Sanità

Locarno, l'esempio che «l’isolamento è perdente»

La Carità e la Santa Chiara fanno il punto dopo i primi sei mesi di collaborazione nei settori di ginecologia e ostetricia - Luca Merlini: «La costituzione di reti è essenziale»
© CDT/Chiara Zocchetti
Paolo Galli
07.12.2023 06:00

Alla Carità hanno faticato a togliersi di dosso l’etichetta «COVID». D’altronde, i ricordi sono ancora freschi. Poi tutto passa, d’accordo. Ma quanto vissuto nel 2020, vabbe’, è normale che abbia lasciato qualche scoria. Lo spirito della Carità di Locarno però non è comune. Non era stato comune in quei giorni, in quelle settimane e in quei mesi. Ma non lo è mai stato. Sono gli stessi motori della Carità a sottolinearlo, ma non loro soltanto. È sentimento comune. Sarà che il Locarnese è fuori dall’asse nord-sud, ma quel laboratorio sperimentale è l’anima stessa della struttura. Il luogo comune della necessità che fa virtù. Ma fino a quando? Pochi mesi fa è stata lanciata la collaborazione con la Santa Chiara: pubblico e privato a braccetto? Appunto, una sperimentazione. Una via. Ora la Carità - così come l’OBV momò - è chiamata a chiudere il pronto soccorso pediatrico notturno, pur mantenendo i letti di ricovero per i bambini. Quella che appare come una contraddizione, è qualcosa con cui l’ospedale locarnese deve convivere. Andando oltre. E lo stesso si potrebbe dire delle numerose sfide che deve affrontare il sistema sanitario nel suo insieme. La realtà dell’ente pubblico non può essere edulcorata, di questi tempi. Subisce l’epoca che corre.

Sperimentare una soluzione

C’è chi, all’interno dell’ente, descrive la Carità come la comunità di Asterix e Obelix. I «galli» della sanità pubblica? Michael Llamas, direttore sanitario dell’ospedale locarnese, ai tempi della pandemia spesso parlava di «responsabilità» dell’ospedale stesso «nei confronti della società». Oggi ci spiega che quello non era una sorta di slogan inventato apposta per l’emergenza. «È un principio che occupa molto del nostro lavoro: sapere come fare ad affrontare un paesaggio sanitario sempre più complesso. Cerchiamo allora di anticipare il futuro sperimentando soluzioni innovative. La collaborazione con la Santa Chiara rientra in questo discorso: una collaborazione trovata per sperimentare una soluzione». E sta funzionando. Dopo i primi sei mesi di intesa, il progetto viene descritto con un certo entusiasmo. Come sottolinea il direttore della Carità, Luca Merlini: «Vantaggi sotto tutti i punti di vista: per i pazienti, per le mamme, per i neonati, in termini di qualità e sicurezza delle cure, ma anche per i curanti». Per i curanti è aumentata la casistica. E, per esempio, con quaranta e più parti al mese, ogni giorno c’è un parto, o giù di lì. Prima non era così. Christian Camponovo, direttore della clinica Santa Chiara, conferma: «Posso dire che il gruppo dei ginecologi ha iniziato a funzionare bene, assieme. E questo è un buon passo in avanti. Noi sapevamo di aver lasciato più di quanto non abbiamo preso. Lo sapevamo, ma il progetto è più importante degli svantaggi, di un mero calcolo da contabili. Preferiamo guardare le cose sul medio-lungo termine. È importante allora che il gruppo funzioni bene assieme. La volontà, d’altronde, era quella di tenere, nel Locarnese, specialità che rischiavano di andare perse».

Perché non andare oltre?

E allora - viene da chiedersi - perché non andare oltre? Merlini spiega: «È chiaro che in un cantone come il nostro, con queste dimensioni, tutti i tipi di collaborazione aiutano». E ricorda il contesto, che tocca la complessità della nuova medicina ospedaliera così come l’esplosione dei costi della sanità. L’obiettivo però rimane sempre quello di fornire cure di qualità ed efficaci. «E allora la costituzione di reti di collaborazione è essenziale. E perché no anche tra pubblico e privato? Certo, si può valutare tutto, e questa è una prima sperimentazione, la quale sta avendo successo. Ma non spetta a noi operativi indicare la via, semmai realizzarla». Si torna lì, a quel concetto, ben comprensibile nell’ambito pubblico, chiamato ad altri ragionamenti rispetto al solo discorso economico. Ma vale anche per il privato. Camponovo infatti riconosce: «Il primo esperimento sta andando bene. Ulteriori passi in avanti possono anche essere auspicati, da noi, ma alcune dinamiche sono complesse, ci sono più strutture in gioco. E allora non sarà facile trovare altre convergenze in tempi brevi. Ci stiamo lavorando. L’esperimento intanto è iniziato e ha dimostrato che è possibile fare qualcosa».

Situazione non facile

Alla Carità ci si muove nel presente per garantirsi il miglior futuro possibile. C’è la sensazione che il management abbia già riconosciuto una collocazione per i tempi che verranno. Si parla di cura della terza età, di medicina lenta. C’è fermento ed entusiasmo per le opportunità che riserva il futuro. Michael Llamas spiega: «Ciò che sappiamo è che, nel futuro, l’isolamento, per qualsiasi ruolo sanitario, è un modello perdente. Vincente è mettere a disposizione della comunità professionale le proprie conoscenze. E poi, in un’economia di scala, più razionalizzi, mettendo le conoscenze in rete, e meno spendi». Vale anche per il settore privato? Camponovo ammette: «La situazione finanziaria delle strutture in ambito sanitario non è facile. Le proiezioni sono al peggioramento. Quindi condividiamo con l’ente pubblico le stesse difficoltà, e in più non vantiamo garanzie dallo Stato. Ma sono convinto che non è una buona cosa collaborare solo perché obbligati da ragioni economiche. La spinta deve essere un’altra. Anche perché se no, non appena cambia il vento, si rischia di mettere tutto di nuovo in discussione».

Si può fare buona medicina

Tornando alla Carità, Luca Merlini sottolinea: «La nostra idea è sempre stata quella di includere, non di escludere». E Llamas aggiunge: «Siamo convinti che un ospedale pubblico non sia mai contro qualcosa o qualcuno». Neppure contro i tempi che corrono. Mica facili. Christian Camponovo spiega come ha ritrovato il Locarnese: «Avevo lavorato proprio alla Carità attorno al Duemila, ora sono tornato nel Locarnese, dopo una ventina d’anni. Ho trovato una regione più in difficoltà, rispetto al Luganese, con un bacino d’utenza più piccolo, per il quale quindi è più difficile garantire tutti i servizi che oggi dovremmo garantire per una buona medicina di prossimità negli ospedali. Ma l’impegno non manca, anzi. Se abbiamo investito nella Santa Chiara è per garantire continuità e qualità nelle prestazioni». Non che mancassero, ma la volontà è di intensificare questo lavoro. «Per noi vale anche la possibilità di investire in una regione portando non solo competenze, ma pazienti». Una buona opportunità per tutta la regione. Insomma, «se la qualità c’è, si può fare una buona medicina anche a Locarno».

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