Meno capi per avere aziende più agili e competitive

Flessibilità, agilità, inclusività... Il mondo dell’impiego è in rapida evoluzione, ma ora c’è una «novità»: l’abbattimento delle gerarchie. O quasi.
È notizia recente che il colosso farmaceutico e chimico tedesco Bayer ha deciso di adottare un nuovo modello operativo volto a ridurre le gerarchie, eliminare la burocrazia, snellire le strutture e accelerare i processi decisionali, con l’obiettivo di rendere l’azienda più agile e migliorare la sua operatività. In altre parole, ci saranno tagli all’organico per far fronte alle difficoltà finanziarie – il titolo in Borsa l’anno scorso ha ceduto quasi il 40% del suo valore – e a quelle operative, segnatamente nella divisione agraria, frutto dell’acquisizione di Monsanto nel 2018. Ma le ragioni di questa operazione sono verosimilmente più profonde.
«Senz’altro c’è il discorso dei costi: tagliando il middle management (quadri intermedi, ndr) e facendo quello che si chiama “de-layering” (“de-stratificare”, ndr) si riducono i costi, ma la motivazione principale è spesso legata al tentativo di creare organizzazioni che siano più rapide e più flessibili nelle loro azioni», spiega al CdT Gianluca Carnabuci, professore di Organisational Behaviour all’ESMT Berlin.
Il modello adottato da Bayer si chiama «Dynamic Shared Leadership», che in sintesi consiste avere, al posto di una direzione formalizzata in posizioni burocratiche prestabilite, una struttura più fluida, dinamica e distribuita (shared, appunto). «Il de-layering è caratteristico delle aziende knowledge-based (società di servizi avanzati, ndr), dove la conoscenza è molto più dispersa di quanto non fosse un tempo e c’è dunque necessità di strutture organizzative più dinamiche e rapide nell’adattarsi alle necessità del mercato e lo sviluppo di tecnologie innovative», spiega ancora Carnabuci. «In pratica – aggiunge – si cerca di ridurre al minimo lo “spazio” fra chi prende le decisioni e chi ha le competenze adatte a prendere quelle decisioni».
I processi di snellimento delle strutture organizzative non sono nuovi. Basti pensare al «modello Google»: con l’idea di eliminare gli sprechi e le inefficienze, fin dagli esordi la società di Mountain View ha suddiviso l’organizzazione in piccoli gruppi interfunzionali, dando loro molta autonomia decisionale ma anche assunzione di responsabilità delle proprie scelte. Ma c’è chi va ben oltre, come la statunitense Zappos (e-commerce di scarpe e vestiti facente capo al gruppo Amazon), che 2015 introdusse un modello di «olocrazia», un sistema organizzativo di governo d’azienda nel quale l’autorità e le decisioni sono distribuiti nell’ambito di una «olarchia», ovvero di gruppi auto-organizzati anziché subordinati a una gerarchia manageriale. «I tentativi così radicali come quello di Zappos in genere non riescono a produrre risultati o performance elevati sul lungo periodo», afferma il professor Carnabuci. In effetti, l’azienda ha poi abbandonato il modello nel 2019 a causa di problemi quali confusione, inefficienza e mancanza di una leadership chiara. Nonostante ciò, secondo la Holocracy Foundation nel mondo ci sono circa tremila aziende che adottano qualche forma di olocrazia, tra cui grandi società come Netflix e Spotify. «Quando si hanno gruppi progettati con l’idea che ci siano differenze gerarchiche, nel corso del tempo questi gruppi creano, dal basso, differenze gerarchiche informali», osserva il professore dell’ESMT Berlin, che cita uno studio empirico da lui condotto e pubblicato sulla rivista scientifica «Organization Science».
A questo punto vien da chiedersi se il futuro in azienda sarà «senza capi»... «Ci sono opinioni diverse su questo tema, ma sono assolutamente convinto che non sia la fine della forma gerarchica nelle organizzazioni», afferma Carnabuci. «La gerarchia nelle organizzazioni – continua – serve per gestire processi e strutture complesse. Il capo non è lì semplicemente perché lo vuole o ha deciso di esserlo: di regola svolge una funzione precisa e quindi è difficile pensare a organizzazioni complesse che possano sopravvivere senza qualche livello gerarchico». Un esempio in tal senso è quello della comunicazione pubblica. Oggi le grandi aziende, infatti, si giocano tutto, o molto, sull’immagine e la reputazione e una dichiarazione pubblica, sebbene con le buone intenzioni, fatta a nome dell’organizzazione su temi sensibili da parte di chi non ne ha la responsabilità o l’autorità può avere anche conseguenze negative.
«C’è da imparare a gestire la gerarchia e alcune delle disfunzioni legate ad essa vanno combattute. Questi modelli di Dynamic Shared Leadership, se vengono capiti e utilizzati nella misura giusta, possono essere un utilissimo controbilanciamento alle disfunzioni della gerarchia aziendale», conclude il professor Carnabuci.