Regno Unito

Mea culpa di Boris Johnson sul COVID, i famigliari delle vittime: «Assassino»

È un'immagine a tratti contrita quella che BoJo ha esibito oggi di fronte alla commissione indipendente d'inchiesta sulla risposta britannica all'emergenza Covid, incalzato per ore nella prima di due giornate di audizione fiume sugli errori, i ritardi, le contraddizioni imputate al suo governo e alla sua leadership nei mesi più duri della pandemia
©SERGIO PEREZ
Ats
06.12.2023 18:29

Via il piglio abituale e le battute sfrontate. È un'immagine a tratti contrita, sin quasi alle lacrime, quella che Boris Johnson ha esibito oggi di fronte alla commissione indipendente d'inchiesta sulla risposta britannica all'emergenza Covid, incalzato per ore nella prima di due giornate di audizione fiume sugli errori, i ritardi, le contraddizioni imputate al suo governo e alla sua leadership nei mesi più duri della pandemia.

Audizione durante la quale l'ex premier Tory artefice della Brexit ha fatto mea culpa, in forma solenne, seppur parziale. Riconoscendo negligenze, passi falsi, valutazioni imprecise e rivolgendo coram populo una richiesta di scuse alla sua gente. Scuse che non cancellano l'autodifesa su parte delle contestazioni e che diverse voci nella platea di familiari delle vittime si sono levate a contestare pubblicamente: fino a dargli dell' «assassino» a costo di farsi espellere dall'aula dalla baronessa Heather Hallett, presidente della commissione ed ex alto magistrato in pensione.

«Sono profondamente dispiaciuto per il dolore, le perdite, la sofferenza delle vittime e delle famiglie», ha esordito Boris Johnson dopo il giuramento di rito. Premessa da cui ha fatto discendere tutte una serie di ammissioni, calibrate evidentemente nel dettaglio con i suoi legali dopo una preparazione durata mesi, secondo i giornali, e corredata dalla lettura di 6000 pagine di documenti. A cominciare da quella esplicita di essersi accorto «decisamente troppo tardi» della gravità di un incubo che a ridosso di Pasqua del 2020 avrebbe condotto lui stesso a un drammatico ricovero in terapia intensiva.

Messo sulla graticola dalle domande di Hugo Keith, principe del foro londinese e capo inquirente della commissione, l'ex primo ministro si è addossato in veste di leader la «responsabilità personale di tutte le decisioni prese». Non senza concedere come «vi siano state senza dubbio cose che avrebbero potuto essere fatte diversamente»; o come si sia rivelata «completamente falsa» la previsione iniziale secondo cui il Regno avrebbe dovuto raggiungere il picco dei contagi a giugno.

La 'confessione' ha toccato il culmine quando Boris ha ricordato l'intero 2020 come un annus horribilis, trattenendo a stento un groppo in gola. Detto questo, egli ha peraltro parlato di errori «inevitabili su certi punti», in un contesto segnato anche da un graduale «cambiamento» delle indicazioni - non sempre unanimi - «della comunità scientifica» e dei consulenti medici del governo.

Quanto al numero di decessi legati alla pandemia, Johnson ha invocato l'età media avanzata dei britannici come un fattore di cui tener conto; e comunque ha contestato il dato citato da Keith secondo cui il Regno avrebbe avuto il secondo tasso più elevato di vittime tra i principali Paesi d'Europa, dietro alla sola Italia.

Contestazione a cui la Bbc ha fatto seguire, a mo' di fact checking, una tabella aggiornata nazione per nazione sull'eccesso di mortalità in era Covid rispetto alle medie abituali: dove l'isola risulta in effetti terza nel vecchio continente - in rapporto alla popolazione - dopo Polonia e Italia e poco al di sopra di Spagna o Francia.

L'avvocato ha pure martellato sulle accuse relative ai ritardi di 2-3 settimane nell'introduzione del primo lockdown generale britannico (imposto a partire dal 23 marzo 2020) e sulla durata del secondo, scattato per un mese dal 5 novembre. Tempistiche rispetto alle quali l'ex premier si è trincerato dietro il condizionamento di consiglieri scientifici del governo esperti di studi comportamentali sulle controindicazioni attribuite agli effetti d'una chiusura generalizzata.

Spiegazioni che tuttavia difficilmente basteranno a convincere le tante voci critiche, alimentate anche dalle deposizioni di ex alti funzionari del suo stesso gabinetto che in audizioni precedenti hanno tratteggiato apertamente scenari di caos a Downing Street in quei mesi, additando Boris Johnson come il leader meno adatto per una situazione del genere: ondivago, talora distratto e spesso incapace di decisione coerenti.

Un leader caduto alla fine del resto per i contraccolpi del Partygate, lo scandalo dei ritrovi organizzati proprio a number 10 in violazione di ogni lockdown o restrizione. E che nelle parole di Aamer Anwar, avvocato di Covid Bereaved, un'associazione scozzese di familiari di vittime, merita di continuare a essere ricordato - scuse o non scuse - come colui che, «invece di affrontare seriamente la crisi, ha presieduto alla tragedia in un'orgia di disgustoso narcisismo».