La testimonianza

«Abbiamo festeggiato, ma restiamo cauti»

Amjad Shawa, direttore dell’organizzane mantello delle ONG palestinesi, spera di tornare al più presto a Gaza - «Ci servono subito aiuti, cibo ma soprattutto medicinali» «Adesso tutte le parti devono impegnarsi nell’ottenimento di una pace sempre più necessaria»
©Abdel Kareem Hana
10.10.2025 06:00

«Da quando è iniziata la guerra due anni fa, viviamo giorno per giorno e ci prendiamo tutto quello che viene. Ora abbiamo un po’ di respiro, ma il pericolo è dietro l’angolo».

È realista Amjad Shawa, direttore del Palestinian Non-Governmental Organizations Network, organizzazione mantello della Striscia che racchiude 133 associazioni palestinesi ed è nata dopo gli Accordi di Oslo del 1993. Prima della guerra, la sua organizzazione si occupava di coordinare l’assistenza a Gaza, per venire incontro alle varie richieste di aiuto. Dallo scoppio del conflitto, ha cercato di dare una mano per la gestione soprattutto del cibo: molti gazawi, riconoscendolo, si rivolgevano a lui.

«Da ieri sera (mercoledì, ndr) da quando cioè la notizia della firma dell’accordo è arrivata, è chiaro che qui molti hanno festeggiato. A Gaza siamo tutti stanchi: della guerra, della fame, dell’orrore, delle bombe. Ogni piccolo gesto che possa portare alla pace è, per noi, un motivo di sollievo. È necessario ora tenere i piedi per terra e sperare che nulla ci sia che impedisca di raggiungere quella pace che aspettiamo da due anni. Purtroppo, già altre volte siamo rimasti scottati; speravamo di esserci vicini, ci mancava poco, e invece la pace non è arrivata. O, peggio: ci sono state tregue, momenti nei quali le armi hanno taciuto. Speravamo che continuasse. Ma purtroppo la guerra è tornata con la sua crudeltà, se non anche peggio».

Amjad ha sempre vissuto a Gaza City dove ha sede pure la sua organizzazione. Due settimane fa, a causa dell’operazione israeliana nella città più importante della Striscia, ha dovuto lasciarla e si è trasferito a Deir el Balah, nella parte centrale della Striscia.

«Speriamo, io e la mia famiglia, assieme a tutti i gazawi, di poter tornare presto a casa. Vorremmo sapere - racconta al CdT - come stanno le nostre case, se sono ancora in piedi o sono state distrutte. Se abbiamo perso tutto o c’è qualcosa su cui possiamo ricostruire una vita senza guerra. L’esercito ci ha detto che alcune zone di Gaza, come il nord, sono tuttora aree militari, per cui non possiamo farvi ritorno. È ancora troppo pericoloso. So, comunque, di molte persone che stanno provando a rientrare».

Cosa si aspetta, Amjad, come prima cosa se dovessero essere raggiunti il cessate il fuoco e poi, eventualmente, la pace duratura per la Striscia? «È fondamentale - risponde - che entrino tutti gli aiuti necessari. Non solo cibo, ma le attrezzature mediche per dare sollievo agli ospedali che si trovano in una situazione critica. Abbiamo bisogno di medicine, anche le più basilari. Se dovessimo avere la pace duratura, è fondamentale una nuova amministrazione della Striscia di Gaza che ci permetta di vivere in pace e in salute, così come accande altrove nel mondo. Noi, come tutti, non meritiamo la guerra. La gente è stanca, chiunque in questo conflitto ha perso un familiare, un amico. È un bilancio troppo grande. Dobbiamo impegnarci, e siamo pronti, per ricostruire anche civilmente la Striscia. Abbiamo una grande forza di volontà e una tradizione, che dobbiamo sfruttare».

Nonostante l’euforia di queste ore, gli annunci, le dichiarazioni anche dei politici in tutto il mondo, Amjad sembra però scettico. «No, non è scetticismo il mio - dice - ma voglio essere realista. Come detto, già troppe volte sono e siamo rimasti scottati dal fatto che non c’è stata una vera volontà di raggiungere la pace. Non so se ora sia cambiato qualcosa e ci siano le condizioni giuste. Sembra che tutto si sia allineato per il meglio, ci sono molte pressioni. Ma bisogna che le parti si impegnino davvero nell’ottenimento di una pace che è necessaria per tutti, qui a Gaza come altrove».

Che cosa si dovrà fare come prima cosa se si dovesse raggiungere la pace è la questione su cui tutti si interrogano. «È fondamentale - conclude Amjad - collaborare per la ricostruzione di Gaza. Anche civile, sociale, come dicevo. È semplice costruire un palazzo, ma una società è più difficile. È necessario l’impegno di tutti, dentro e fuori Gaza per raggiungere questo obiettivo. Noi gazawi siamo pronti e ci mettiamo a disposizione. Bisogna che la stessa disponibilità la mettano anche gli altri».