L’ombra salafita sul regno di Giordania

AMMAN - «Quando sono nato, qui c’era solo un infinito ammasso di tende» racconta Mohammad, 55 anni, mentre varca la soglia di Jabal Hussein, uno dei più popolosi campi profughi di Amman. Stretto tra due brulle colline che dominano il centro della capitale giordana, è largo 500 metri e lungo 1500 e negli ultimi 70 anni ha ospitato decine di migliaia di profughi palestinesi in fuga da Israele. Mohammad è uno di loro. I suoi genitori fuggirono dalla propria casa nel 1948 a seguito dell’arrivo degli israeliani e trovarono rifugio in Giordania, dove oggi vivono ancora insieme alle decine di migliaia di esuli di allora e ai loro discendenti che rappresentano circa la metà della popolazione totale giordana.
Il Regno di Giordania è il primo Paese al mondo per numero di profughi rispetto ai propri abitanti.
Oltre ai palestinesi, arrivati soprattutto in conseguenza delle guerre arabo-israeliane del 1948 e del 1967, il Paese ospita anche circa 500 mila rifugiati iracheni della guerra del 2003 e circa 2 milioni di siriani su una popolazione totale di circa 10 milioni di abitanti. I siriani, arrivati soprattutto dopo l’inizio della guerra nel 2011, abitano prevalentemente nelle periferie di Amman e intorno ai cinque campi profughi delle Nazioni Unite situati lungo il confine siro-giordano. Solo il 18% dei palestinesi vive invece ancora nei campi. Il Governo concede infatti loro la cittadinanza giordana e la partecipazione alla vita politica, purché non si uniscano in organizzazioni su base etno-nazionale e non antepongano l’identità palestinese a quella giordana. Le ragioni di questa legge risalgono al settembre del 1970 quando vennero messe al bando le organizzazioni palestinesi dopo che l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina – che allora aveva il proprio quartiere generale ad Amman – tentò di rovesciare il re e di trasformare la Giordania nella base da cui lanciare i propri attacchi contro Israele. Oggi nei campi palestinesi di Amman non si vede più alcuna bandiera o simbolo della Palestina. Nel corso degli anni si sono infatti trasformati in veri e propri quartieri popolari, identici ad altri della periferia della città: l’unica differenza è che al loro interno molte donne hanno il volto completamente celato, lasciando intravedere solo gli occhi attraverso una lieve fessura nel velo nero. L’assenza delle organizzazioni palestinesi, infatti, è stata nel tempo compensata dalla crescita dei movimenti islamisti, in primis i Fratelli Musulmani, il movimento salafita che in Giordania è diventato il principale sostenitore della causa palestinese.

La penetrazione islamista tra i palestinesi è evidente a Baqaa, il più popoloso campo profughi del Medio Oriente situato alle porte di Amman, proprio di fianco alla sede dell’Islamic Charity Center (ICC), l’organizzazione di welfare dei Fratelli Musulmani. L’ICC offre ai cittadini palestinesi e giordani un sistema di assistenza sociale ed economica parallelo a quello dello Stato. La crisi economica e quella migratoria complicano infatti la capacità del Governo di occuparsi di tutti gli abitanti: pertanto ha permesso all’ICC di sostituirlo in alcuni settori, soprattutto nel campo dell’istruzione e della sanità, sovvenzionandolo addirittura con tre milioni di dollari l’anno. Questa situazione sta contribuendo ad una rapida diffusione tra i cittadini dell’ideologia dei Fratelli Musulmani e dei movimenti politici ad essi legati. Come il Fronte di Azione Islamico, l’espressione in Giordania dei Fratelli Musulmani, ed attualmente il più forte partito del Paese. Con 15 deputati è infatti la prima forza di opposizione in Parlamento ed è profondamente radicato sul territorio, dove ha 92 sedi e governa in diverse amministrazioni locali.


Secondo Murad Adaila, segretario generale del partito, «la popolarità del Fronte di Azione Islamico è dovuta principalmente alla lotta che ha intrapreso contro la corruzione e all’ideologia dei Fratelli Musulmani, che non si limita alla dimensione politica ma anche agli aiuti economici e sociali, garantendo a chi non se lo può permettere un accesso alla sanità e all’educazione». Attraverso questa rete assistenziale, il Fronte predica i principi della religione e del diritto islamico, la cui diffusione è uno suoi obiettivi principali insieme al sostegno della causa palestinese. Ecco perché un’eventuale convocazione di libere elezioni porterebbe con tutta probabilità ad un’affermazione dei Fratelli Musulmani e alla possibile evoluzione islamica della società e delle istituzioni. I Fratelli Musulmani, inoltre, si pongono anche come indispensabile elemento di sintesi tra la popolazione giordana e i profughi siriani. Questi ultimi sono infatti quasi tutti musulmani sunniti e profondamente avversi al regime di Assad.
Nazzal è un sobborgo di Amman che dal 2011 è abitato da 2000 famiglie originarie di Homs che dichiarano di essere fuggite dalle milizie paramilitari sciite e alawite che sostengono Bashar Assad. Famiglie che in Giordania sono state accolte dall’esercito reale, ospitate in un primo momento nei campi profughi ed infine alloggiate a Nazzal.
Nessuno di costoro vuole tornare indietro per timore delle rappresaglie tanto del regime quanto dei ribelli che li accusano di non avere combattuto con loro. Oggi ad occuparsi di loro è Ktasbona, una ONG che condivide l’ideologia dei Fratelli Musulmani e garantisce loro sussidi, educazione e supporto psicologico. Finanziata per il 70% da donatori del Qatar e dell’Arabia Saudita, Ktasbona sostiene che l’Islam è l’elemento di sintesi tra siriani, giordani e palestinesi, tanto da istituire un piano di aiuti per i profughi che si estende nel lungo periodo, nella convinzione che ben pochi di loro torneranno in Siria.