L'intervista

«L'iniziativa "200 franchi bastano" vuole silenziare il servizio pubblico»

Sabato, nel corso dell’assemblea, Luigi Pedrazzini passerà il testimone dopo oltre dieci anni trascorsi alla testa della CORSI – È dunque l’occasione per stilare un bilancio di questo lungo periodo
© CdT/Chiara Zocchetti
Gianni Righinetti
01.06.2023 06:00

Sabato, nel corso dell’assemblea, Luigi Pedrazzini passerà il testimone dopo oltre dieci anni trascorsi alla testa della CORSI. È dunque l’occasione per stilare un bilancio di questo lungo periodo. Un periodo talvolta delicato, come è stato il caso per la votazione «No Billag». Intanto, per il servizio pubblico, nuove sfide si stagliano all’orizzonte.

Sabato 3 giugno, con il voto della SSR Svizzera italiana CORSI, si avvierà il processo che culminerà a fine anno con il passaggio della presidenza. C’è un velo di malinconia o quanto fatto dal 2012 ad oggi la soddisfa?
«Ho avuto la fortuna di vivere esperienze sia professionali sia politiche belle, interessanti, coinvolgenti e ho sempre gestito con serenità il passaggio delle consegne. Sarà così anche questa volta, con lo sguardo verso il futuro e molta riconoscenza per i soci della SSR CORSI che mi hanno dato l’opportunità di impegnarmi per il servizio pubblico radiotelevisivo durante tutti questi anni». Il periodo più difficile è stata la votazione del 2018 sull’Iniziativa «No Billag».

Condivide?
«“No Billag” più che un “periodo difficile” è stato un episodio cruciale che poteva determinare la scomparsa della SSR e della RSI. Il “momento difficile” è piuttosto l’attuale, caratterizzato da sfide d’ordine economico, politico, di mercato e dalle trasformazioni dettate dalla digitalizzazione. Ed è un momento difficile per tutti i media, alle prese con scelte strategiche e operative che non hanno eguali nella loro storia e dal cui esito non dipende solo la loro sopravvivenza, ma soprattutto la salvaguardia della loro missione fondamentale per il funzionamento di una società pluralista e democratica». Mesi di tensioni e dibattiti, ma poi il 4 marzo di cinque anni fa sia gli svizzeri sia i ticinesi vi hanno dato fiducia con un voto chiaro. Come ricorda quel giorno? «Come un giorno molto bello, per due ragioni. Perché gli svizzeri non hanno soltanto dato fiducia alla SSR e alla RSI sul piano regionale, ma hanno confermato l’esistenza di un servizio pubblico radiotelevisivo forte, autonomo, federalista. E poi era il giorno del mio 65. compleanno… quale miglior regalo!».

Possiamo dire che è stato un voto di fiducia?
«Sì, ma come dicevo prima non soltanto. È stato un voto che ha confermato che la popolazione svizzera è consapevole di quanto sia importante difendere un ente radiotelevisivo capace di rivolgersi a tutte le componenti del Paese, di premiare le differenze e le minoranze e al contempo di operare per alimentare i valori che uniscono gli svizzeri».

 È un momento difficile per tutti i media, alle prese con scelte strategiche e operative che non hanno eguali nella loro storia

E come avete usato quel credito popolare? Bene, male? Si poteva fare meglio o l’azienda pubblica RSI ha fatto il massimo possibile?
«La SSR ha fatto alcune promesse e le ha mantenute: riducendo i suoi costi e snellendo la sua organizzazione, investendo nella produzione propria, mantenendo al centro della sua offerta la cultura e l’informazione, dando voce alle differenti opinioni in occasione delle elezioni e delle votazioni (e la RSI lo ha ben dimostrato con le recenti elezioni cantonali). Ha continuato a lavorare per offrire occasioni di intrattenimento “intelligenti” e un’offerta sportiva completa. Io penso che il credito ottenuto dal voto popolare è stato ben investito, ma il lavoro da fare è ancora molto».

All’orizzonte c’è un altro scoglio, l’iniziativa che mira a limitare a 200 franchi il canone radio-tv. Il voto sulla «No Billag» deve fare dormire sonni tranquilli o tutto sarà rimesso in gioco?
«L’iniziativa “200 franchi bastano” è molto insidiosa perché a differenza della “No Billag” non azzera la SSR e le sue aziende regionali. Ne riduce però massicciamente le risorse con conseguenze molto problematiche per quanto concerne la sua presenza in tutte le regioni del Paese, la sua capacità di promuovere confronti completi e indipendenti, di garantire pluralismo sul piano politico e culturale. Il testo “200 franchi bastano” ha gli stessi padri di “No Billag” e persegue il medesimo obiettivo: silenziare il servizio pubblico, per consegnare la gran parte del mercato dell’informazione in mani private. Non possiamo illuderci che le regole del mercato salvaguarderanno il confronto democratico e il pluralismo, perché non l’hanno fatto in Paesi ben più importanti del nostro».

Al di là dei temi citati, qual è il suo bilancio di 12 anni alla guida della SSR CORSI?
«Molto positivo come esperienza personale. Spero anche di aver positivamente contribuito a modernizzare il ruolo delle società regionali che a mio giudizio rimangono fondamentali per ancorare il servizio pubblico nel territorio e per contribuire alla qualità dell’offerta radiotelevisiva. Mi sono anche molto impegnato nel Consiglio di Amministrazione della SSR, di cui sono vicepresidente: ho voluto dimostrare che la Svizzera italiana è capace di dare un suo contributo specifico perseguendo un disegno di respiro nazionale».

A Comano il Campus RSI oggi è realtà. È stata una passeggiata oppure una difficile scalata dal costo importante?
«Diciamo una corsa a ostacoli come lo sono inevitabilmente i progetti complessi. Mi sembra però che il traguardo non sia lontano e che operando in un unico “campus” la RSI sarà ancora meglio in grado di valorizzare le sue risorse e la qualità dei suoi collaboratori».

Credo vi siano due ambiti dove le persone che “pendono a sinistra” sono più numerose. Nella scuola e nella RSI

Sotto la sua presidenza la RSI ha saputo cambiare passo, nominando al vertice Mario Timbal e affiancandogli Matteo Pelli. È questa la maggiore riforma per una RSI storicamente ingessata e propensa a promuovere profili interni più che cercarne all’esterno?
«Credo che la RSI abbia sempre avuto dirigenti e collaboratori di qualità e i risultati del loro lavoro devono essere valutati contestualmente al periodo in cui hanno operato. Dopo due direzioni “interne” (Balestra e Canetta) che hanno fatto crescere la RSI, si era fatto obiettivamente forte il bisogno di una conduzione “esterna”, capace di meglio cogliere le aspettative del territorio e di poter affrontare il necessario processo di trasformazione della RSI senza vincoli preesistenti».

Cosa rimarrà al suo successore (si sussurra che il PLR punti su Giovanna Masoni) che le sarebbe piaciuto terminare lei?
«Sono contento di quello che ho potuto fare e per questo tengo a ringraziare la mia vicepresidente Pelin Kandemir Bordoli, i membri del Comitato e del Consiglio regionale, la segretaria regionale Laura Méar e i suoi collaboratori. A chi mi succederà non mancherà il lavoro sia sul piano regionale sia in seno al CdA SSR e lo sguardo sarà inevitabilmente rivolto all’iniziativa popolare “200 franchi bastano” che personalmente non affronterò più da presidente della SSR CORSI, ma contro la quale mi batterò con determinazione».

Dire CORSI significa dire politica. Nel 2011 c’era stata una battaglia per arrivare al vertice, ma perché ai partiti interessano tanto le poltroncine del Comitato, del Consiglio del pubblico e, ovviamente, quella che oggi occupa lei?
«Qualche volta me lo chiedo pure io dal momento che la SSR CORSI non ha competenze che possono “ingolosire” i partiti. Occorre pur dire che se nella Svizzera italiana abbiamo un’azienda radiotelevisiva d’importanza nazionale, il merito è anche dei partiti che dall’inizio della storia sono stati vicini alla RSI. E hanno anche saputo rispettarne la missione e l’ indipendenza. Che ci siano stati tentativi di condizionarne le scelte è possibile, come eccezione però, non come regola. Oggi grazie all’interessamento dei partiti i gremi della CORSI sono meglio rappresentativi della società della Svizzera italiana, anche se questo processo di coinvolgimento dovrà essere meglio esteso a componenti (Lega, UDC) oggi poco presenti e alle associazioni».

Per dare un taglio al bazar delle schede di voto (nel 2011 c’erano 477 soci in rappresentanza anche di altri 346) la delega è stata abolita. È stata una buona scelta a suo avviso?
«Penso di sì, ma lo sapremo soltanto dopo l’assemblea. È stata comunque una riforma statutaria voluta, come le altre decise lo scorso anno, per premiare anche chi affronta le assemblee della CORSI senza disporre di un’organizzazione capillare e per dare maggiore trasparenza ai processi elettivi interni. Il numero delle candidature pervenute sembra darci ragione; speriamo ora in una forte affluenza dei soci».

Chissà quante volte le avranno fatto presente che la RSI pende a sinistra. Come si è rapportato di fronte a questa critica? La reputa fondata o infondata?
«Per ragioni che qui non approfondisco, credo vi siano due ambiti dove le persone che “pendono a sinistra” sono più numerose. Nella scuola e nella RSI. Ma questo non significa ancora che la scuola e la RSI pendono a sinistra perché c’è comunque un’etica nei docenti e nei giornalisti che porta a premiare la competenza, la sincera ricerca di equidistanza, la capacità di approfondimento. Io considero l’offerta della RSI completa, corretta, indipendente».