La tendenza

Malessere adolescenziale in aumento in Svizzera: «Più sforzi per i nostri giovani»

Gli indicatori sono allarmanti, stando a uno studio dell’Ufficio federale di sanità pubblica – Lodi: «I ragazzi hanno bisogno di un porto sicuro a cui attraccare» – Longo: «I comportamenti dei genitori determinano il contesto di riferimento per i figli»
© CDT/Chiara Zocchetti
Giorgia Cimma Sommaruga
29.09.2023 20:30

Hanno la vita davanti a sé ma idee cupe per la testa. Depressione, pensieri suicidi, ansia. Gli indicatori del malessere adolescenziale in Svizzera sono allarmanti. Secondo uno studio dell’UFSP, per la prima volta i disturbi mentali sono risultati la prima causa di ricovero ospedaliero tra i giovani. «Tra il 2020 e il 2021 - comunica l’Ufficio federale di statistica (UST) - le ospedalizzazioni per disturbi psichici e comportamentali sono aumentate del 26% per le ragazze e le giovani donne tra i 10 e i 24 anni e del 6% per i coetanei di sesso maschile». Tuttavia la questione di genere non conta secondo Ilario Lodi, direttore di Pro Juventute per la Svizzera italiana. «La sofferenza - precisa Lodi - non ha genere e le forti pressioni a cui sottoponiamo i nostri ragazzi impegnano oltremisura entrambi i sessi». Tant’è che i dati di Pro Juvente, pubblicati pochi giorni fa, mostrano un aumento del 40% delle richieste di aiuto per i giovani dal 2019.

I genitori e le istituzioni

La salute mentale dei giovani è un tema sempre più attuale e preoccupante, soprattutto dopo il periodo di pandemia che ha messo a dura prova le loro risorse emotive e relazionali. Ma quali sono le problematiche che i ragazzi affrontano oggi? Come possono essere sostenuti dalle famiglie e dalle istituzioni? Pierfranco Longo, presidente della Conferenza cantonale dei genitori, riflette sulle difficoltà che i ragazzi, in particolare quelli tra i 10 e i 22 anni, stanno vivendo a partire dalle chiusure, del distanziamento sociale e dell’isolamento. «In generale, come associazione mantello non riceviamo e non prendiamo a carico richieste per situazioni di forte disagio. È corretto che le famiglie in difficoltà si rivolgano a figure competenti nell’ambito della salute mentale. Come associazione organizziamo invece conferenze dedicate ai genitori invitando gli esperti a parlarne». Secondo Longo, il rischio per le famiglie è piuttosto quello di chiudersi nella sfera privata. «Se ci si sente in difficoltà nell’affrontare il disagio o il malessere del figlio, anche parlando con il proprio pediatra si può avere un primo sostegno». Tuttavia non sempre i genitori scelgono di rivolgersi agli esperti o si rendono effettivamente conto di una mancata relazione con i propri figli, ma non è da considerarsi tanto un errore secondo Ilario Lodi, «quanto più una non sempre adeguata presa di coscienza e consapevolezza degli effetti della relazione che imbastiamo con i nostri figli, effetti che possono essere positivi, non positivi o addirittura negativi. Dobbiamo essere consapevoli del fatto che l’educazione non può più essere considerata una questione unicamente privata». Anche perchè, «non c’è un confine netto tra il malessere dei giovani e quello degli adulti», sostiene Longo. «Viviamo tutti nella stessa società, e gli esperti ci confermano che le qualità, i comportamenti e le scelte che i genitori esprimono, nel bene e nel male, determinano il contesto principale di riferimento per i figli».

L’importanza del dialogo

A proposito di relazioni sviluppate nella quotidianità, «vorrei fare un esempio che trovo particolarmente calzanze oggigiorno», interviene Lodi. «Si fa un gran parlare di bellezza e di ricchezza, e del potere che da queste - si suppone - deriverebbe; ma quasi mai si è in grado di riflettere con i bambini e con i giovani di estetica (che è la capacità di essere sensibili al bello) o di valore (che conferisce senso alla ricchezza, di qualunque genere essa sia). Se ci accingessimo a questo esercizio, la nozione di potere che ne deriverebbe sarebbe davvero molto diversa».

La malattia più diffusa

La depressione è la malattia più diffusa nel mondo secondo le statistiche dell’OMS, e non risparmia bambini e adolescenti. Nicholas Sacchi, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione ticinese degli psicologi, spiega che la pandemia ha avuto indubbiamente un effetto “booster” sul disagio mentale dei giovani, che era già in crescita prima della crisi sanitaria. Tuttavia «molte persone hanno preso sempre più la consapevolezza che la salute mentale è qualcosa a cui dare attenzione», afferma. Non sempre è la famiglia a rappresentare la zona di comfort in cui gli adolescenti possono esprimere il loro stato d’animo: «Questo dipende dal tipo di contesto familiare in cui sono cresciuti», spiega Ilario Lodi. «Se possono contare su una famiglia che ha curato gli aspetti della relazione in modo adeguato, i giovani hanno un porto sicuro a cui attraccare; se invece ciò non è stato possibile, i giovani andranno alla ricerca di altri interlocutori». A questo riguardo, Sacchi precisa che fortunatamente il tabù del rivolgersi a uno psicologo è ormai acqua passata: «Mi è capitato spesso di vedere in sala d’attesa giovani accompagnati dalla loro fidanzatina o viceversa, oppure mandati da un amico dal quale hanno ricevuto il mio biglietto da visita».

Lo sforzo della politica

Tuttavia uno sforzo maggiore è necessario. Tra il 2020 e il 2021 tra le persone tra i 10 e i 24 anni le ospedalizzazioni per tentativo di suicidio sono aumentate del 26%. Secondo l’analisi dell’Ufficio federale di statistica (UST), sui trattamenti per disturbi psichici tra la popolazione giovane nel 2020 e nel 2021, le prestazioni psichiatriche ambulatoriali fornite in ospedale hanno registrato un aumento del 19%. E allora «è molto importante - riflette Lodi - che il problema non sia più considerato esclusivamente una questione individuale. Il problema è collettivo e non riguarda più solo i singoli giovani ma deve essere affrontato collettivamente, meglio ancora: politicamente». E allora, se si tratta di un problema che effettivamente riguarda la collettività, «personalmente - interviene Longo -, auspico che aumentino significativamente gli sforzi dei rappresentanti della società civile, dei politici e delle autorità cantonali e federali nell’approfondire il malessere dei giovani individuando le cause principali, comunicandole chiaramente anche alle famiglie, coinvolgendole con informazioni e raccomandazioni pensate e dedicate ai genitori. Ho fiducia che le autorità sanitarie e, per collaborazione, scolastiche cantonali possano instaurare un dialogo pubblico verso i genitori, nell’interesse pubblico dei minori».

Il ruolo ambiguo dei social network

Il benessere psicologico dei giovani è una questione che preoccupa sempre più la società, soprattutto dopo il periodo di pandemia che ha messo a dura prova la loro resilienza. Secondo gli esperti l’aumento delle ore di utilizzo dei social network è da considerarsi un campanello d’allarme. «La messa in rete dei giovani sempre più precoce e l’assenza diffusa di controlli efficaci da parte dei genitori - interviene Longo - in poco più di quindici anni ha creato un contesto in cui a partire dai 12 anni i bambini cominciano a consumare pornografia. In Svizzera lo comunica anche “Giovani e media”, un servizio di informazione sostenuto dall’Ufficio federale di salute pubblica, che tuttavia nella circolare n. 4 del 2022 consiglia ai lettori di prendere la cosa con tranquillità e in modo costruttivo». Tuttavia, «l’approccio è a mio avviso sbagliato. Nessuna delle motivazioni addotte da “Giovani e media” può essere accettabile con riferimento a bambini a partire da 12 anni. Spero che qualcuno dei nostri rappresentanti ticinesi a Berna prenda a cuore questa segnalazione». Ma i social network non possono essere considerati un male assoluto. Nicholas Sacchi, che dialoga ogni giorno con adolescenti e giovani adulti che hanno chiesto il suo aiuto, osserva che il malessere dei giovani ha origini - necessariamente - diverse e complesse. Riconosce che i social network e le tecnologie digitali sono stati un importante mezzo di comunicazione durante il lockdown, ma avverte anche dei rischi di un uso eccessivo o distorto. «Alcuni sono riusciti a usarli bene, altri ne sono sicuramente rimasti intrappolati», osserva. E aggiunge: «Questo però non dipende dal mezzo, bensì da fragilità sia nel recuperare la propria indipendenza dopo una situazione così tragica come quella della pandemia, sia perché esisteva già una difficoltà individuale, latente, nell’accedere a una socialità». Osservando i giovani e le famiglie da vicino, Ilario Lodi avverte il ruolo dei social media centrale nella questione del malessere dei giovani. Lodi sostiene che la relazione in carne e ossa è venuta a mancare e che il surrogato della relazione attraverso il social media non può sostituire il piano delle emozioni e delle passioni. «Inoltre, il confronto continuo da spettatore con le presunte e mai reali “vite perfette, felici e di successo” condivise sui social da conoscenti, estranei e VIP contribuisce in modo sostanziale alla sensazione di non essere mai all’altezza», conclude Lodi.
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