della decadenza fa parte da sempre dell’identità europea. Però significa anche che l’Europa è arrivata a un momento della storia in cui deve reinventarsi».
E secondo lei, la risposta è nell’immigrazione?
«L’Europa per crescere deve includere, aprirsi, integrare altre culture. L’immigrazione non si fermerà perché è il frutto della disperazione di gente pronta a perdere la vita. Si tratta di affrontarla con intelligenza, vedere questi flussi come una risorsa e non un ostacolo».
Il suo Grand Hotel è in disfacimento, ma arrivano i cinesi: spendono, ristrutturano, sostituiscono i lampadari di Murano con gli Swarovski, le cineserie di fine secolo con arredamenti da pub inglese. Un’allegoria del destino dell’Europa?
«Non so se è un’allegoria, ma certamente un simbolo del mondo che avanza e della perdita di autenticità. Mettono tutto a posto secondo un gusto completamente diverso dal nostro».
Nel suo libro la storia d’amore del protagonista si intreccia con la ricerca di un quadro scomparso e ritrovato di Caravaggio. Esiste davvero questo quadro?
«Alla fine della sua vita Caravaggio, per scampare alla condanna a morte per decapitazione, aveva composto tre quadri destinati a ingraziarsi il potente cardinale Scipione Borghese, capo della curia romana: due erano dedicati a San Giovanni Battista e uno a Maria Maddalena. I primi due sono stati ritrovati, mentre sull’identificazione del quadro della Maddalena persistono dei dubbi, anche se gli studiosi lo hanno autenticato. Io ho aggiunto la mia versione, secondo cui questa validazione non può essere vera».
Quando parla del viaggio di Ilja a Skopje in Macedonia, sembra anticipare le problematiche degli sfregi al patrimonio artistico. Cosa pensa delle rimozione delle statue degli eroi del passato?
«Non esiste una risposta semplice su questo. Io penso che censurare il passato non sia giusto anche perché non funziona. Secondo questa logica potremmo anche distruggere Auschwitz. Il passato non lo si cambia abbattendo le statue, anzi forse i monumenti servono proprio a ricordare i nostri errori e a tenere viva la memoria».