Medio Oriente

A due giorni dall'attacco iraniano, «il mondo ha già dimenticato Gaza»

Mentre l'Occidente è impegnato a fare i conti con le conseguenze dell'attacco iraniano, i fari sulla Striscia sembrano essersi spenti – «Gli aiuti umanitari erano la priorità, ma gli USA adesso pensano ad altro»
©MOHAMMED SABER
Federica Serrao
16.04.2024 12:00

Almeno dieci corpi sono stati trovati in una fossa comune scoperta ieri all'ospedale al-Shifa di Gaza. Alcuni erano in stato di decomposizione, di altri sono state trovate solo alcune parti. Molti, probabilmente, erano di donne o bambini. Non solo. Quattro persone – secondo quanto riportano Al Jazeera e Wafa – sono morte mentre diverse sono rimaste ferite in un attacco israeliano che ha colpito una casa nel quartiere di Tal as-Sultan, nella città di Rafah.

Questi sono solo alcuni degli avvenimenti che hanno interessato Gaza nelle ultime ore. Ore in cui, a seguito dell'attacco iraniano su Israele, l'attenzione dei media e della società si è spostata verso lo Stato ebraico, oscurando ciò che sta accadendo nella Striscia, dove la guerra non si è mai fermata. 

A Gaza, la popolazione è ancora sfollata e affamata. L'attacco di Teheran non ha minimamente cambiato le condizioni in cui, da ottobre a questa parte, stanno vivendo i cittadini. Motivo per cui, il cambiamento di questi giorni ha avuto un impatto non indifferente sui palestinesi. Secondo quanto rivela al Guardian Bashir Alyan, un ex dipendente dell'Autorità Palestinese, secondo le percezioni della Striscia, «Israele è diventato una vittima da un giorno all'altro».

Non a caso, Bashir, da mesi, vive in una tenda a Rafah con i suoi cinque figli. Oggi, lui e la sua famiglia sopravvivono per lo più grazie agli aiuti alimentari forniti dall'Unwra, che riesce a garantire loro di mettere sotto ai denti due pasti al giorno. Ma da quando negli scorsi giorni l'attenzione diplomatica si è spostata, improvvisamente, sull'attacco di Teheran, le differenze hanno cominciato a farsi sentire. «Le pressioni internazionali esercitate su Israele affinché portasse più aiuti e fermasse l'aggressione contro Gaza sono ormai un ricordo del passato». Ora, tra minacce e attacchi concreti, la crescente tensione tra Israele e l'Iran ha messo in pausa le richieste di aiuti e sostegno al popolo palestinese, ma non il conflitto. 

Promesse non mantenute

Eppure, solo qualche settimana fa, dopo l'attacco che ha portato all'uccisione di sette membri dell'agenzia alimentare World Central Kitchen, il presidente Biden aveva chiesto con urgenza che Israele migliorasse l'accesso degli operatori umanitari e facesse entrare più aiuti a Gaza. Di più, la scorsa settimana, il capo degli aiuti statunitensi, Samatha Power, aveva confermato che la carestia in Palestina si sta diffondendo in maniera preoccupante. 

Israele, in risposta, aveva promesso di «inondare Gaza di aiuti» e di «migliorare il coordinamento con gli operatori umanitari» così che si riuscisse a consegnare gli aiuti senza correre il rischio di essere attaccati. Allo stesso modo, era stata avanzata la possibilità di aprire i valichi a nord di Gaza, dove la carestia è più grave, permettendo l'arrivo di cibo attraverso il porto di Ashdod. Poi, però, è arrivata la minaccia di Teheran. E, improvvisamente, ogni promessa è stata messa in stand-by. Un valico settentrionale, a tutti gli effetti, è stato aperto, ma le Nazioni Unite non sono ancora autorizzate a utilizzarlo. E nel mentre, i riflettori rimangono accesi su Israele. 

Gli Stati Uniti, rivela ancora il Guardian, negli ultimi giorni sono sembrati «così distratti» che i funzionari principali sono a malapena riusciti a tenere traccia delle spedizioni di aiuti che, solo una settimana fa, sostenevano essere «una priorità» nel conflitto. Dall'altra parte, il portavoce della sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ieri ha dichiarato che il Paese «è ancora impegnato a fornire maggiori aiuti ai civili palestinesi», aggiungendo che nell'ultima settimana sono arrivati a Gaza 2.000 camion di aiuti. 

Paura per Rafah

Ma non finisce qui. Le preoccupazioni di Gaza riguardano anche un possibile arrivo di truppe israeliane a Rafah, l'unico posto nella Striscia in cui non si sono verificati intensi combattimenti. Domenica, infatti, l'esercito israeliano ha annunciato che avrebbe richiamato due brigate di riserva per condurre «attività operative sul fronte di Gaza», senza tuttavia fornire maggiori dettagli sul tipo di attacco.

Tuttavia, Israele è convinto della necessità strategica di conquistare la cittadina, definita una roccaforte di Hamas. E qualora ciò succedesse, la situazione prenderebbe una piega ancor più tragica. «Questa città è il polmone attraverso il quale respirano tutti gli abitanti della Striscia. È l'unico punto di passaggio per l'ingresso degli aiuti», ha dichiarato al Guardian al-Masry, una donna di 48 anni che si è rifugiata a Rafah dopo essere scappata da Gaza City. «Mentre Israele veniva colpito da un attacco iraniano che non ha ucciso nessuno, noi venivamo attaccati con tutta la crudeltà proprio da Israele, senza che nessuno prestasse attenzione a noi». 

Negli ultimi giorni, intanto, il bilancio delle vittime, secondo il Ministero della Salute di Gaza, è salito a oltre 33.700 morti. La maggior parte di questi sono donne e bambini.