Elezioni

Lula–Bolsonaro: ecco come il Brasile si prepara al secondo round

Smentiti i sondaggi che davano il candidato della sinistra avanti di molti punti – Il presidente uscente non ha contestato al momento il risultato delle urne – Il 30 ottobre la scelta finale di un Paese che appare comunque profondamente diviso
Maria Zuppello
03.10.2022 21:45

Se per il famoso compositore Tom Jobim «il Brasile non è un Paese per principianti», il voto di domenica ha dimostrato che anche nel Paese del samba niente è mai come sembra. E che quelle che appaiono come granitiche certezze possono sfaldarsi in un attimo, come una quinta di cartone del Carnevale di Rio de Janeiro.

La mancata vittoria al primo turno dell’ex presidente Luis Inácio da Silva, assieme al testa a testa all’ultimo voto con il presidente Jair Messias Bolsonaro, ha ribaltato completamente i giochi e lasciato il Paese intero a bocca aperta. Con uno scarto di appena 5 punti Lula si è posizionato in testa, in uno scenario che nessun sondaggio aveva previsto. Anzi: fino a venerdì scorso i numeri che uscivano delle varie società demoscopiche hanno illuso lui, il suo Partito dei Lavoratori (PT) e milioni di elettori che la differenza di voto con Bolsonaro potesse raggiungere addirittura il 14%, garantendo una clamorosa vittoria immediata, come mai accaduto in Brasile prima d’ora.

L’attenzione, al contrario, era tutta concentrata sul timore di un’escalation di violenza scatenata da un Bolsonaro che, come Trump, avrebbe gridato alla frode. Il Brasile che si è svegliato ieri all’indomani del voto è invece un Paese che deve ancora riprendersi dal colpo di scena e prepararsi, nei 28 giorni che lo separano dal secondo turno, a una campagna elettorale di fuoco, senza precedenti. I due candidati dovranno comprendere bene che cosa sia accaduto e agire di conseguenza.

«A ogni elezione in cui mi candido (questa era la sesta, ndr) voglio vincere al primo turno, però non sempre è possibile», ha detto Lula una volta usciti i risultati. Per poi aggiungere che «il secondo turno permetterà di fare un dibattito faccia a faccia con Bolsonaro. E la lotta continuerà fino alla vittoria finale».

Astensionismo record

L’astensionismo sicuramente ha avuto il suo peso. Quasi 33 milioni di brasiliani, il 20,09% (record storico) non si sono presentati alle urne, nonostante il voto sia obbligatorio. Anche la non attualizzazione dei dati del censo - l’ultimo risale al 2010 - può aver influito sul campione analizzato dalle società demoscopiche, cui va aggiunta la paura dell’elettore di rivelare a estranei il proprio voto. È il cosiddetto voto «envergognhado», il voto di cui si ha vergogna.

È questa la fascia di popolazione che, adesso, i due candidati si contenderanno.

«Avremo un secondo turno davanti a noi e potremo mostrare alla popolazione che l’inflazione sta calando e che il governo non si è dimenticato dei più poveri». ha detto Bolsonaro, per poi aggiungere che la sua preoccupazione è che «il Brasile segua la strada dell’Argentina, della Colombia, del Venezuela e del Nicaragua».

È proprio lo spettro della crisi economica che, più di altri, ha agitato il primo turno. Lula ha costantemente rievocato, nei suoi comizi, l’età dell’oro del suo primo mandato, in cui comunque il Brasile, oltre ad approfittare del boom delle commodities, beneficiò di una congiuntura economica internazionale eccezionale. Ma, al di là delle rievocazioni, si è rifiutato di presentare agli elettori un piano di governo e, soprattutto, un piano economico. Si è limitato a far protocollare nel sito del Tribunale superiore elettorale un documento provvisorio di poche pagine con «direttrici e basi» in cui si dice praticamente nulla di quello che intende fare e con quali soldi. Inoltre, in ogni dibattito con la stampa ha dribblato sapientemente la questione della corruzione, preferendo attaccare i magistrati della Mani pulite brasiliana, la Lava Jato, senza mai fare autocritica.

Questo, assieme a una ripresa dell’economia nell’ultima tranche del governo Bolsonaro, spiega perché Lula abbia vinto al primo turno e perché il bolsonarismo non solo non sia morto, ma sia esploso in termini numerici nel sud-est del Paese, sbaragliando ogni previsione elettorale. Persino a San Paolo, dove l’ex sindaco Fernando Haddad del PT era convinto di vincere al primo turno , lo sfidante Tarcisio Gomes De Freitas, del Partito repubblicano brasiliano (PRB), lo ha costretto, pur con ampio vantaggio, ad andare al ballottaggio. Anche nella regione amazzonica Lula ha vinto di poco rispetto a Bolsonaro.

Se il leader del PT portasse a casa la vittoria definitiva, si ritroverebbe comunque un Parlamento ancora più bolsonarista di quello del 2018, visto che l’onda conservatrice è riuscita ad accaparrarsi decine di seggi. Il Paese era chiamato a eleggere, oltre a presidente e governatori, 27 senatori, 513 deputati federali e 1.035 deputati statali.

Anche per questo Bolsonaro ha smorzato i toni. A chi domenica sera gli chiedeva se avrebbe contestato i voti, si è limitato a dire che non è compito suo: le forze armate, per legge, controllano le urne. «È il ministro della Difesa che ne darà conto», ha detto. Per il presidente del Tribunale superiore elettorale, Alexandre de Moraes, «qualsiasi sarà il risultato mostrerà che la grande vincitrice è la società brasiliana». Parole pronunciate domenica ma, si spera, valide anche tra un mese. 

«E in Parlamento entrano due donne «indios»

Mentre tutti i riflettori erano puntati sulla sfida tra Lula e Bolsonaro, il voto di domenica ha aperto le porte alle minoranze per un nuovo spazio politico da cui formulare per i prossimi quattro anni di governo un’ipotesi di cambiamento. È il caso, per esempio, degli indios. Non era mai successo che in una elezione brasiliana se ne candidassero così tanti, ben 182, di cui 84 donne (con una crescita del 75% rispetto al 2018). L’idea era creare la cosiddetta «Bancada do cocar», con riferimento al tradizionale copricapo indigeno, ovvero un blocco politico per contrastare la lobby dell’agrobusiness che, assieme al crimine, sta devastando la foresta amazzonica.

E hanno stravinto, le donne. Sônia Guajajara e Célia Xakriabá hanno festeggiato la loro elezione a deputate insieme con le loro comunità, confermando il nuovo trend di una Amazzonia che si sta aprendo alla leadership femminile.

«Ci sentiamo così minacciati - fanno sapere dalla comunità Xingu - che dobbiamo scendere in campo tutti». Così, uno dei simboli della lotta per la preservazione della foresta - il cacique, ovvero il capo del territorio indigeno di Xingù, Raoni Metuktire, conosciuto in tutto il mondo semplicemente come Raoni - ha annunciato che a prendere il suo posto sarà la figlia Kokonã.

Anche le persone di colore hanno fatto sentire la loro voce in queste elezioni. Nonostante abbiano avuto accesso a minori fondi elettorali, oltre il 30% in meno rispetto agli altri candidati, la loro voce non è stata soffocata. Oltre ai due candidati presidenziali, usciti tuttavia dai giochi, il 22% dei senatori eletti è di colore, mentre le donne sono cresciute come non mai, con circa il 33,81% di candidature. E per ironia del destino sarà proprio una donna, Simone Tebet, arrivata terza alle presidenziali, a spostare al secondo turno i voti decisivi per Lula o per Bolsonaro.

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