Marchand lascia la guida della SSR, «nell’interesse dell’azienda»

«Gilles Marchand lascia la guida della SSR». La notizia è arrivata questa mattina, decisamente a sorpresa. «Le grandi sfide che attendono la SSR nei prossimi cinque anni devono essere affrontate con sufficiente anticipo da una direzione generale che si dedichi a questo anima e corpo e per un lungo periodo. Abbiamo quindi deciso di comune accordo di anticipare la sostituzione del direttore generale». Jean-Michel Cina, presidente del Consiglio d’amministrazione, spiega così la decisione. Le «grandi sfide» di cui parla sono note. E la SSR le riassume come segue: «Dopo la fase di consultazione, che si concluderà nel gennaio 2024, il Consiglio federale definirà le sue misure relative all’iniziativa “200 franchi bastano!” nel giugno del 2024. Il Parlamento esaminerà in seguito l’iniziativa e la posizione del Consiglio federale nel 2025, mentre la votazione popolare è prevista per il 2026. Il 2027 sarà poi l’anno dei negoziati per la nuova Concessione SSR, che sarà approvata nel 2028». Un calendario fitto, che si scontra con il fatto che Marchand avrebbe dovuto restare in carica fino al raggiungimento del 65. anno di età: inizio 2027. Il processo di successione avrebbe dovuto svolgersi in pieno periodo di votazione. Insomma, non era il caso. Già, ma allora perché non prorogare il mandato da direttore generale?
«Analisi professionale»
Ci risponde direttamente Gilles Marchand, che parte proprio dalle riflessioni che hanno portato a questa decisione. «Riflessioni professionali e politiche in merito all’agenda che attende la SSR nei prossimi anni. A questo punto, nell’interesse del gruppo e nell’interesse del servizio pubblico, dobbiamo anticipare questo cambio alla testa della direzione generale, perché non possiamo permetterci di farlo più in là, proprio nel periodo per noi più caldo. Un processo di successione di questo livello è piuttosto complesso e richiede diversi mesi, fino a otto-dodici mesi, non solo per individuare, ma anche per assicurarsi che sia disponibile, la persona prescelta. Ciò significa che avremmo dovuto iniziare il processo di reclutamento all’inizio del 2026, proprio nel bel mezzo delle discussioni politiche. Non sarebbe stato possibile, nell’interesse del gruppo». E per un’eventuale proroga del suo mandato? «Anch’essa sarebbe stata complicata. Perché nell’agenda della SSR ci sono anche i negoziati per la nuova concessione. Anche in questo caso, non è immaginabile una simile destabilizzazione alla guida del gruppo con una discussione pubblica e politica di quel livello. Penso sia necessario avere una direzione generale con una visione a lungo termine. Insomma, si tratta di un’analisi degli interessi della SSR».
«Difendo il servizio pubblico»
Il ragionamento del direttore generale appare molto naturale e conseguente. Certo, resta una sensazione di incompiutezza. Gli chiediamo se tale decisione non sia, in fondo, anche una sconfitta, per lui, o quantomeno una delusione. Immaginiamo che Marchand avrebbe preferito arrivare fino in fondo alla sfida, una sfida che la SSR è costretta a giocarsi nei prossimi anni. «Sì, certo che è difficile arrivare a una simile decisione. Ma in questo tipo di situazioni bisogna riuscire a distinguere tra la dimensione personale e quella professionale. Personalmente, sono un difensore convinto del servizio pubblico. Sono 23 anni che mi batto per il servizio pubblico. Sono 23 anni che mi batto per la Svizzera. In ogni caso, questa è la mia visione del servizio pubblico, quindi è una decisione molto difficile da prendere. Ma proprio perché sono così legato all’azienda che rappresento, penso che dobbiamo mettere al primo posto gli interessi della SSR. Ho quindi preso questa decisione in pieno accordo con il Consiglio di amministrazione, perché credo che ciò che conta davvero sia la continuità del servizio pubblico». Per Marchand non si tratta, qui, «del destino di chi è al comando. È in gioco il futuro dell’istituzione. Io mi sono messo a disposizione dell’istituzione, e questo è quanto». Poi ribadisce: «Sì, è stata una decisione difficile, lo riconosco. Ed è vero che sento ancora il desiderio di condurre la lotta. Ma a un certo punto bisogna prendere decisioni professionali».
«È un messaggio forte»
È anche vero che, per la SSR, non è per nulla facile muoversi, oggi, al cospetto dell’opinione pubblica, o comunque di parte della politica nazionale. La decisione presa congiuntamente da Marchand e dal CdA presta il fianco anche a dubbi e potenziali critiche. Ora come ora, infatti, l’azienda non ha, in prospettiva, un direttore generale. Deve sceglierlo e non può sbagliare. «Credo, e ribadisco, che sarebbe stato più complicato dover prendere certe decisioni in altre fasi di questo “processo”. Se volete, poi, non c’è mai un buon momento per decisioni simili. Non è possibile avere un momento ideale. Quindi sì, c’è comunque un rischio di destabilizzazione, ma ora è minore rispetto ad altri eventuali momenti. E poi, questo mi sembra anche un messaggio forte, perché significa che la SSR è pronta a mettere al primo posto l’interesse dell’istituzione. Sono convinto che le grandi aziende siano quelle che riescono a gestire l’avvicendarsi delle generazioni. Basti pensare a UBS. Quanto sta avvenendo è piuttosto interessante. Hanno nominato, ancora recentemente, un CEO importante come Sergio Ermotti e già stanno pensando alla sua eventuale successione. Credo che anche la SSR sia in grado di ragionare in maniera simile, è un’istituzione solida e io sto cercando di renderla il più solida possibile. Poi ognuno commenta come preferisce, ma al centro di tutto, al centro della nostra riflessione, c’è l’interesse dei cittadini, della sostenibilità delle nostre istituzioni». Gilles Marchand, anche in vista della votazione, rappresentava comunque una minoranza linguistica. Un fattore che avrebbe potuto avere un peso nella sfida. «Già, penso si tratti di una vera e propria sfida. Ma gestire la SSR significa prestare attenzione costante agli equilibri regionali e culturali. La SSR esiste perché rispetta questo aspetto. Quindi non importa chi sei, che lingua parli o da dove vieni: questo rispetto per la diversità e per le nostre radici credo sia essenziale. E gli equilibri regionali e culturali non sono scontati. Ma il rispetto della diversità non dipende dalla lingua o dalla cultura di provenienza, dipende dalla singola persona. Per questo, bisogna trovare qualcuno che lo capisca e che rispetti questi aspetti».