«A Gerusalemme Est sfratto dettato da motivi politici»

In Israele quali sono state le principali reazioni alle recenti tensioni a Gerusalemme Est?
«Dalle leadership delle Chiese cristiane e ortodosse basate a Gerusalemme vi sono state dure critiche contro la repressione e gli sfratti ai danni di famiglie palestinesi del quartiere Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est. Per quanto riguarda invece la società israeliana non me la sento di parlare per conto loro, ma sembrerebbe che per ora non si sia schierata apertamente contro queste provocazioni del Governo Netanyahu ed il continuo accelerare del processo di ebraizzazione di Gerusalemme che va avanti da molti anni».
Che influenza ha avuto la politica su quanto vediamo oggi?
«Sul fronte israeliano nelle recenti elezioni abbiamo assistito all’avanzata dell’estrema destra nazionalista, mentre sul fronte palestinese vi è stato il rinvio delle elezioni che erano molto attese. Tutto questo ha creato una situazione molto pericolosa alla quale si aggiungono le provocazioni dei giorni passati a Gerusalemme, dove una minima scintilla può innescare problematiche molto serie. Basti pensare alla seconda intifada che era iniziata con azioni provocatorie da parte di Sharon, molto simili a quanto sta mettendo in atto al momento Netanyahu».
Chi potrebbe trarre vantaggio dalle attuali tensioni tra israeliani e palestinesi?
«Netanyahu è sotto inchiesta per corruzione, frode e abuso d’ufficio. Con l’aumento delle tensioni nei territori occupati, inclusa Gerusalemme Est, il premier cerca di deflettere l’attenzione pubblica dalle sue problematiche legali e dal fatto che ha fallito nel tentativo di formare un nuovo Governo».
Come mai gli israeliani vogliono appropriarsi del quartiere arabo di Sheikh Jarrah?
«Si tratta di una zona strategica per l’obiettivo israeliano di assicurare un maggioranza ebraica nella città e prevenire una divisione di Gerusalemme in quartieri arabo-palestinesi e israeliani. Sheikh Jarrah è un quartiere arabo-palestinese in vicinanza della città vecchia dove da anni sono in corso tentativi di espropriazione che adoperano giustificazioni legali per quello che in realtà è un obiettivo politico: rendere impossibile la formula dei due Stati. In realtà non vi è alcun dubbio che quello che sta commettendo Israele a Gerusalemme Est, come nei territori occupati, sia una chiara violazione del diritto internazionale, non vi è termine legale che regga in questo contesto».
La Corte Suprema israeliana, chiamata ad esprimersi sull’esproprio, ha rinviato il suo pronunciamento. Come mai?
«La decisione di rinviare la sentenza è stata presa dalla Corte per cercare di non gettare benzina sul fuoco. È però poco probabile che il ritardo si traduca in una cancellazione. Ad oggi la priorità per la Corte è quella di riportare la calma, ma non è detto che la leadership politica in Israele, come quelle delle organizzazioni dei coloni, siano dello stesso parere».
Come mai la rabbia dei palestinesi si riversa sulle autorità israeliane, ma non contro i vertici palestinesi che non permetto al popolo di votare da 15 anni?
«Per i palestinesi è molto difficile fare una manifestazione contro l’ANP nei territori occupati della Cisgiordania, in quanto l’ANP negli ultimi 8-10 anni ha aumentato in modo sostanziale le capacità di controllo della società, reprimendo duramente ogni forma di dissenso. Abu Mazen ha rinviato le elezioni di maggio perché rischiava di uscire perdente, in quanto erano state allestite liste di candidati indipendenti, alcuni dei quali anche all’interno del movimento di al-Fatah di cui fa parte Abu Mazen. A causa di questa competizione interna Abu Mazen ha deciso di rinviare ancora il voto. Ora la rabbia si riversa contro Israele e le sue politiche repressive a Gerusalemme. A differenza delle proteste contro l’ANP, quelle contro l’occupazione israeliana sono più libere, in particolar modo oggi, quando Abu Mazen è alla ricerca di legittimità dopo l’ennesimo rinvio di un voto atteso ormai da più di 15 anni».