Il reportage

L’ultimo baluardo del pluralismo religioso

È in Monte Nebo, in Giordania, dove secondo la tradizione ebraico-cristiana si trova la tomba di Mosé
La vista dal Monte Nebo.
Luca Steinmann
14.02.2019 18:30

MADABA - La strada tortuosa che da Amman porta verso Gerusalemme attraversa i brulli monti sabbiosi al confine tra la Giordania e i territori palestinesi della Cisgiordania. Sul lato giordano il territorio è desertico ed intervallato da macchie di ulivi che diventano più rade man mano che si sale verso le cime delle colline. Dalla cresta del Monte Nebo, la vetta più importante della regione, si domina la valle del Giordano, dove il fiume sfocia nel Mar Morto le cui acque segnano il confine naturale con le regioni palestinesi della Giudea e della Samaria. Da qui si vede ad occhio nudo la città di Gerico e nelle giornate più nitide persino il tetto della moschea al Aqsa a Gerusalemme. È per questo motivo che questa cima è ogni anno meta di pellegrinaggio di migliaia di esuli palestinesi che osservano da lontano la terra che è stata loro promessa dalla mai applicata Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Queste persone si mischiano alle migliaia di pellegrini cristiani che invece raggiungono la cima per rendere omaggio a Mosè. Secondo le tradizioni ebraico-cristiane, infatti, fu proprio qui che Mosè morì e fu sepolto dopo avere ricondotto il popolo ebraico dall'Egitto verso la Terra Promessa. Le Sacre Scritture raccontano che Dio gli ordinò di scalare questo monte da dove, come ultimo atto prima di morire, guardò il popolo ebraico entrare in Israele. Da allora il Monte Nebo è diventato il simbolo del diritto al ritorno per cristiani ed ebrei e dal 1948 ha fortemente assunto questo significato anche per i palestinesi e per tutti i musulmani.

Il monastero cristiano di Siyagha si trova sul picco del Monte Nebo ed è sorto a partire dal quarto secolo dopo Cristo nel posto in cui si pensa che Mosè sia sepolto. Nel corso dei secoli l’architettura cristiana dei luoghi è stata contaminata da elementi islamici e bizantini che dal 1932 vengono restaurati e curati dai frati francescani della delegazione della Terra Santa che hanno preso in custodia questo santuario. Per anni questi lavori sono stati coordinati da padre Michele Piccirillo, frate francescano italiano e archeologo di fama mondiale morto nel 2008. Insieme a lui lavorava padre Ammar Shahin che oggi vive ancora sul Monte Nebo e racconta di come «in Giordania c’è un grande rispetto per noi cristiani». La minoranza cristiana rappresenta il 6 % della popolazione totale giordana ed è suddivisa in diverse chiese e comunità (greci-ortodossi, ma anche cattolici, ortodossi-siriani, copti, armeni apostolici e protestanti) che convivono insieme alle altre minoranze druse e baha’i e alla maggioranza dei musulmani sunniti, che sono il 92 per cento della popolazione.

Il memoriale di Mosé sul Monte Nebo.
Il memoriale di Mosé sul Monte Nebo.

Madaba è una cittadina multiconfessionale che si trova ai piedi del Monte Nebo in cui un quarto degli abitanti è cristiano-ortodosso. Nessun cristiano dice di sentirsi minacciato dalla forte crescita dei Fratelli Musulmani, nonostante negli ultimi anni siano aumentati gli episodi di intolleranza religiosa, avvenuti soprattutto nelle periferie delle grandi città. Molti cristiani giordani raccontano invece di sentirsi protetti dalle istituzioni che garantiscono loro piena libertà di culto. La tutela dei cristiani rientra infatti nei piani del governo giordano in ottica anti-israeliana, ponendosi come baluardo contro quella che raccontano essere la «ebraizzazione» dei luoghi sacri sia musulmani che cristiani di Gerusalemme. «Abbiamo bisogno del sostegno di tutti gli 1,8 miliardi di musulmani del mondo e dei nostri fratelli cristiani per proteggere i luoghi sacri dall’arrivo di estremisti ebraici favorito dagli occupanti israeliani» racconta Abdul Sattar, portavoce del Ministero per gli Affari islamici.

Secondo gli accordi di Oslo del 1993, spetta al re di Giordania l’amministrazione dei luoghi sacri musulmani e cristiani di Gerusalemme. «Israele non sta implementando queste clausole e favorisce gli investimenti in quei territori solo di persone ebraiche» continua Sattar secondo cui per questi motivi «gli accordi di Oslo sono de facto stati cancellati». La crescita dei Fratelli Musulmani – che rivendicano la titolarità della causa palestinese - e la grande popolarità della questione palestinese nel popolo sta contribuendo a spingere il Governo verso una nuova intransigenza nei confronti degli israeliani, che potrebbe portare a una nuova fase dei rapporti tra Giordania e Israele. Ed inasprire ulteriormente un conflitto mai concluso.