Aziende

Abusi nelle fabbriche in Myanmar: H&M indaga, mentre i lavoratori criticano l'UE

Si moltiplicano le pressioni per l'uscita delle grandi aziende dal Paese, dove le condizioni di lavoro si fanno sempre più difficili — Alcune compagnie obiettano: «Così si peggiora la situazione» — I sindacati birmani all'Unione europea: «Basta legittimare la giunta militare»
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Red. Online
19.08.2023 14:45

Salari ridotti o del tutto scomparsi. Licenziamenti senza giusta causa, straordinari forzati e, un po' ovunque, ritmi di lavoro disumani. In Myanmar la situazione peggiora di mese in mese per i lavoratori dell'industria tessile. A segnalarlo è l'ong Business and Human Rights Resource Centre (BHRRC), gruppo di difesa dei diritti umani che fra il 2022 e il 2023 ha seguito da vicino 156 casi di presunti abusi sui lavoratori nelle fabbriche di abbigliamento che riforniscono i giganti della moda. Secondo l'ong, il deterioramento dei diritti dei lavoratori, in Myanmar, è palpabile, complice il colpo di Stato militare avvenuto nel febbraio 2021. Da tempo, ormai, si moltiplicano gli appelli a disinvestire nel Paese. E la pressione del sindacato mondiale dei lavoratori IndustriALL aveva convinto lo scorso mese uno dei principali attori del settore, Zara, ad abbandonare progressivamente il Paese.

Nelle scorse ore, fa sapere Reuters, anche H&M ha annunciato di aver preso nota della situazione. Indagherà su 20 presunti casi di abuso di manodopera nelle fabbriche di abbigliamento che la riforniscono. Se gli abusi dovessero essere confermati, H&M lascerà il Paese? È presto per dirlo. Secondo alcuni la decisione di Inditex (gruppo che controlla Zara) di spostare la propria produzione dal Myanmar (scelta presa anche da diversi altri marchi come Primark o Marks & Spencer) potrebbe avere risvolti pesanti per i lavoratori. È, questa, la posizione dell'Unione europea: secondo Bruxelles, le aziende dovrebbero continuare a rifornirsi in Myanmar, dove l'industria dell'abbigliamento è un importante datore di lavoro, con oltre 500 fabbriche che producono abiti e scarpe per grandi marchi. «Impegnandosi come azienda nelle discussioni con i gruppi locali per i diritti dei lavoratori e con i sindacati sui salari e sulle condizioni di lavoro, si può fare leva», ha spiegato a Reuters Karina Ufert, CEO della Camera di Commercio Europea in Myanmar. «Lasciando il Paese, è difficile capire come si possa avere un'influenza sulle condizioni locali».

Monitoraggio

Alcuni marchi che continuano (e continueranno) a rifornirsi in Myanmar, intanto, hanno anche intensificato il monitoraggio dei fornitori. Adidas, ad esempio, contattata da BHRRC ha spiegato di voler restare: «Nonostante i rischi per i diritti umani e per i diritti del lavoro che sono stati identificati, riteniamo che, attraverso misure di due diligence rafforzate (attività di sorveglianza, ndr) in materia di diritti umani, possiamo continuare a fare affari in Myanmar in modo responsabile e in linea con le convenzioni fondamentali dell'OIL (Organizzazione Internazionale del Lavoro), con i principi guida delle Nazioni Unite e con le Linee Guida dell'OCSE». Simile la posizione della britannica Next: «Abbiamo preso in considerazione l'ipotesi di ritirarci dal Myanmar, ma se da un lato ciò potrebbe inviare un chiaro segnale al governo locale, dall'altro è possibile che arrechi un danno enorme alle comunità e ai lavoratori locali, privandoli di investimenti e salari di cui hanno disperatamente bisogno».

MADE non piace

Ma i lavoratori che cosa ne pensano? H&M, come la spagnola Tendam o la danese Bestseller, fa parte di una lista di 18 marchi che partecipano a MADE (Multi-Stakeholder Alliance for Decent Employment in the Myanmar Apparel Industry), progetto volto a migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche di abbigliamento in Myanmar. Ma il piano, lì, non piace. Una coalizione di federazioni sindacali e organizzazioni del lavoro in Myanmar lo aveva già reso evidente nel mese di aprile, quando con una lettera aperta alla Commissione e al Parlamento europei aveva esortato a ripensare il progetto MADE, colpevole di «minare la libertà di associazione sul posto di lavoro nel contesto di un golpe militare».

«Il programma non ha alcun interesse ad affrontare le nostre denunce o quelle dei lavoratori sui diritti e sulle condizioni di lavoro. È diventato uno strumento per proteggere gli interessi dei datori di lavoro e un progetto di propaganda che legittima l'ambiente commerciale controllato dalla giunta militare. La Commissione europea dovrebbe interrompere i finanziamenti e i progetti che conferiscono legittimità di qualsiasi tipo alla giunta militare, compreso il progetto MADE in Myanmar. Il programma non è altro che un tentativo di "greenwashing" dell'ambiente imprenditoriale del Consiglio di Amministrazione dello Stato (SAC). Non ha alcuna competenza per prevenire o mitigare, ma contribuisce alle violazioni dei diritti del lavoro nell'attuale situazione politica del Myanmar».