Lo svizzero che forniva missili ai nazi

TORINO - Con Whatsapp si può fare di tutto, anche vendere un missile. È quanto hanno scoperto gli inquirenti della Digos di Torino, unità della Polizia italiana per le investigazioni speciali, i quali hanno arrestato venerdì un ex funzionario doganale. Nella casa dell’uomo, un 60.enne di Gallarate_(provincia di Varese), gli agenti hanno trovato armi da guerra, tra cui fucili di assalto e mitra, armi comuni da sparo e diversi stemmi e cartelli con simbologie naziste, tra cui svastiche e riferimenti alle Waffen-SS.
Ma nell’inchiesta, cominciata nel luglio del 2018 per indagare su presunti combattenti italiani con ideologie oltranziste coinvolti al conflitto armato nella regione ucraina del Donbass, sono finiti anche altri due uomini. Sono stati posti in stato di fermo un 51.enne italiano e uno svizzero 42.enne, entrambi accusati di detenzione e messa in commercio di un missile aria-aria Matra in utilizzo alle forze armate del Qatar.
Aveva un ufficio sul Ceresio
Il 42.enne svizzero, benché attinente d’oltregottardo, è una persona abbastanza conosciuta negli ambienti aviatori ticinesi. Ha collaborato dal 2010 al 2013 con una notissima azienda elvetica del settore, presente anche nel nostro cantone, ma successivamente è diventato amministratore unico di una società anonima con sede a Maggia (e ora in liquidazione)_per l’intermediazione di servizi e pezzi di ricambio di aerei, e successivamente di un’altra società con sede legale a Bissone e operativa a Melide, fino ad oggi ancora attiva esattamente nello stesso ambito.
La pista che porta in Ucraina
Tornando all’inchiesta oltreconfine, gli agenti della Digos avrebbero riscontrato diversi contatti tra un miliziano nel Donbass e un esperto di armi che proponeva l’acquisto, per conto di terzi, di un missile. Razzo del quale sarebbero state trasmesse anche alcune fotografie tramite il servizio di messaggistica Whatsapp. L’intermediario della vendita sarebbe stato l’ex doganiere, candidato in passato al_Parlamento per Forza Nuova. Dopo la fruttuosa perquisizione domiciliare a casa del 60.enne, gli inquirenti si sono fiondati immediamente all’aeroporto di Rivanazzano Terme (provincia di Pavia) dove, all’interno di un grande deposito, hanno rinvenuto un involucro cilindrico contenente il missile di 3,54 metri, di fabbricazione francese, appartenuto alle forze aeree qatariote.
L’arma era senza carica, però...
L’arma da guerra è risultata priva di carica esplosiva, ma sarebbe stata riarmabile da persone specializzate nel settore, stando agli specialisti dell’esercito italiano mobilitati per ispezionare il capannone. La Digos avrebbe appurato che il missile e l’intero deposito erano nelle disponibilità dell’altro indagato italiano e del cittadino svizzero, i quali sono stati immediatamente localizzati in un hotel adiacente l’aeroporto di Forlì e fermati. Oltre al missile qatariota, il deposito conteneneva numerosissimo materiale militare, tra cui due contenitori lanciarazzi.
Berna non era al corrente
Detto che la posizione del 42.enne svizzero - che era sicuramente già noto alla polizia italiana - è al vaglio degli inquirenti d’oltreconfine, occorre ora capire con esattezza il suo coinvolgimento nell’operazione criminale. Importante da questo punto di vista sarà stabilire se l’eventuale tentativo di trasferire le armi nel Donbass, che è una zona di guerra, è avvenuto in territorio svizzero o addirittura appoggiandosi sulla società anonima di cui l’indagato è amministratore unico in Ticino. Al momento il Ministero pubblico della Confederazione, da noi contattato, conferma di non aver aperto un’inchiesta. Discorso diverso invece qualora venisse stabilito dall’inchiesta un comportamento criminale attivo nel nostro Paese. Ipotesi che però, al momento, sembra essere esclusa dagli inquirenti italiani. Pare che l’indagato disponga anche di società anonime anche nella vicina penisola. Al momento non si può però escludere che del caso si stia interessando anche la giustizia militare. Come cittadino elvetico infatti potrebbe – se le accuse saranno confermate – profilarsi eventualmente profilarsi l’accusa di indebolimento della forza difensiva del Paese. Sul fronte italiano, l’inchiesta è coordinata dalla Procura della Repubblica di Torino, ma ha interessato anche le Procure di Forlì, Novara, Busto Arsizio e Pavia. Le indagini, hanno assicurato gli inquirenti italiani, sono ancora in corso.