Migrazione, “Non abituatevi a tali immagini”

LUGANO - La migrazione vista con altri occhi: quelli del reporter, quelli dello studente e infine quelli del migrante stesso. Questi gli ingredienti principali che hanno caratterizzato l'incontro svoltosi ieri al Liceo Lugano 1 e che ha visto protagonisti il giornalista del Corriere del Ticino Andrea Colandrea, e Sheek Abdirahman, ex migrante fuggito dalla Somalia oggi operatore umanitario britannico a Calais, cittadina sul canale della Manica.
Ad aprire la discussione, due considerazioni che ben riflettono la complessità del tema e, soprattutto, non mancano di suscitare curiosità. La prima è che, a differenza di quanto si possa immaginare quando si parla di migrazione europee – per intenderci migranti provenienti da paesi quali la Moldavia, la Romania o l'Ucraina – l'inclusione di queste persone nel mercato del lavoro è molto più celere di quanto si possa pensare di primo acchito.
Partendo dalla propria esperienza quale reporter e da quanto accade nella vicina Repubblica, Colandrea ha così sottolineato come «i migranti vengono assorbiti rapidamente nel mercato del lavoro. Spesso si pensa che fanno una vita di precariato, che sono irregolari e con un deficit d'istruzione. Ma non è così: in generale sono persone che hanno conseguito dei titoli di studio nei propri Paesi, con un alto grado di flessibilità e che imparano rapidamente l'italiano». Allo stesso tempo, come evidenziato dal giornalista, molte di queste persone giungono in Europa con la prospettiva di rimanerci appena il tempo necessario per guadagnare quanto serve e poi tornare nel proprio Paese d'origine.
«Ho conosciuto una donna ucraina sulla sessantina che si improvvisava come parrucchiera in un parco nella periferia di Milano – ha raccontato Colandrea – la sua speranza era quella di mettere da parte i soldi il più in fretta possibile e poi tornare a casa». Ma quando si dice migrazione, soprattutto di questi tempi, la mente non può che correre alle immagini dei barconi dei rifugiati che attraversano il Mediterraneo, ai centri per richiedenti d'asilo affollati, passando poi dallo spettro del terrorismo. A portare un altro sguardo sul fenomeno ci ha quindi pensato Abdirahman che, con una voce pacata al limite dell'incredibile dato il contenuto delle sue parole, ha raccontato agli studenti liceali la propria storia e il suo lavoro di operatore umanitario a Calais, nella tendopoli che conta oltre settemila immigrati e che è tristemente diventata nota quale «la Giungla».
«È un living hell, un inferno – ha spiegato – viene definita la Giungla perché non ci sono regole. C'è solo degrado, violenze e criminalità. Si vedono persone camminare come zombie, stupri e botte sono all'ordine del giorno in questa terra di nessuno dove la speranza dei più è quella di riuscire ad arrivare in Gran Bretagna». E assieme alla crudezza del contesto, l'operatore umanitario ha così lanciato un appello ai giovani presenti: «Non abituatevi a queste immagini, non osservate gli avvenimenti in superficie ma informatevi, studiate, parlate con la gente. Perché se continuiamo a nascondere la realtà nasceranno altre Giungle e il problema dei migranti continuerà ad accentuarsi». L'appuntamento di ieri si inserisce così nel progetto «Con altri occhi», promosso dal Corriere del Ticino in collaborazione con LuganoInScena, dedicato agli studenti liceali e volto ad approfondire il tema del conflitto nelle sue molteplici sfaccettature.