Lugano e il castello dimenticato

Cinquecento anni fa gli svizzeri distrussero la roccaforte per evitare che i francesi puntassero su Bellinzona
Il castello oggi non arricchisce più il panorama della città
Paolo Gianinazzi
29.07.2017 02:05

LUGANO - Non tutti lo sanno, ma anche Lugano aveva un castello. E chissà come sarebbe la città oggi se gli svizzeri, esattamente 500 anni fa, non avessero dato l’ordine di distruggerlo. La sua è una storia misteriosa, fatta di leggende, di pochi dati certi e di cui restano pochissime tracce. Talmente poche che è perfino difficile farsi un’idea di come poteva apparire. E immagini o dipinti del castello non si trovano neppure all’archivio storico di Lugano. Ma partiamo dalla fine. Correva l’anno 1517 e la Confederazione si stava riprendendo dalla terribile sconfitta a Marignano (che due anni prima aveva sancito la fine dell’espansione elvetica verso sud e riportato i francesi a Milano, divenuta nel 1512 una sorta di protettorato elvetico). Nel 1516 il trattato di Friburgo (la «pace perpetua» tra francesi e svizzeri) riconobbe alla Confederazione il dominio su una, piccola, parte di Lombardia: il Ticino. Bellinzona, Locarno, Lugano e Mendrisio (più la Valtellina con Bormio e Chiavenna) diventarono dei baliaggi controllati dalla Confederazione o dai loro alleati grigionesi. E per una questione puramente difensiva gli svizzeri decisero, soprattutto nel Sottoceneri, di radere al suolo tutte le fortificazioni. Perché? Perché la storia aveva insegnato (vedasi articolo sotto) che il loro esercito, per quanto formidabile in campo aperto, si era letteralmente rivelato «una mazza» nell’arte dell’assedio. Gli svizzeri temevano di non riuscire a riconquistare i castelli qualora fossero stati presi dagli avversari. Il Luganese venne dunque «smilitarizzato» e buona parte delle sue fortezze furono rase al suolo (Lugano, Sonvico, Taverne, Bironico, Mezzovico e chi più ne ha più ne metta).

UNA VITA BREVISSIMA
La storia del castello di Lugano, oltre che essere poco conosciuta, è anche piuttosto misteriosa. La fortezza sorgeva nell’area che oggi ospita il Palazzo dei congressi (nel 1968, alla sua costruzione, venne riportato alla luce un torrione), villa Ciani e il parco. Ebbe una vita brevissima. Venne fatto costruire nel 1498 da Ludovico Sforza («il Moro», duca di Milano) per sostituire un precedente castello caduto in disgrazia. E due parole andrebbero spese anche su questa fortezza, di cui non esistono praticamente più tracce se non in qualche documento. Per Giuliano Vismara, Adriano Cavanna e Paolo Vismara (autori di Ticino medievale) la costruzione venne terminata nel 1286 per opera dei Rusca (e dunque su ordine di Como) e si inserisce nelle lotte che opponevano la città lariana a Milano. Per i tre storici i Rusca fecero diventare il castello sede di podestà, ma due secoli dopo (nel 1498) la fortezza – che forse si trovava un po’ più a nord (verso il Pestalozzi) di quella successiva (come ci è stato spiegato da Pietro Montorfani, responsabile dell’Archivio storico di Lugano) – era già in disuso, o comunque inadatta a resistere all’evoluzione delle armi da fuoco, in particolare l’artiglieria. Ma facciamo un passo indietro. Nel Quattrocento, finite le guerre con gli Asburgo, la «vecchia Confederazione» inizia un rapido processo di espansione un po’ in tutte le direzioni. Soprattutto a sud (nel 1403 Uri e Obvaldo si alleano alla Leventina e ai De Sacco) e a ovest. Nel 1422 (battaglia di Arbedo) Milano riesce a riconquistare Bellinzona, mentre gli svizzeri provano senza successo a riprendersela almeno in due occasioni: nel 1449 (battaglia di Castione) e nel 1478 (scendendo fin quasi a Lugano). La reazione milanese porta alla battaglia di Giornico (vinta da confederati e leventinesi) e l’anno dopo, su spinta francese, Milano accetta di siglare con la Confederazione la pace di Lucerna, che riconosce la sovranità di Uri sulla Leventina (già promessa nel 1466). In quell’occasione il re di Francia (Luigi XII) aveva appoggiato gli svizzeri anche perché, tra il 1473 e il 1477 (e dunque quasi in contemporanea) la Confederazione si era impegnata con successo nelle guerre contro il Ducato di Borgogna. Nel Cinquecento la storia elvetica, quella ticinese e quella lombarda tornano a convergere. Nel 1499 il re di Francia invade la Lombardia e conquista Milano. Lugano (ma un po’ tutto il Ticino fino a Bellinzona) viene occupata dai francesi. In Europa l’espansione francese preoccupa (l’Italia è la regione più prospera del Continente) e il Papa, Giulio II, promuove la creazione di una alleanza – la Lega Santa – in funzione antifrancese. I Cantoni elvetici, tradizionalmente alleati alla Francia, decidono di aderire (con loro inizialmente si schierano anche spagnoli, inglesi e veneziani, che poi però cambiano schieramento) a partire dal 1509, su spinta del cardinale vallesano Matthäus Schiner. Nel 1509 (spedizione di Chiasso) e nel 1511 (spedizione del «gelido inverno») i confederati scendono per due volte «in Italia» – nel Sottoceneri – e puntano verso Milano, ma poi si ritirano non ricevendo i rinforzi dagli spagnoli, che anzi vengono pesantemente battuti nel 1512 a Ravenna dai francesi. I confederati – con il Papa in difficoltà – inviano un corpo di spedizione di 18.000 uomini in Lombardia e conquistano Cremona e Pavia (1512) e poi entrano a Milano. I francesi si ritirano, lasciando in Italia solo alcune roccaforti nel nord (Lugano, Locarno e Domodossola). «A Lugano e a Locarno – spiegano nel loro libro Vismara, Cavenna e Vismara – resistono invece i rispettivi castelli, i cui comandanti (francesi, n.d.r.) rifiutano la resa e il cui assedio non è affare di poco conto» . Un assedio (di cui parliamo nell’articolo sotto) durato sei mesi. A Milano gli svizzeri riportano al potere gli Sforza (come duca viene scelto il giovane Massimiliano) e l’anno successivo ottengono Lugano, Locarno, l’Ossola e Luino. Nel 1513 papa Giulio II muore e la Lega Santa cambia strategia (si punta a un’invasione della Francia) alleandosi al Sacro Romano Impero. Luigi XII tenta comunque di conquistare Milano. La città cade, ma gli svizzeri riescono a riprendersela vincendo a Pavia (nel mese di giugno). I francesi si ritirano di nuovo, anche perché ora la guerra si è spostata a nord (inglesi e imperiali battono Luigi XII a Guinegatte il 16 agosto). In settembre i confederati decidono di approfittarne. Invadono la Borgogna, assediano Digione (con 30.000 uomini) e costringono i francesi alla resa strappando un trattato in cui la Francia rinuncia al Ducato di Milano. Ma Luigi XII (visto che gli svizzeri hanno ingenuamente già lasciato Digione) quel trattato non lo firma. Per gli svizzeri però – raggiunto l’apice della loro potenza militare e della loro influenza politica in Europa – si apre un periodo difficile. Francesi, inglesi e imperiali smettono di farsi la guerra e i confederati restano isolati. Il primo gennaio 1515 Luigi XII, cui succede Francesco I che inizia subito a progettare un ritorno a Milano. In agosto passa a sorpresa le Alpi e in settembre i confederati vengono definitivamente sconfitti a Marignano: la più grande disfatta militare della storia elvetica. La Lombardia passa ai francesi (poi agli spagnoli e poi agli austriaci fino all’indipendenza italiana) e viene «separata» dal Ticino, su cui viene riconosciuta ufficialmente la sovranità elvetica il 29 novembre 1516 con la pace di Friburgo.

Meglio del trono di spade: il ticino in vendita tra assedi, rapimenti e intrighi
I castelli di Lugano e Locarno resistettero per circa sei mesi all’assedio degli svizzeri. Per Eligio Pometta (autore di Come il Ticino venne in potere degli Svizzeri) il castello di Lugano «era un edificio notevole e un osso duro da rodere, ricostruito nel 1498 da Ludovico il Moro». Il castello occupava l’odierno parco Ciani e aveva probabilmente anche un lato comunicante con il lago. Purtroppo non esistono raffigurazioni pittoriche e nessuno ha ancora stabilito con certezza come poteva apparire. Pare che potesse ospitare un contingente di circa 300 soldati (prima milanesi e poi francesi), che con l’arrivo nel luglio del 1512 degli assedianti confederati venne rafforzato da un gruppo di luganesi guelfi (filofrancesi) scappati dai concittadini ghibellini (che all’arrivo degli svizzeri si sollevarono e si rivoltarono ai francesi). Il castello non serviva a proteggere la città (caduta presto in mani svizzere, Lugano giura fedeltà quasi subito e già in agosto viene nominato governatore uno zurighese) e, anzi, era piuttosto spostato dall’abitato (che all’epoca iniziava dove oggi sorge piazza San Rocco). Informazioni interessanti sono contenute nella Cronaca di Nicolò Laghi che racconta della guerra in città tra guelfi e ghibellini e come attorno a Lugano caddero in fretta le roccaforti di Morcote e Sonvico. Laghi (ghibellino) venne però fatto catturare il 23 luglio 1512 – data in cui probabilmente iniziò l’assedio elvetico – dal comandante francese della fortezza: Antoine de Montdragon. E la sua cronaca cessa proprio in quel momento. Peccato. Le ricostruzioni dell’epoca dicono che un gruppo di luganesi controllava il castello dal lago, da delle barche, mentre il campanile della cattedrale di San Lorenzo veniva utilizzato come torretta per spiare i francesi. Le truppe svizzere erano formate da 160 soldati (provenienti da Uri, Svitto e Untervaldo), cui si aggiunsero in seguito 40 uomini per ogni Cantone. Attorno al castello i confederati avevano costruito una trincea («che si riempiva sempre d’acqua»), ma alle loro truppe mancava quasi del tutto l’artiglieria. Da Milano (all’epoca controllata dagli svizzeri) vennero fatti arrivare tre cannoni, ma il mastro artigliere (tale Gaspar Buchwalder di Basilea) poteva sparare – se tutto andava bene, se c’erano munizioni e la polvere non era bagnata – solo 18 colpi al giorno. Per gli storici Vismara, Cavanna e Vismara gli ufficiali svizzeri «non avevano fretta di concludere (l’assedio, n.d.r.), perché avevano scoperto che a Lugano la vita era piacevole». Ma l’assedio (costato ai confederati 40 uomini) comunque si è concluso il 26 gennaio, quando la Dieta federale – che ha preso accordi con il re di Francia – ha ordinato il cessate il fuoco. I francesi lasciavano il castello imbattuti e con l’onore delle armi. Stessa cosa giorni dopo a Locarno.

Corone per la Sonnenstube
Ma perché il castello venne distrutto? L’articolo 12 del trattato di Friburgo (siglato tra Confederazione e Francia nel 1516 dopo la sconfitta svizzera a Marignano) indicava che i Cantoni avrebbero potuto rinunciare, entro un anno, a Lugano, Locarno e Vallemaggia in cambio di 300.000 corone. I Cantoni «antifrancesi (i Waldstätten, Zurigo, Basilea e Sciaffusa) temevano che i Cantoni occidentali (soprattutto Berna, Friburgo e Soletta) avrebbero deciso di incassare il denaro e disfarsi del Ticino. Uri decise allora – in modo non ufficiale – di intervenire e distruggere il castello. Temevano che una cessione di Lugano (o di Locarno) avrebbe spinto i francesi ad attaccare Bellinzona, offrendo al nemico delle basi per lanciare l’offensiva e radunare le truppe. Nel maggio del 1517 dunque diedero ordine ai soldati di stanza a Lugano di iniziare la demolizione, avvenuta in circostanze misteriose. La versione ufficiale, fornita da Uri alla Dieta, era che i soldati avevano agito per conto loro, senza avvisarli. Il «colpo di mano» di Uri aveva suscitato indignazione in tutta la Confederazione (e indignati, almeno ufficialmente, si dicevano anche i rappresentanti urani). Stessa sorte toccò poi un po’ a tutte le costruzioni militari del Sottoceneri (alcune già in disuso) e, nel 1532, al castello di Locarno (che rimane «solo» diroccato). Ma il ruolo di Uri in questa vicenda potrebbe essere anche solo una leggenda. Altre fonti (per esempio Riccardo Bergossi nel volume I Ciani, Mito e realtà, elaborato dall’Archivio storico di Lugano) affermano che la decisione di distruggere il castello sia da attribuire direttamente alla Dieta. Quel che invece non è leggenda sono i rilievi archeologici, effettuati soprattutto nel 1970 durante la costruzione del Palazzo dei congressi. Venne alla luce la fondazione di un torrione (si ipotizza la presenza di almeno 3 torrioni, forse addirittura 4 stando a Mario Agliati). Mentre nel 1918, durante lo scavo per una condotta fognaria in Piazza indipendenza, furono rinvenuti due tratti di robusta e profonda muratura in pietra.

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