L'intervista

«L’Unione europea ha un futuro soltanto se diventa federale»

Lo storico Piero Graglia traccia un bilancio politico dell’UE in un anno «dominato dalla presidenza di Donald Trump negli USA» - La debolezza dei 27 Paesi è evidente soprattutto sulle questioni internazionali - «Perché il messaggio di Ventotene non è mai tramontato»
La crisi politica dell’Unione europea si fa evidente quando i 27 Paesi sono chiamati a decidere su politiche esteri comuni: quasi mai si raggiunge l’obiettivo desiderato. ©OLIVIER MATTHYS
Dario Campione
31.12.2025 06:00

Piero Graglia, ordinario di Storia e politica dell’integrazione europea all’Università Statale di Milano, è tra i più autorevoli studiosi italiani dell’UE. La sua ultima monografia si intitola L’Unione europea. Uno sguardo oltre la siepe dei nazionalismi risorgenti (Grandi, 2024). Con Graglia, il Corriere del Ticino traccia il bilancio 2025 dell’UE.

«L’anno che termina oggi - dice lo studioso lombardo - è stato sicuramente dominato dalla presidenza di Donald Trump e dallo stress indotto dal cambio di direzione degli USA nei confronti dell’Europa. Un cambio che definirei epocale, e che ha prodotto spaesamento sia all’interno delle istituzioni dell’Unione, sia all’interno dei Paesi membri, i quali poi animano alcune di queste stesse istituzioni e, in particolare, il Consiglio europeo».

Questo spaesamento, sottolinea Graglia, «è stato il problema maggiore affrontato dall’Unione, che ha dovuto prendere atto di come gli amici di ieri non lo siano più oggi. Dagli Stati Uniti ci dividono interessi diversi e forse, a questo punto, anche valori diversi. L’Unione continua a reggere come sistema di funzionamento per quanto riguarda l’integrazione economica e commerciale, ma ha tanti e grandi limiti per ciò che concerne l’integrazione politica. Un discorso che prescinde, però, dal bilancio del 2005».

Tuttora forte economicamente, sempre più debole politicamente, quindi. Anche se, di fronte al piano di pace per l’Ucraina in 28 punti con cui la Casa Bianca sembrava arrendersi alle richieste di Vladimir Putin, Bruxelles ha fatto sentire il suo peso, dimostrando forse più forza di quanto si potesse immaginare.

«Sicuramente, in quell’occasione l’UE è stata più determinata rispetto all’ambiguità di fondo del presidente americano, il quale sembra sempre giocare un po’ alla politica del migliore amico - sostiene Graglia - Tante volte, in passato, ci provava Silvio Berlusconi in Italia, ma anche Tony Blair in Gran Bretagna. In politica, però, non esiste l’amicizia. C’è soprattutto la condivisione di obiettivi e di interessi. E Trump, con questo suo modo di agire alla “Ci penso io, faccio tutto io”, rimane dentro un’ambiguità estrema, dato che non si sa mai quale direzione voglia davvero prendere. Nel caso ucraino, l’Unione europea ha mantenuto la barra più dritta, pur con un limite enorme: l’assenza di una propria politica estera».

Oggi, nell’UE, le decisioni sono, infatti, il riflesso di scelte assunte da alcuni Paesi membri. «I 27 non riescono a esprimere una posizione unica - insiste Graglia - Sì, sull’Ucraina l’Europa è stata molto determinata. Ma in altre crisi meno. Penso, ad esempio, al Medio Oriente e a Gaza. Di fronte al comportamento dello Stato d’Israele e alla minaccia terroristica di Hamas, l’UE non ha saputo pronunciare una parola di chiarezza».

Una domanda di senso

La questione, inevitabile, è se l’UE abbia tuttora un senso. E come fermare le spinte centripete dei partiti nazionalisti o sovranisti, i quali non nascondono l’obiettivo della dissoluzione dell’unione politico-istituzionale in Europa.

«L’Europa è circondata da soggetti di dimensione continentale: Stati Uniti, Russia e, soprattutto Cina - dice ancora Graglia - Solo questo fa comprendere il motivo per cui l’unità dell’Europa è essenziale. L’Europa ha un senso soltanto come entità che si unisce, ragiona e opera in determinati ambiti come soggetto unico. E la via federale, che peraltro è ben nota alla dimensione politica della Svizzera, è l’unica strada percorribile. Nemmeno le diverse lingue e le differenti storie sono un problema: di nuovo, l’esperienza svizzera ci insegna che lingue e storie possono convivere. Il problema è che manca una volontà politica chiara di proporre un’evoluzione federale per l’Unione. L’unica strada, a mio avviso, che possa trasformare l’UE da soggetto economico-commerciale a soggetto politico con una sola voce. Senza questa voce unica, l’Europa conta nulla. Restiamo una terra di colonizzazione politica».

Peraltro, il cambio di direzione degli USA mostra chiaramente un’ostilità concettuale verso l’Europa. Trump sa benissimo, infatti, che l’Europa unita è forte, al contrario di un’Europa disunita dei singoli Stati. Anche per questo, appoggia apertamente i movimenti sovranisti nel vecchio Continente.

«Il problema esiste - afferma Graglia - ma non riguarda soltanto Donald Trump, quanto piuttosto l’evoluzione e l’affermazione di una visione politica americana che non è isolazionistica ma suprematista. Washington accusa l’Unione di vietare il diritto di parola per il controllo esercitato sui social statunitensi. Ma, in realtà, contesta la regolamentazione che impedisce gli sbocchi populisti, la marca di fabbrica del trumpismo. In tutto questo c’è, evidentemente, un’evoluzione pessima della politica USA che vira verso un modello populista autoritario, contrastato dall’Unione europea».

La lezione di Spinelli

L’ultima domanda a Graglia, che è anche il biografo di Altero Spinelli, riguarda la tensione verso il futuro che scaturiva dal manifesto di Ventotene. Che fine ha fatto, quella tensione? È finita per sempre o si può, in qualche modo, riconquistare? «Sicuramente, oggi è tutto molto più difficile. La metà degli anni ’40 del Novecento era un momento di statu nascenti, c’era una condizione di rigenerazione che favoriva idee nuove. Adesso siamo più affaticati, molto più pigri intellettualmente, molto più stanchi - risponde lo storico milanese - Basterebbe, tuttavia, affidarsi al buon senso, utilizzare il celebre rasoio di Occam (il principio secondo cui per spiegare un fenomeno bisogna scegliere le soluzioni o i modelli più semplici, ndr) e chiedersi: è più facile far collaborare 27 Stati mantenendoli sovrani o procedere a cessione di sovranità progressiva? In questo senso, il manifesto di Ventotene è tuttora valido, visto che la seconda opzione è quella più logica, è anche la più facile non da ottenere, ma da rendere operativa in tempi brevi. Quel messaggio non è tramontato, sono i fatti che lo propongono con ancora più forza. Sono le posizioni di Trump, di Putin, di Xi Jinping a dire che o l’Unione si fa, e diventa federale, o non c’è futuro per i singoli Paesi che non sia un pessimo futuro».