L'USI osserva le università francofone: «Non vogliamo seguire le mode»

Grandi cambiamenti si preannunciano a partire da questo semestre per le università della Svizzera francese. Delle riforme, in particolare per favorire un trattamento egualitario e inclusivo, sono state infatti approvate nelle università di Ginevra e Losanna e sono entrate in vigore a partire da questo gennaio.
Assieme a Lorenzo Cantoni, prorettore per la formazione e la vita universitaria dell’Università della Svizzera Italiana (USI), abbiamo cercato di comprendere dove si situa l’USI rispetto a questi cambiamenti. Siamo sulla cresta dell’onda o dovremo ancora aspettare? Cantoni ci propone di guardare alla questione sotto una prospettiva differente.
Ma di cosa stiamo parlando esattamente?
Lo scorso aprile l’Università di Ginevra (UNIGE) ha determinato che i diplomi rilasciati dal 2023 non riporteranno più alcuna dicitura che identifichi il sesso della persona. Sulla stessa linea si piazza anche l’Università di Losanna (UNIL) che da questo gennaio adotterà la stessa misura. Che cosa cambia concretamente? Sul sito dell’UNIL si legge che verrà eliminato ogni riferimento al sesso della persona diplomata. Questo significa che i titoli «signora» o «signore» prima del nome non avranno più alcun valore e verranno rimossi. Ad essere modificata sarà, inoltre, l'espressione «nata il» o «nato il», sostituita dalla formula neutra «data di nascita». La volontà dell’istituzione, così come si può leggere sul sito, è quella di «creare un’università che promuova la diversità e che garantisca una maggiore inclusione. Questa modifica permetterà ad ogni membro della comunità di sentirsi accolto e rispettato».
Se ne sta discutendo anche all’USI?
«Al momento non abbiamo in corso una riflessione in merito – esordisce il prorettore per la formazione Lorenzo Cantoni –. Devo dire che per una parte importante dei nostri diplomi, in lingua inglese, questo tema non si pone, dal momento che la morfologia dell’inglese non richiede di esplicitare il genere grammaticale». Ad oggi, dunque, né studenti, né professori sembrano ritenere necessario un cambiamento in questo senso. «Non credo, in generale, che piccole modifiche linguistiche possano risolvere problemi ben più ampi e complessi – continua –. A volte, anzi, potrebbero avere effetti contrari». Cantoni spiega, infatti, come alcune norme, legislative o di stampo sociale che siano, non abbiano necessariamente contribuito positivamente allo sviluppo. «Vi sono stati tempi e luoghi in cui non si poteva parlare di sesso, e parlarne era un problema; non mi sembra in sé un bene riattivare un tale tabu». Il motivo? A detta del prorettore, questo tipo di riforme sono da valutare attentamente. Se portate all’estremo, infatti, potrebbero implicare alcune limitazioni importanti riguardo a proposte volte esattamente a contenere problematiche di discriminazione di genere. E ancora: «Se, per esempio, non potessimo fare più statistiche sull’occupazione femminile in università, questo sì, sarebbe un problema». Infatti, comprometterebbe alcuni progressi necessari in ambito universitario. «Mi riferisco al movimento molto positivo che chiede una maggior presenza di donne in accademia. Questo processo, così importante, dovrebbe interrompersi nel caso non potessimo più verificarne il numero. Lo stesso avverrebbe rispetto all’impegno per aumentare la quota di studentesse negli ambiti di studio MINT (matematica, informatica, scienze naturali e tecnologia, ndr)». In poche parole, prendere la via di una riforma all’apparenza positiva, come quella adottata dall’UNIGE e dall’UNIL, potrebbe comportare delle conseguenze controproducenti rispetto allo scopo stesso.
Inoltre, come ci ricorda il prorettore, non bisogna dimenticare che «il tema dell’inclusione è ampio, e riguarda anche molti altri ambiti di cui ci occupiamo: dalla disabilità alla dimensione economica, dalla provenienza geografica alla cultura e alla fede religiosa. La riflessione sulla lingua, pur importante, non deve far dimenticare altri aspetti. Sono convinto – aggiunge – che l’inclusione debba includere, scusate il gioco di parole, molto di più». Ed è in particolare su questo che si sta cercando di riflettere. Riuscire a partorire una decisione che non sia dettata da «mode», come Cantoni stesso le definisce, ma che si concentri realmente sull’inclusione: è questo il vero obiettivo.


Ma le riforme non finiscono qui…
Quella riguardante i diplomi, infatti, è solo una delle modifiche che andranno ad impattare le istituzioni universitarie con lo scopo di renderle più inclusive e egualitarie. A ottobre il Gran Consiglio ha approvato un progetto di legge volto a garantire la parità di trattamento degli studenti durante la correzione degli esami all'Università di Ginevra. In che modo? Nel limite del possibile questi verranno resi anonimi. Si tratta di «una riforma semplice e a basso costo», viene spiegato sul sito dell’istituzione scolastica. Nonostante alcune remore, in quanto «il corpo insegnante non deve essere considerato discriminatorio», come afferma Murat Julian Alder (PLR), questa misura è entrata in vigore con l’inizio del nuovo semestre. «Mira a garantire un trattamento equo basato su criteri di obiettività e imparzialità al fine di evitare pregiudizi involontari» scrive sul suo sito l’UNIGE, mettendo in evidenza la fiducia accordata ai suoi dipendenti: «Il problema non è lottare contro un'ipotetica malizia, ma contro pregiudizi di valutazione involontaria o inconscia, compresi quelli relativi all'identità culturale o di genere». Anche in questo caso, l’Università del Canton Vaud si inserisce sulla scia della sua sorella ginevrina, prevendendo per il piano 2024 l’inserimento di una riforma simile.
Intanto all’USI
Le affermazioni del prorettore per la formazione e la vita universitaria dell’USI dimostrano come anche in Ticino il tema dell’imparzialità sia importante. Tuttavia, discussioni specifiche in merito alla resa anonima degli esami, almeno per ora, non sembrano presenti. «Naturalmente, se si tratta dei cosiddetti test oggettivi, quelli cioè in cui a priori si può definire che valore attribuire a ogni possibile risposta, per esempio quelli vero/falso, o a risposta multipla, già ora è possibile farli valutare direttamente dal computer, evitando ogni possibile parzialità umana – spiega Cantoni –. Negli altri casi al momento non abbiamo dei protocolli di anonimizzazione dei compiti».
Questa modifica ha però dei limiti. Come dimostra anche la stessa Università di Ginevra, non tutto può essere reso anonimo. Infatti, il fine è quello di limitare il giudizio soggettivo riguardo a lavori scritti che non possono essere valutati da un computer. Sono perciò esclusi da questa riforma tutti i progetti in cui l’accompagnamento di un professore è indispensabile come anche, necessariamente, tutti gli esami orali. «All’USI chiediamo comunque che gli esami orali siano fatti alla presenza di due persone (docente e assistente di solito), così da assicurare che vi sia un controllo incrociato per evitare possibili interferenze» precisa Cantoni.
Il tema risulta caro al prorettore, il quale ci rivela l’impegno per svolgere questa difficile operazione che è la correzione degli esami. «Naturalmente tutti possiamo sbagliare, sia chi fa l’esame sia chi lo valuta, ma ci impegniamo al massimo per dare delle valutazioni corrette». Questa attenzione è percepibile anche nella pratica: «Da anni, per esempio, insieme a un collega, tengo un corso di Academic Teaching, frequentato da assistenti, in cui dedico almeno quattro ore al tema di come progettare e correggere i test di verifica». Tuttavia, come precisa lo stesso prorettore, «quella della verifica e della valutazione è una tematica molto importante, sempre aperta a nuove sfide». Sicuramente, infatti, non sarà l’ultima volta che il tema dell’imparzialità farà discutere «basti pensare al dibattito di questi mesi su possibili usi scorretti di ChatGPT. Sono sicuro – chiosa Lorenzo Cantoni – che continueremo a parlarne anche in futuro».