L'intervista

Lo straordinario mondo di Guerreiro do Divino Amor alla Biennale di Venezia

Andrea Bellini, curatore del padiglione, ci guida lungo un percorso fatto di colori e sensazioni: «Il suo è un linguaggio filmico molto felliniano, surreale e immaginifico»
Guerreiro do Divino Amor e Andrea Bellini, l'artista e il curatore dell'esibizione al Padiglione Svizzero della Biennale di Venezia. © Samuele Cherubini
Stefania Briccola
04.05.2024 13:31

Il padiglione svizzero alla Biennale di Venezia, curato da Andrea Bellini, vede protagonista il lavoro di Guerreiro do Divino Amor tra ironia, cultura pop e riflessioni sull’identità. L’artista, nato a Ginevra nel 1983, vive e lavora a Rio de Janeiro. In Laguna presenta la mostra Super Superior Civilizations. Nelle due opere ambientali immersive dal titolo Il miracolo di Helvetia e Roma Talismano vanno in scena il sesto e il settimo capitolo della saga mondiale Superfictional World Atlas. Le immagini raccontano un fantasioso universo che evoca riflessioni profonde tra echi felliniani e allusioni esplicite agli stereotipi dell’identità nazionale. Parafrasando il titolo della Biennale internazionale d’arte 2024, Stranieri ovunque, il curatore del padiglione svizzero ha suggerito agli spettatori di sentirsi stranieri all’interno delle proprie certezze. Andrea Bellini ha scommesso da subito su questo artista con una formazione da architetto: Guerreiro do Divino Amor, infatti, ha tenuto la sua prima mostra in Europa proprio al Centre d’Art Contemporain di Ginevra diretto da Bellini. Il successo avuto e gli ambiziosi obiettivi realizzati in poco tempo costituiscono il vero «miracolo di Helvetia», per citare una delle opere presenti a Venezia.   

Andrea Bellini, come si inserisce l’opera presentata al padiglione svizzero nella produzione di Guerreiro?
«All’interno del padiglione svizzero presentiamo il sesto e il settimo capitolo della saga mondiale di Guerreiro intitolata Superfictional World Atlas. L’artista ha cominciato questo lavoro quando era ancora studente d’architettura a Bruxelles. Proprio nella capitale belga è iniziato, nel 2004, il progetto cartografico mondiale dedicato alle ''super finzioni''. Queste ricordano quelle che Lyotard chiamava ''les grands recits'', ovvero quelle grandi narrazioni che dominano il mondo, spesso costruite intorno a degli stereotipi e a dei luoghi comuni. Il primo capitolo è stato dedicato nel 2004 appunto a Bruxelles, poi ce ne sono stati diversi altri dedicati al Brasile, mentre il sesto capitolo è Il miracolo di Helvetia e il settimo è Roma Talismano».

Nonostante i padiglioni siano dei progetti autonomi rispetto alla mostra collettiva della Biennale, che cosa le suggerisce il titolo Stranieri ovunque?
«Parafrasando il titolo della biennale di Venezia, con il padiglione svizzero noi proponiamo al pubblico di sentirsi stranieri all’interno delle proprie verità. Se vogliamo contestare le ''super finzioni'', meglio cominciare con noi stessi. Uno dei modi che utilizza Guerreiro per fragilizzare questi grandi stereotipi, sempre più pericolosi perché frutto di una semplificazione della realtà, è l’ironia. Solo ridendo dell’autorità, dei demagoghi ma anche delle nostre stesse verità, possiamo prendere le giuste misure con il mondo e con la vita. L’ironia è una forma superiore di saggezza perché crea una distanza tra noi e ciò che vediamo e ascoltiamo, ma anche tra noi e le nostre stesse verità. Come scrive Milan Kundera l’ironia irrita, non perché prende in giro e si fa beffa di qualcuno, ma perché rivela il mondo come ambiguità».

Come ha giocato l’identità dell’artista svizzero-brasiliano Guerreiro do Divino Amor sulla lettura e la smitizzazione dello stereotipo delle nazioni che racconta in Roma talismano e nel Miracolo di Helvetia?
«Il papà di Guerreiro do Divino Amor è uno storico del protestantesimo, ginevrino di origine, la madre è brasiliana, mentre lui è cresciuto un po’ a Ginevra, un po’ in Francia, un po’ in Belgio e un po’ in Brasile. Forse, avendo vissuto in differenti luoghi ha avuto modo di guardare dall’esterno i grandi stereotipi con i quali vengono dipinti questi diversi Paesi. Grazie al suo sguardo, sempre straniero o estraneo, Guerreiro ha potuto rendersi conto di come la cultura nella quale cresciamo sia una costruzione e quindi anche una finzione. Ci abituiamo a leggere la realtà attraverso dei luoghi comuni, ai quali poi finiamo per credere ciecamente. Questo è un automatismo molto pericoloso perché porta alla radicalizzazione e alla contrapposizione. In fondo la complessa identità culturale di Guerreiro corrisponde a una Svizzera contemporanea e ormai multiculturale. Questo è un Paese straordinario nel quale convivono pacificamente persone di lingue e religioni diverse».

La Svizzera considerata l’apoteosi della civiltà delude anche Guerreiro quando nota le responsabilità connesse alle aziende e ai centri finanziari che hanno sede in territorio elvetico…
«La Svizzera è un Paese straordinario e costituisce un unicum al mondo dal punto di vista politico-sociale, ma non è il paradiso e nemmeno un paese perfetto. C’è una fontana, con una scultura al suo centro, che accoglie i visitatori all’interno del padiglione. La scultura, che gira intorno a sé stessa grazie a un motorino, è la testa di Helvetia, un giano bifronte, cioè una testa con due volti differenti. Un volto ha due occhi laser che scrutano il territorio e una bocca che sputa acqua, simbolo di purezza e di ordine. L’altro volto ha invece gli occhi, la bocca e anche le orecchie chiuse: è appunto l’altra faccia della medaglia di Helvetia, quella opportunista, quella che preferisce non vedere e non sentire. Insomma, anche la Svizzera è un Paese che esprime una sostanziale ambiguità rispetto a molte questioni, economiche ed etiche. Il paradiso sulla terra non è mai esistito, però possiamo impegnarci tutti a migliorare il luogo nel quale viviamo, guardandolo con disincanto. Dobbiamo imparare la pazienza, l’empatia verso gli altri, e anche a praticare l’ironia. Kafka ha scritto nei suoi Aforismi che il più grande peccato capitale dell’umanità è l’impazienza, perché a causa dell’impazienza abbiamo perso il paradiso e a causa dell’impazienza non torneremo mai in paradiso».

Lei ha curato la prima retrospettiva di Guerreiro do Divino Amor al Centro d’Arte Contemporanea di Ginevra e come studioso è stato tra i primi a mettere in luce in un’istituzione museale la sua opera. Come definirebbe la figura e l’estetica di questo artista?
«Guerreiro è un artista autodidatta, questo non significa che sia un analfabeta: ha infatti studiato architettura sperimentale e ha applicato una certa metodologia di ricerca all’arte. Se deve dedicare un progetto alla Svizzera, viene in residenza a Ginevra e per un anno e mezzo osserva il Paese cercando di individuare quegli stereotipi con i quali si autorappresenta. Poi inizia il lavoro di scrittura, il quale fortunatamente non si traduce in un documentario noioso o didattico. Guerreiro da un lato ha un approccio in qualche modo scientifico, dall’altro fa ricorso per la produzione dei video a un immaginario molto pop. Le sue referenze non sono artisti famosi del passato ma le soap opera, le telenovela, i videoclip e il carnevale. Ne viene fuori un linguaggio filmico molto felliniano, surreale e immaginifico».

L’artista svizzero-brasiliano per il miracolo di Helvetia costruisce un vero e proprio mondo immaginario: un pantheon di divinità femminili che gestiscono la Svizzera, al cui centro e vertice c’è Helvetia

Perché Guerreiro non smette di stupire nelle sue opere?
«L’artista svizzero-brasiliano per Il miracolo di Helvetia costruisce un vero e proprio mondo immaginario: un pantheon di divinità femminili che gestiscono la Svizzera, al cui centro e vertice c’è Helvetia. Poi quando decide di dedicarsi all’Italia va a Roma, ci rimane alcuni mesi e scrive una canzone, cantata da Ventura Profana. Insomma, si tratta di un inventivo nel senso che pur applicando sempre lo stesso protocollo di ricerca il risultato formale è ogni volta diverso».

Bisognava avere coraggio per credere nel progetto di Guerreiro?
«Guerreiro, quando nel 2004 ha cominciato questo progetto cartografico mondiale, aveva a disposizione piccolissime somme di denaro per la produzione. Noi del Centre d’Art Contemporain di Ginevra siamo stati i primi, nel 2020, a mettergli a disposizione un vero budget per realizzare le sue opere. Un buon investimento a pensarci ora: l’artista, nel 2022, ha realizzato una mostra favolosa al Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Grazie a quella mostra abbiamo avuto l’onore di rappresentare la Svizzera alla Biennale di Venezia del 2024».

Guerreiro do Divino Amor lavora spesso con un team di artisti, fra cui Ventura Profana, che sono come una famiglia. Che significato assume questo modo collettivo di operare con unità di intenti? 
«Ventura Profana è un’artista visiva e anche una superstar in Brasile. È molto conosciuta come cantante ed è molto impegnata sulla questione dei diritti della comunità LGBTQ+. Lei deve immaginare che il governo Bolsonaro ha rappresentato un periodo drammatico per la comunità LGBTQ+ brasiliana. La minaccia costante ha fatto si che questa comunità sentisse forte l’esigenza di riunirsi e di proteggersi. Guerreiro e Ventura fanno parte di questa comunità, di questa grande famiglia. Si tratta di un gruppo di persone che hanno deciso di stare insieme per fare arte, cultura e politica, e quindi per cambiare quel paradigma dominante (eterosessuale, patriarcale e maschilista) che da sempre marginalizza la loro comunità. Bisogna dire che molto sta cambiando, c’è più sensibilità nei confronti di queste tematiche almeno in certi contesti e Paesi, ma c’è ancora tantissimo lavoro da fare perché viviamo in un mondo in cui persistono l’omofobia e la misoginia. La disforia di genere è un dato di fatto: molte persone si trovano in un corpo che non coincide con il genere al quale sentono di appartenere. Il contesto sociale dovrebbe capire e aiutare invece di criminalizzare e stigmatizzare. Si tratta spesso di persone straordinarie, con una sensibilità e una intelligenza rare. Io sono molto orgoglioso di lavorare con questo tipo di artisti, perché il ruolo di una istituzione d’arte è quello di contribuire al cambiamento della società, al cambiamento del paradigma dominante. Noi vogliamo dire che la diversità è una cosa straordinaria, che tutti devono godere dei medesimi diritti e dei medesimi doveri. Il mondo non è bianco e nero, è molto più complesso e colorato. Questo spettro immenso di colori lo arricchisce e lo rende più bello».