L'inflazione, i tassi, le banche e quegli scenari poco realistici

Da più parti si chiede alle banche centrali di ridurre ai minimi o fermare del tutto la lotta contro l’inflazione alta e quindi i rialzi dei tassi di interesse. Secondo i sostenitori di queste posizioni, nel quadro che si è creato alzare i tassi contro l’inflazione nel migliore dei casi serve a poco e nel peggiore porta a una recessione internazionale e/o ad una crisi dell’intero settore bancario. Ma sono realistici gli scenari che indicano la necessità di stoppare l’azione anti inflazione? In realtà, a dati e fatti attuali, le posizioni che supportano questi scenari non hanno un sufficiente fondamento. Vediamo in sintesi perché, su ciascuno dei punti presi in considerazione: inflazione, tassi, economia, banche.
Le cifre
Le maggiori banche centrali sono arrivate con ritardi alla battaglia contro i rincari, dopo anni in cui hanno sopravvalutato i rischi di deflazione (diminuzione dei prezzi) e sottovalutato i rischi di inflazione. Cifre e tempistiche lo mostrano. Se è opportuno criticare gli istituti centrali per i ritardi, è sbagliato chiedere ora che le misure anti inflazione vengano fermate. Va ricordato che l’inflazione elevata, quando è persistente, e spesso lo è, crea incertezze e colpisce sia i consumi sia gli investimenti. Nelle maggiori aree economiche il rincaro è sceso rispetto ai picchi dell’anno scorso, ma resta ben sopra la soglia in genere indicata come massima in economie che funzionino in modo ragionevole (2% medio annuo).
Nel frattempo i tassi di riferimento sono stati appunto alzati, tuttavia lo scarto tra questi e l’inflazione resta non indifferente. Facciamo quattro esempi, con l’inflazione su base annua rilevata il mese scorso, febbraio, e i tassi guida modificati in questo mese di marzo. Per gli Stati Uniti, rincaro del 6% e tasso del 5%; per l’Eurozona, rincaro dell’8,5% e tasso del 3,5%; per il Regno Unito rincaro del 9,2% (indice CPIH) e tasso del 4,25%; per la Svizzera rincaro del 3,4% e tasso dell’1,5%. In questo quadro, i tassi guida reali restano in territorio negativo, perché l’inflazione è più alta dei tassi stessi. Ora, non è che si debbano alzare troppo i tassi, in una sorta di inseguimento, il punto è che l’inflazione deve scendere ancora, seppur gradualmente. Per gli USA e la Svizzera l’azione deve pure proseguire ma è a un buon punto, per l’Eurozona e il Regno Unito il lavoro da fare è evidentemente maggiore.

Le previsioni
L’obiezione classica è che con i rialzi dei tassi si va verso la recessione. Ma sin qui non è stato così, c’è stato un chiaro rallentamento della crescita economica internazionale, non però una recessione. Le previsioni prevalenti ora indicano per quest’anno ancora rallentamento, con una contenuta ripresa economica l’anno prossimo. Vedremo come andranno le cose nei mesi a venire, ma non è detto che il prezzo da pagare per la battaglia contro il rincaro sia il segno negativo annuo per l’economia. Quello che l’esperienza insegna, invece, è che è molto più probabile finire in recessione quando l’inflazione rimane a lungo elevata.
Ma in queste ultime settimane è cresciuta un’altra obiezione. Le crisi di alcune banche regionali negli Stati Uniti e di Credit Suisse in Svizzera, oltre che le tensioni nei giorni scorsi attorno a Deutsche Bank e ad altri istituti, secondo una parte degli analisti dovrebbero portare allo stop per i rialzi dei tassi. Queste posizioni si basano su due punti principali: le banche che hanno molte obbligazioni a tassi precedenti, cioè più bassi, registrano perdite sul valore di questi titoli e procedendo con altri rialzi il meccanismo si può moltiplicare; il clima generale può migliorare con lo stop ai rialzi, non solo per le banche in difficoltà ma per tutti gli istituti, perché il costo del denaro necessario per le attività e per gli investimenti smette di salire.
Capitoli rilevanti
A questa seconda obiezione si può rispondere ricordando due punti rilevanti. Anzitutto, le crisi riguardano alcune banche ed evidentemente sono legate ad errori specifici di gestione e di conduzione; se la causa maggiore delle difficoltà fosse l’aumento dei tassi, che vale per tutti, l’intero settore dovrebbe essere già da tempo in crisi, cosa che non è. Inoltre, se da un lato tassi più alti rendono più caro il denaro, dall’altro ampliano lo spazio di manovra per le banche (che prendono e pagano fondi ma anche li impiegano e riscuotono), tanto è vero che l’uscita dai tassi ai minimi è stata a lungo richiesta dallo stesso settore bancario. Vedremo quanto dureranno i nervosismi delle Borse sui titoli bancari e se ci saranno altri istituti in difficoltà. Ma fermare l’intera lotta all’inflazione per via dei problemi di una parte del settore bancario al momento sembra una forzatura inopportuna.