Lugano è pronta (più o meno) ad andare in alto

LUGANO - Come spiccano nel mondo reale, spiccano anche nel dibattito sul Piano regolatore. Del resto, i grattacieli caratterizzano in modo abbastanza forte le realtà in cui sorgono: averli, per un centro come Lugano, significa essere sempre più città e sempre meno «paesone».
Il discorso non vale solo a livello edilizio, ma anche culturale, perché se è vero che un luogo è l’espressione della comunità che lo ha plasmato, anche le persone, crescendo in un determinato angolo del mondo, ne assorbono in qualche modo il carattere.
Significativo, in questo senso, il parere del municipale Angelo Jelmini. «Quando sento la parola “grattacieli” mi viene in mente Manhattan: un altro mondo! – commenta – Per Lugano, pur essendo confrontati con l’esigenza di densificare, preferisco pensare a “edifici urbani alti”». Solo apparentemente è la stessa cosa.
Beh, non che gli edifici alti o altissimi siano una novità assoluta sulle rive del Ceresio. Basti pensare alla Casa torre di Castagnola, all’Ospedale civico o al palazzo di via Industria a Pregassona balzato agli onori delle cronache per il suo stato di degrado. E scendendo di qualche piano troviamo l’esercito di palazzoni che Lugano ha schierato per far fronte allo sviluppo degli ultimi decenni.
«Di edifici urbani alti ne abbiamo ereditati tre dal passato – conferma Jelmini – e un paio sono ammessi dai piani regolatori intercomunali di Cornaredo e del pian Scairolo, dove l’ubicazione è stata studiata con cura e per un’area ampia». Le altre ubicazioni nel resto della città vanno definite appunto nell’ambito del nuovo PR unitario.
«Va concepita una direttiva – rassicura il capodicastero – non in ogni punto potrà trovare posto questo genere di stabili. La qualità del volto di Lugano è essenziale e va garantita».
Può elevarsi anche il verde
Eccoci a un punto chiave: l’impatto sul paesaggio. Una buona fetta della popolazione ritiene che Lugano, dopo la sua crescita edilizia, sia in debito con la natura che la circonda, con la sua storia – pensando a quante testimonianze del passato sono state abbattute per fare spazio a stabili moderni – e in generale con il senso dell’estetica.
Si può essere d’accordo oppure no, ma di certo la questione terrà banco quando il Piano regolatore unico entrerà nelle sue fasi cruciali. A tal proposito, la pianificazione di grattacieli non fa che alzare la posta in gioco, moltiplicandola per un maggiore numero di piani o di metri cubi, fate voi.
«Certamente, oltre a identificare con cura le possibili ubicazioni, si dovrà pensare a edifici urbani alti di nuova generazione – osserva Jelmini – E non penso solo a elevanti requisiti di carattere energetico e di qualità architettonica, ma andrei un passo avanti sul modello del bosco verticale, un edificio residenziale sostenibile realizzato dall’architetto Stefano Boeri a Milano. Punterei dunque ad un densificazione verticale della natura all’interno della città». Salendo, insomma, il mattone può anche portare con sé un po’ di verde.

Alla ricerca di un simbolo
Qualcuno obietterà che Lugano non è Milano e deve studiare qualcosa di proporzionato alla propria realtà, senza snaturare se stessa, mentre altri saranno ancora più nostalgici della città di un tempo, meno moderna ma più autentica e coesa. Anche qui siamo nel campo della soggettività.
«Chi rimpiange la Lugano di un tempo mi fa venire il prurito: bisogna guardare avanti!». L’appello viene da Giorgio Giudici, che da sindaco ha vissuto le prime diatribe politiche sulla crescita verticale. «Proposi di andare in altezza già nell’ambito del Piano regolatore del 1984 – racconta – ma purtroppo l’idea non passò e questo genere di sviluppo fu limitato alle proprietà di oltre ottomila metri quadrati distanti almeno duecento metri dal fiume. Alla fine fu costruita solo la casa della Cassa pensioni in via Beltramina, dove oggi c’è la polizia comunale, ma il mio sogno era un altro: quello di avere un giorno dei veri edifici alti, degli stabili che marcassero la silhouette di Lugano».


L’occasione per dare corpo a quella visione arrivò successivamente con i concorsi urbanistici per Cornaredo e il pian Scairolo, pronti adesso a dare i loro frutti (più Cornaredo che il pian Scairolo, dove la pianificazione intercomunale del comparto è ancora sotto ricorso). In queste zone, secondo l’ex sindaco, i grattacieli possono essere un segno d’inizio della città.
«La verticalità è un punto di riferimento, un simbolo di prestigio. Pensiamo alla Tour Eiffel o a quello che è stato fatto nella parte nuova di Milano: eccezionale. Chiaramente questi edifici devono essere di grande pregio architettonico ed essere circondati da uno spazio orizzontale di qualità impreziosito dal verde», onde evitare un effetto Montecarlo. Non è semplice trovare terreni e proprietà abbastanza ampi, come non è facile trovare dei privati pronti a costruire un grattacielo.
Secondo l’architetto, un edificio alto potrebbe sorgere anche al Campo Marzio, dove è previsto il nuovo polo congressuale. «È una zona ideale. Il concetto della crescita verso l’alto non deve essere esasperato – precisa Giudici – ma qualcosa va fatto, altrimenti rimane tutto piatto e omogeneizzato».
Da sei a dodici
Le prospettive del nuovo Piano regolatore stanno creando un certo fermento tra chi opera nel settore edilizio. Ne è testimonianza la lettera inviata recentemente al sindaco Marco Borradori da Giorgio Gianola, in cui l’immobiliarista suggerisce alcune vie di sviluppo per rendere Lugano più attrattiva.
Parlando degli edifici alti, Gianola propone di sopraelevare tutta la zona piana di Lugano dagli attuali sei o sette a dodici piani, suddividendo questa operazione in due aree: una più pregiata (lungolago, via Nassa e Centro) e una meno (Molino Nuovo, Pregassona e Viganello).
«Nella zona pregiata, per esempio, potrebbero trovare spazio gli anziani benestanti, che sono sempre più numerosi, mentre nelle altre potrebbero stabilirsi pendolari e studenti che attualmente raggiungono Lugano da fuori creando ingorghi e inquinamento». Tra le altre cose Gianola sottolinea l’importanza di garantire una qualità architettonica elevata a quella che sarà la città del futuro.
«Una particolare attenzione deve essere riservata agli immobili storici, ad esempio quelli in stile liberty, anche se oggi dall’Accademia di Mendrisio escono architetti sensibili e preparati».

CACCIA AI MIGLIORI CERVELLI PER DISEGNARE LA CITTÀ FUTURA
Toccherà a un team di esperti posare le fondamenta del nuovo Piano regolatore
Il bando per trovarli è sul tavolo del Municipio – Vediamo cosa dovranno decidere
La pianificazione del territorio è come un elefante: il suo passo è lento, però pesa. A Lugano l’elefante sta sollevando la sua zampa. Nelle scorse settimane il capodicastero Angelo Jelmini ha presentato al Municipio una bozza del bando per nominare il team di esperti che definirà il concetto (masterplan) alla base del futuro Piano regolatore unitario della città.
Se immaginate che sia un percorso lungo e complicato, immaginate bene. Se credete che vi stiamo tediando con un tema tecnico di cui dovrebbe occuparsi solo chi è pagato per farlo, vi sbagliate di grosso. L’operazione non consiste semplicemente nel mettere insieme i ventun PR in vigore oggi – se la pianificazione è un elefante, le aggregazioni sono state un giaguaro – ma soprattutto nel definire in che direzione dovrà svilupparsi la città per i prossimi dieci, venti, trent’anni e più, se pensiamo che alcuni quartieri sono tuttora regolati da norme risalenti agli anni Ottanta.
E direzione significa identità: che tipo di centro vuole diventare Lugano? Quali errori non deve ripetere e di quali novità ha bisogno? Tutte domande a cui dovranno rispondere per primi i professionisti scelti da Palazzo civico e per seconda la politica, ma poi toccherà ai cittadini. Siete pronti, ad esempio, a veder sorgere palazzi di quindici o venti piani?
Non è una pazza idea di Jelmini, che abbiamo incontrato insieme al direttore della Divisione pianificazione Marco Hubeli per discutere del tema. È un principio dettato dalla Legge federale sulla pianificazione del territorio di cui anche la regina del Ceresio deve tener conto, ossia concentrare la crescita in determinate zone salendo in altezza (densificazione) e risparmiare altrove spazi preziosi da lasciare alla natura, a strutture per lo svago o ad altri contenuti che compensino le ampie ed alte superfici private, nel nome di quel principio tanto vago quanto prezioso che è la qualità di vita degli abitanti.
Secondo Hubeli «sono finiti i tempi in cui promuovere la speculazione a la periurbanizzazione», cioè l’avanzata disordinata della città nella campagna. «È invece tempo di affrontare seriamente il tema della qualità paesaggistica, urbanistica e degli spazi pubblici e delle peculiarità e identità locali».
Chi farà quelle scale?
I grattacieli ovviamente non potranno sorgere in qualsiasi parte della città. Uno dei luoghi papabili è il Nuovo Quartiere Cornaredo, dove si stanno muovendo in tal senso il gruppo Artisa, il duo Mantegazza-Albek e la Città stessa che, nel futuro polo sportivo, prevede due torri in cui trasferire alcuni uffici. Anche il pian Scairolo, nelle intenzioni del Comune, potrebbe ospitare un edificio di una certa altezza.
Grattacieli a parte, un’indicazione sulle zone di Lugano in cui potrebbe aumentare l’altezza media degli stabili la dà una tabella pubblicata lo scorso agosto e che abbiamo riprodotto sotto. I quartieri più propensi a elevarsi sono quelli in cui ci sono meno terreni ancora edificabili e più metri quadri di superficie utile lorda non ancora sfruttata; in altre parole, dove la scarsità di spazi a terra indirizza lo sviluppo verso il cielo, chiaramente fino alle altezze consentite dal PR, che tuttavia potrebbero cambiare.
Che poi questo potenziale sia sfruttato o meno, dipenderà soprattutto dal mercato. Lugano lo scorso novembre aveva 790 alloggi sfitti – in Svizzera era seconda solo a San Gallo, che ne contava 900 – e il numero di abitanti ha avuto una battuta d’arresto dopo anni di crescita. Considerando che l’attuale maggioranza politica non incoraggia certo un’immigrazione di massa, vien da chiedersi chi abiterà o lavorerà in quei futuri, altissimi, palazzi. La revisione del PR deve passare anche da questo genere di domande.


Il centro della discordia
Un PR unitario come quello di Lugano contiene dei «sotto temi» che chiamare in questo modo è abbastanza riduttivo. Pensiamo alla pianificazione del centro: un argomento che tiene banco da anni e che prossimamente – il Municipio si è preso un extra time per ponderare le sue mosse – arriverà in Consiglio comunale con un dibattito che si preannuncia teso e complesso.
Tra le varie cose bisogna decidere fino a che punto estendere la pedonalizzazione e come valorizzare il lungolago. Anche qui è necessario tener conto del mercato, ma in un altro senso: occorre tenere un occhio sul turismo, uno dei filoni che può aiutare Lugano a riprendersi dal ridimensionamento della piazza finanziaria. Rendere più attrattiva la regina del Ceresio è quindi più una necessità che un esercizio estetico. Bisogna «solo» decidere come farlo e quanto in alto posizionare l’asticella: altre scelte di un certo peso.
Equilibri di periferia
Centro, grattacieli, soldi, banche, zone pedonali... E il verde? Dopo decenni di crescita edilizia che hanno visto Lugano arrampicarsi sulle pendici dei suoi monti, l’allestimento del PR unitario è un’occasione per decidere come tutelare e valorizzare il patrimonio naturale.
Diciamo tutelare perché i quartieri più periferici della città – torniamo alla tabella – sono quelli con le maggiori percentuali di terreni non edificati. Ciò significa che in base alle regole attuali – figlie di una previsione di sviluppo dettata anni fa dalla Confederazione, che adesso rema in direzione opposta – potrebbero crescere in modo marcato. Brè, ad esempio, in teoria potrebbe quasi raddoppiare.
Le autorità comunque hanno altri obiettivi e nemmeno il mercato, al momento, sembra spingere più di tanto per lo sfruttamento del potenziale residuo della periferia. L’idea di fondo è quella di concentrare lo sviluppo nelle zone urbane – salendo in altezza, come detto – e avere un occhio di riguardo per quelle esterne, in modo da avere un miglior equilibrio fra natura e ambiente costruito. Ma non solo.
Secondo Hubeli bisogna tenere conto che i nuclei dei quartieri acquisiti con le aggregazioni non hanno più il ruolo di un tempo: prima erano il fulcro storico, abitativo, lavorativo e amministrativo dei loro Comuni, oggi sono villaggi della città. E il loro potenziale edificatorio – in base alle nuove strategie – è sproporzionato. Eliminare le zone edificabili in eccesso però non è tanto facile e può avere costi non indifferenti. Occorre quindi decidere quanto e dove investire per tutelare il verde, senza dimenticare quello urbano. Anche qui, decisioni pesanti. Come il passo del pachiderma che abbiamo invocato per questo articolo.
«La pianificazione, come un elefante, ha un certa inerzia non perché è pesante – commenta Hubeli – bensì poiché nella savana i nemici sono tanti ed agguerriti, e perché deve avere un passo sicuro sul lungo termine, e non perdere l’equilibrio ad ogni folata di vento».