«L’IA tra potenziale e minacce, l’USI ne promuove un uso critico»

Molti dei giornalisti oggi attivi nel panorama della Svizzera italiana si sono formati all’USI. Ora, con i media in crisi economica, la professione forse non è più ambita come agli albori della Facoltà di comunicazione. Parte da queste riflessioni l’intervista al nuovo decano Matthew Hibberd, in carica dal 1. settembre.
Professor Hibberd, dal suo osservatorio, qual è lo stato di salute dei media oggi?
«La Svizzera mantiene un sistema dei media competitivo di buona qualità, che soddisfa molte delle esigenze democratiche e commerciali del Paese. Ricordo che per la Svizzera, in quanto democrazia diretta, è particolarmente importante basarsi su un sistema dei media di qualità, ma anche diversificato, che garantisca un’informazione completa alla popolazione e favorisca la libera formazione dell’opinione pubblica. In questo contesto rilevo l’importanza nel nostro Paese della complementarità tra i media privati e il servizio pubblico radiotelevisivo, che offre molti aspetti chiave tra cui notizie e giornalismo di qualità, produzioni originali, formazione e altri servizi professionali legati al web e al lavoro comunitario. A livello internazionale, come in Svizzera, si soffre la concorrenza delle grandi piattaforme tecnologiche globali, che si accaparrano grandi fette di pubblicità online e di attenzione del pubblico. Ma le aziende dei media sono più professionali che mai. La redditività è il punto di riferimento chiave, anche se rimangono pressioni politiche e differenze regionali. Sarà interessante vedere, ad esempio, come il presidente Trump si comporterà con le aziende di media cinesi e internazionali e la reazione della Cina nel limitare il potere di TikTok. Il potere dei social media è più grande che mai e rimango preoccupato per il loro impatto sui nostri giovani nelle loro relazioni sociali, sulla tolleranza e sulla salute mentale».
Formate da sempre giovani giornalisti. Con i media in crisi, come parlare ai giovani in formazione delle difficoltà del settore?
«I giovani professionisti di oggi si trovano ad affrontare numerose sfide, ma godono altresì di molte nuove possibilità. Tutte le organizzazioni e le aziende oggi gestiscono anche social media e siti web. Di riflesso, è cresciuto notevolmente il numero di organizzazioni e aziende alla ricerca di giovani professionisti con competenze digitali e nei contenuti. Fatta questa premessa, va detto che le opportunità di lavoro in alcuni settori, compreso il giornalismo, sono impegnative a causa dei cambiamenti registrati in tali ambiti, del maggiore outsourcing e del crescente utilizzo della tecnologia, inclusa l’intelligenza artificiale. Penso che i nostri studenti siano orientati alla carriera, ma abbiano anche una visione più ampia dell’università, un luogo chiave dove tessere reti personali e professionali».
Quale sarà lo spazio del giornalismo tra le professioni del futuro?
«Io sono ottimista, a patto che il giornalismo riesca a mantenere la sua rilevanza. Il giornalismo deve ritrovare consapevolezza del suo ruolo storico non solo di riferire, ma anche di approfondire e commentare notizie e affari attuali. In questo risiede la rilevanza. Oggigiorno circola più informazione che mai, ma per orientarsi serve un giornalismo di qualità, capace di creare un legame di fiducia con il proprio pubblico. È altresì importante che rimanga una pluralità di voci di qualità e che i giornalisti possano mantenere l’autonomia da interessi ristretti sia commerciali sia politici. La presenza di un’industria solida è positiva per il nostro benessere economico, ma anche per le tradizioni e le pratiche democratiche».
Ha citato l’intelligenza artificiale. La vede come una minaccia per le professioni di giornalista e di esperto di comunicazione? E quali sono, piuttosto, le opportunità da cogliere in questo preciso momento storico?
«Riesco a vedere sia il potenziale, sia le minacce causate dall’intelligenza artificiale. Gli strumenti di intelligenza artificiale possono essere utilizzati come tali, per cercare di aiutare e proteggere le persone e le loro vite. Basti pensare a come l’intelligenza artificiale potrebbe essere utilizzata nelle scienze diagnostiche. Allo stesso modo, gli strumenti di intelligenza artificiale vengono utilizzati anche nella produzione di disinformazione, che causa conflitti tra le persone. Abbiamo visto tutto questo all’opera nelle guerre in corso. Il potere dell’intelligenza artificiale richiede un monitoraggio costante e un’attenzione particolare da parte di organizzazioni, autorità politiche e cittadini».


Come entrano le nuove tecnologie nella Facoltà e nel percorso accademico degli studenti?
«Le nuove tecnologie sono presenti nella Facoltà fin dagli esordi come materia di insegnamento e sono state progressivamente integrate. Esse hanno preso definitivamente piede nell’esperienza formativa durante il COVID-19, quando da un giorno all’altro siamo passati alle lezioni digitali. Tuttavia, rilevo che la maggior parte dei docenti e degli studenti ha accolto con favore il ritorno all’insegnamento in presenza. Credo anche che l’intelligenza artificiale finirà per influenzare gran parte della vita universitaria, dall’esperienza di apprendimento degli studenti, al processo di valutazione e di esame, ai metodi di insegnamento fino ai diversi processi di gestione. Ne stiamo vedendo l’utilizzo in molti altri settori, nel bene e nel male. L’USI fin dall’inizio ne ha incoraggiato un uso creativo, critico e responsabile, promuovendone una sperimentazione e un uso trasparenti».
Dal 1996 a oggi, il mondo per certi versi si è trasformato sulla spinta del digitale. In questo senso, la Facoltà di comunicazione dell’USI si è evoluta con adeguato tempismo?
«Credo di sì. Parte del nostro sviluppo è stato cambiare il nome della Facoltà qualche anno fa (era Facoltà di Scienze della comunicazione, ndr), per riflettere meglio ciò che facciamo. La Facoltà di comunicazione, cultura e società e la sua comunità accademica vedono la crescente importanza del dialogo e dei media nel mondo digitale. La nostra Facoltà comprende esperti in settori cruciali come l’intelligenza artificiale, il turismo e la moda, il cambiamento climatico, il marketing e il comportamento dei consumatori, il cambiamento e le tecnologie digitali, l’argomentazione e il dialogo, le politiche pubbliche e lo sviluppo culturale e linguistico italiano».
Quali sono le difficoltà nel formare comunicatori in un cantone piuttosto chiuso come il Ticino?
«I nostri punti di forza includono insegnamento e ricerca della massima qualità. Rimaniamo nella top 10 delle piccole università mondiali. Nonostante il fatto che il Ticino sia un cantone piccolo, non credo che soffriamo di una mentalità chiusa. All’USI i professori sono accessibili, cosa che semplicemente non avviene nelle università cittadine più grandi. Chiaramente, molti studenti si recheranno all’estero per costruire la propria carriera e i nostri dati sull’occupazione dei laureati dimostrano i meriti nello studio in un’università più piccola. Preciso che ovviamente la Facoltà non esiste per servire solo i bisogni del mercato locale: l’ambiente fortemente internazionale dell’USI apre anche a carriere nazionali e internazionali, come dimostrano i nostri dati».
In tempi incerti e complessi, fondamentale è la trasparenza nella comunicazione, in particolare nei media. Eppure le fake news vivono una fase quasi di normalizzazione. Come fare a riportare attenzione e disgusto nei confronti delle fake news e di un’informazione contaminata da interessi individuali?
«Le fake news e la disinformazione, provenienti soprattutto da attori statali, rappresentano una minaccia per la vita e la cultura socialdemocratica. Sfortunatamente, al momento sembra esserci poca azione concertata a livello internazionale per affrontare questa piaga. La lotta alle fake news richiede un intervento più forte da parte dell’industria, delle autorità e, soprattutto, uno sforzo di educazione digitale di tutti i cittadini per aiutare a identificarle e riconoscerne i pericoli».
Rimanendo su questa epoca, tra pandemia e conflitti, abbiamo visto quanto sia complesso, anche per gli stessi professionisti della comunicazione e dei media, trovare i giusti interlocutori e quindi una lettura dei fatti che sia il più possibile vicina alla verità. Ecco, come possiamo allenarci al vero? E qual è il compito di una Facoltà come quella di cui è il Decano nei confronti della collettività, per facilitarne la comprensione delle complessità della società odierna?
«Il ruolo delle università è quello di insegnare e ricercare, aumentando la nostra conoscenza del mondo scientifico, artistico e umanistico, sostanzialmente in linea con le antiche tradizioni dell’Illuminismo. Trasferiamo la conoscenza attraverso le nostre attività per sostenere gli studenti e la società in generale. Nella mia Facoltà per riuscirci adottiamo un approccio marcatamente interdisciplinare che ci permette di rispondere, in particolare, alle sfide complesse poste oggi alla società dalle tecnologie digitali e dalle reti di comunicazione globali, dall’incontro tra culture diverse, così come dal mutamento delle stesse modalità di elaborazione e trasmissione della cultura. Siamo alla vigilia di un ennesimo cambio di paradigma nella comunicazione: non sappiamo ancora se sarà un’evoluzione o una rivoluzione, ma sono certo che i processi di innovazione che vivremo saranno molto rapidi. La Facoltà avrà un ruolo fondamentale nel comprendere e nell’affrontare tutto in questo in modo consapevole e responsabile».