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Lo psichiatra: «Troppi errori comunicativi in tempo di pandemia»

Cosa c’è nella mente di vax e no-vax? Il parere dell’esperto Michele Mattia
© CdT/Gabriele Putzu
Carlo Silini
25.09.2021 06:00

Lo psichiatra Michele Mattia (nella foto sotto) ci invita a riflettere sulle trappole della perdita del pensiero in tempo di pandemia, per evitare di entrare in una logica di fazioni contrapposte. «Abbiamo perso i cuscinetti sociali», ci spiega, «e assistiamo a una battaglia tra nuovi Messia». Vediamo perché.

Michele Mattia, il tema è caldo, anzi rovente. Che dire dello scontro sempre più virulento tra vax e no-vax?

«Sono favorevole alle vaccinazioni, io stesso le ho fatte. È la via che oggi ci può portare verso una nuova normalità, che però – sia chiaro – non sarà più quella di prima. Non lo sarà perché la pandemia ha avuto degli effetti importanti che a suo modo raccontò pure il Manzoni parlando della peste. Anche allora si pensava che ci fossero degli ’’untori’’. È un pensiero che sta influenzando molto la mente. Una mente, mediamente parlando, indebolita. Come sostiene Vito Mancuso, la nostra società sta perdendo il pensiero. Con l’individualismo si perde la capacità di pensare. Perché la nostra è una società fortemente nozionistica e crea un condizionamento delle menti. Sono concetti che esistono da molto tempo. Ne parlava anche Carl Gustav Jung nel suo ultimo libro affermando di essere stupito di fronte alla quantità di “stupidità umana” (usava proprio questa espressione) in circolazione. C’è chi ha sfruttato questa debolezza, strumentalizzandola a suo favore, come Hitler, che continuava a ripetere le stesse frasi per inculcarle nel popolo. Più noi propagandiamo gli stessi concetti, più le persone ne saranno condizionate. Così abbiamo smesso di pensare».

Ma all’interno dei non vaccinati non tutti vanno considerati sullo stesso piano

Come si ripercuote questo discorso sulla situazione che stiamo vivendo?

«Anche in una dimensione della pandemia assistiamo alla perdita del pensiero, con il rischio di creare delle fazioni: vaccinati e non vaccinati. Ma all’interno dei non vaccinati non tutti vanno considerati sullo stesso piano. Non sono a favore dei non vaccinati per motivi ideologici, in una dimensione di estremismo. Bisogna trattare in modo diverso tutte quelle persone che hanno delle sofferenze psicologiche o con premesse cognitive diverse. Ad oggi, costoro vedono la vaccinazione come una lesione della propria salute e della propria integrità».

Non è un paradosso temere più la vaccinazione della malattia?

«Dobbiamo capire che sia i vaccinati che coloro che ancora non lo sono perché non sono pronti a farlo, vogliono proteggere la salute. Tolti, come già detto gli estremisti, quanti non si vaccinano perché non sono pronti a farlo e ci riflettono, e hanno però anche l’angoscia di non essere vaccinati, cercano di proteggere la propria salute. Dobbiamo perciò uscire dal fazionismo e non creare dei nuovi emarginati o dei nuovi oppressori, dall’altra parte. Dalla parte dei vaccinati, infatti, si pone a volte un atteggiamento oppressivo, si dice che il non vaccinato non capisce nulla perché non si rende conto che ci sta creando un danno. È come forzare chi ha un disturbo di panico per la galleria o per l’ascensore a entrare nella galleria del San Gottardo o a entrare in ascensore. O come forzare una persona che è già disgustata al solo pensiero di poter mangiare un cibo che detesta a mangiarlo. La reazione è il rigetto».

© CdT/ Chiara Zocchetti
© CdT/ Chiara Zocchetti

Cosa possiamo fare?

«Bisogna riuscire ad affrontare le premesse o credenze cognitive errate che noi abbiamo, ovverossia che chi ha un’ansia vuole avere l’ansia. Ovviamente non è così. In realtà l’ansia fa parte della malattia, appartiene alla dimensione della malattia. E in quanto malattia, si può anche curare. Dipende da che momento arriviamo nella storia personale di questa ansia. A molti può sembrare incomprensibile avere l’ansia del ragno o del topolino. Ma in chi ce l’ha, non appena vede un ragno o un topolino si attiva un circuito d’allerta, un circuito di paura, di angoscia. Per lui è come se fosse di fronte a un leone rabbioso. Certo, chiunque avrebbe ansia di fronte a un leone, e questo tipo di paura è accettato dalla media della società. Quella del ragno o del topolino no. È una paura che non viene compresa. Siamo pieni di queste dimensioni».

Eravamo tesi e uscivamo la sera, per esempio. Il lavoro ci sovrastava, andavamo alla partita, o facevamo il giro in bici con gli amici, facevamo una festa. Potevamo abbracciarci, potevamo darci la mano. Tutti questi elementi hanno agito su quello che sono le patologie sottosoglia sociali e psicologiche

Torniamo alla pandemia.

«La pandemia ha messo in evidenza tutta una serie di patologie sottosoglia. Prima della pandemia avevo una vita organizzata, facevo sempre le stesse cose, controllate e tutto andava bene. In quel contesto non vivevo lo stato d’ansia, l’insicurezza. La pandemia, invece, ha portato via tutte queste sicurezze. Gli studi ci dicono che il livello d’ansia si è triplicato con la pandemia. C’è un’insicurezza maggiore su tutto. Abbiamo perduto i cosiddetti cuscinetti sociali».

Cioè?

«Eravamo tesi e uscivamo la sera, per esempio. Il lavoro ci sovrastava, andavamo alla partita, o facevamo il giro in bici con gli amici, facevamo una festa. Potevamo abbracciarci, potevamo darci la mano. Tutti questi elementi hanno agito su quello che sono le patologie sottosoglia sociali e psicologiche. Altrimenti non sarebbero emerse in queste modalità. Questi cuscinetti sono spariti ed erano loro a permetterci di confondere la tensione. Oggi, poi, non riusciamo ad uscire da questo clima di tensione perché non si parla d’altro che di pandemia, di vaccini, di gente a favore o di gente contraria. Assistiamo a una battaglia fra nuovi Messia che si contrastano fra di loro, alcuni dall’ambito della scienza, altri da quello della politica».

Una guerra di religione?

«Sì. Vedo elementi di estremismo religioso in tutto questo. Stiamo parlando di fedi integraliste, però. Perché se si trattasse di una fede religiosa capace di confrontarsi con la persona di un’altra fede, io cristiano, tu musulmano eccetera, e insieme costruiamo qualcosa troveremmo molti elementi che ci avvicinano. Ma se si rimane nell’integralismo da una parte e dall’altra, ci allontaniamo. C’è solo chiusura nelle rispettive posizioni. Non c’è porosità, non c’è permeabilità. Entriamo quindi in una dimensione in cui diventa invece importante, soprattutto da parte dei vaccinati, cercare di capire che succede nei vari gruppi dei non vaccinati».

Che rischi vede in questo momento?

«Vedo il rischio dell’aumento dell’aggressività sociale. E non parlo solo dell’aggressività legata alle discussioni sulla pandemia, come nel caso degli scontri di piazza o delle minacce più o meno velate di violenza contro Alain Berset. Mi riferisco, per esempio, ai ben tre femminicidi di due settimane fa in Italia o all’assassinio in Germania di questi giorni. Sono cose su cui dobbiamo interrogarci. E che mi fanno chiedere come viene gestita la pandemia. Di sicuro si sta creando un terreno che in un qualche modo sta inoculando aggressività. Io penso che dietro certe reazioni sociologiche ci siano condizioni psicologiche generate dal fatto di non avere più cuscinetti sociali».

Vedo il rischio dell’aumento dell’aggressività sociale. E non parlo solo dell’aggressività legata alle discussioni sulla pandemia

Con quali conseguenze?

«Già da prima della pandemia stiamo perdendo la civiltà della conversazione. Roberto Calasso, ne L’innominabile attuale parlava della mutazione antropologica, del passaggio della relazione tra uomo e uomo alla relazione fra uomo e macchina. Ci relazioniamo con lo smartphone, per esempio. Il che significa che stiamo perdendo la dimensione della relazione. La situazione attuale sta amplificando questo fenomeno, che era già in corso».

Lei ci invita ad avere una comunicazione comprensiva nei confronti dei no-vax. Perfetto. Ma la comunicazione dei media e quella ufficiale deve riferire i fatti (per esempio che 9 ricoverati per COVID su dieci non sono vaccinati). E questa viene percepita come una comunicazione terroristica...

«Questo è un punto critico. Bisogna chiedersi se nella notizia che si deve dare sia opportuno differenziare i vaccinati dai non vaccinati. Perché lo differenziamo? Perché, partendo dall’origine della politica della pandemia basata sulla persuasione e non sull’obbligo del vaccino, cerchiamo di agire sulla mente delle persone con argomenti numerici. Tutto questo ha un senso, ma ha anche un effetto collaterale inevitabile: che il vaccinato comincia ad entrare in una dimensione aggressiva verso il non vaccinato. Qui c’è un errore comunicativo».

Mi sta dicendo che, pur essendo una comunicazione fattuale e oggettiva, non la si può considerare neutra?

«Diciamo che c’è un effetto collaterale che probabilmente sta avendo una conseguenza che va oltre l’intento buono della comunicazione. Si sta creando nelle persone un po’ più rigide nel campo dei vaccinati un senso di frustrazione e di rabbia che genera nell’intolleranza. Il rischio è che l’intolleranza diventi virale. E che qualcuno si senta un dominante che deve reagire contro chi sta creando il problema».

Molti ne fanno un problema di libertà. La mia libertà finisce dove comincia la tua, si dice...

«Sì, ma lo si può dire da tutte e due le parti, da quella dei vaccinati e da quella dei non vaccinati. Partendo da qui non se ne esce... Si tratta di un presupposto insufficiente per farci capire come agire. Bisognerebbe trovare il modo di far capire che il non vaccinato, estremisti a parte, non è una persona contro la società o contro il potere, ma qualcuno che vuole salvaguardare la sua salute magari attraverso uno strumento sbagliato rispetto a quello che oggi conosciamo».

Il messaggio dei limiti della libertà, tuttavia, è necessario. Altrimenti ci sarà sempre qualcuno che prevarica gli altri...

«Sì, è necessario imbastire un discorso sui limiti della libertà. Noi viviamo in una dimensione di etica laddove entriamo nella conoscenza dei limiti e dei confini. Dove non c’è confine ci sovrapponiamo e questo non deve accadere. Come per le cellule, che nel nostro corpo sono vicinissime, ma nel momento in cui si sovrappongono creano il tumore. È una legge del corpo. Non dobbiamo schiacciarci gli uni gli altri, ma entrare in una dimensione in cui viviamo l’integrazione delle differenti parti, anche di coloro che non sono ancora pronti a vaccinarsi».

La vaccinazione oggi ha queste caratteristiche (e io mi sono vaccinato): ha un rischio talmente minimo che noi tutti tolleriamo. È̀ come tollerare il rischio di camminare per strada. La sicurezza assoluta che nessuno invada il marciapiede con l’automobile e che investa le persone che stanno camminando, non l’abbiamo

Sì, ma come, professore?

«Bisogna darsi il tempo per entrare in comunicazione con chi non è vaccinato e si pone il dubbio (con chi non ha dubbi il problema non si pone, non c’è niente da fare). Ma dove c’è il dubbio, dove c’è scetticismo c’è intelligenza. E io posso accogliere le riflessioni dell’altro. In altre parole, non posso dirgli: ’’Devi fare così’’. Perché aumento il suo dubbio. È successo con una mia paziente con un importante circuito ansioso che mi ha chiesto: ’’Secondo lei mi devo vaccinare o no?’’. Io le ho risposto: ’’Finché lei non è pronta per vaccinarsi non si vaccini’’. Uno può dirmi: che medico sei? Ma in realtà questa è una modalità comunicativa che permette di aprire l’attenzione dell’altro. ’’Non si vaccini, ma tenga presente però che la vaccinazione oggi ha queste caratteristiche (e io mi sono vaccinato): ha un rischio talmente minimo che noi tutti tolleriamo. È̀ come tollerare il rischio di camminare per strada. La sicurezza assoluta che nessuno invada il marciapiede con l’automobile e che investa le persone che stanno camminando, non l’abbiamo. Ma è un rischio talmente basso che non ne abbiamo timore. Come non ho paura a stare davanti alla finestra anche se esiste un bassissimo rischio che qualcuno o qualcosa possa sfondare la finestra».

Si tratta, per concludere, di una linea di fiducia, una linea di discussione.

«Esatto, una finestra di discussione che permette a colui che è scettico perché ha un suo circuito ansioso di capire che l’ansia è una creazione della mente e perciò la mente può anche toglierla. Bisogna accogliere l’ansia perché nel momento in cui l’ansia viene accolta ecco che si riduce. Il mio sistema cognitivo a quel punto è in grado di ricevere quello che gli viene detto, non entra più in una modalità di opposizione, non è più un muro di gomma. Bisogna certo dare fiducia, aprire una porta che è la porta della comunicazione. Ma bisogna darsi il tempo per farlo. Non bastano dieci minuti. Bisogna darsi tempo e utilizzare le tecniche giuste per entrare nel mondo cognitivo dell’altro. Il rischio, anche da parte dei professionisti della salute, è̀ allorquando comunicano troppo in ’’medichese’’, una lingua che non permette di entrare sempre nella comprensione dell’altro».

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