L'intervista

«Assistere alla nascita dei pianeti? Ora è possibile farlo in diretta»

Anna McLeod, originaria del Locarnese, è una giovane astrofisica, professoressa associata all’Università di Durham, nel Regno Unito - Con lei, fra le relatrici del TEDx in programma a Bellinzona, discutiamo delle più recenti scoperte in campo astronomico
©NASA, ESA, CSA, and STScI HANDOUT
Giona Carcano
30.08.2025 06:00

Anna McLeod, originaria del Locarnese, è una giovane astrofisica, professoressa associata all’Università di Durham, nel Regno Unito. Il suo campo di ricerca è la formazione stellare, un tema che la porta a guidare collaborazioni internazionali e a utilizzare telescopi di punta come il Very Large Telescope in Cile, il James Webb Space Telescope (JWST) e Hubble. Con McLeod, fra le relatrici del TEDx in programma a Bellinzona, discutiamo delle più recenti scoperte in campo astronomico.

Grazie al JWST, recentemente è stata trovata una nuova piccolissima luna di Urano, che sfuggiva anche a Hubble. Può spiegarci l’importanza di questa scoperta per lo studio dell’ambiente gravitazionale di Urano e cosa può dirci delle potenzialità future del telescopio spaziale nell’esplorare il sistema solare?
«Il fatto che JWST sia riuscito a individuare una luna così minuscola (è la 29. che scopriamo intorno a Urano e misura solo 10 km di diametro) ci dice che conosciamo ancora solo in parte il «giardino di casa» che è il nostro Sistema Solare. Neanche la sonda Voyager 2 durante il suo sorvolo se n’era accorta. Ogni nuova luna che scopriamo, specialmente quelle che si trovano molto vicine al pianeta come questa, aggiunge un tassello per capire quale possa essere il loro ruolo nella formazione degli anelli di Urano. Su scale più grandi, studiando Urano e le sue lune cerchiamo di capire come si formano i sistemi (eso)planetari e satellitari in generale. Webb, anche se pensato soprattutto per osservare le galassie lontane, sta dimostrando di avere un enorme potenziale anche nello studio dei corpi celesti più vicini a noi».

A proposito di galassie lontane. MoM-z14, osservata proprio dal JWST, è la più distante finora rilevata, risalendo a circa 280 milioni di anni dopo il Big Bang. Questa scoperta sta mettendo in discussione le teorie sulla formazione delle prime galassie? In che modo? E quali domande restano da chiarire?
«Questa è una scoperta davvero importante perché ci mostra galassie già “mature” in un’epoca in cui pensavamo fossero ancora in fase di formazione. Ovvero, secondo il modello cosmologico standard, una galassia con una ricchezza di elementi chimici e un grado di formazione stellare così elevato come misurati per MoM-z14, non dovrebbe apparire fino a molto più tardi nella storia dell’Universo. Restano quindi molte domande: Come hanno fatto le galassie a crescere così velocemente? Come si sono formati gli elementi chimici presenti in MoM-z14 così velocemente? Cosa dobbiamo rivedere nei modelli cosmologici e nelle teorie della formazione delle galassie accettati? Sono misteri che stimolano nuove idee e nuove ricerche».

Grazie a una combinazione di osservazioni del JWST e dell’osservatorio ALMA in Cile, per la prima volta si è notato un giovane sistema planetario in formazione (HOPS-315), con anelli di gas e polvere destinati a diventare pianeti. Un sistema di osservazione particolare, che unisce due sistemi differenti. Questo tipo di sinergia è la chiave per le future osservazioni? Quali sono i punti di forza principali?
«Si tratta di una scoperta molto importante: infatti, siamo in grado di osservare in diretta la nascita di pianeti. E ci siamo riusciti grazie alla combinazione di due “occhiali” diversi: JWST osserva l’infrarosso, cioè il calore della polvere e delle nubi e ci indica la presenza di un disco attorno alla giovane stella, disco dal quale si formano pianeti. ALMA “sente” le onde radio emesse dal gas e in questo sistema ci conferma la presenza di molecole associate a proto-pianeti, così come la presenza di un getto di materia lanciato dai “poli” della stella. Insieme, JWST e ALMA ci offrono una visione completa e dimostrano che queste collaborazioni tra osservatori diversi sono fondamentali, perché nessuno strumento da solo può raccontarci tutta la storia: componenti diverse del sistema planetario sono visibili a lunghezze d’onda diverse».

Ora siamo in grado di osservare in diretta la nascita di pianeti

Tornando a concentrarci solo sul JWST, c’è da ricordare la scoperta di una straordinaria galassia a forma di infinito, dove un buco nero supermassiccio sembrerebbe essersi formato per collasso diretto al centro di due nuclei galattici. Che cosa cambia per le teorie sull’origine dei buchi neri supermassicci e per le dinamiche delle fusioni galattiche?
«Questa osservazione è affascinante perché ci aiuta a capire come nascono i buchi neri supermassicci. Per intenderci, questi sono i buchi neri che spesso troviamo al centro di galassie come la Via Lattea. Sapevamo che esistono già nei primissimi miliardi di anni di vita dell’Universo, ma non era chiaro come fossero cresciuti così in fretta. L’idea che possano formarsi direttamente dal collasso di enormi quantità di gas, senza passare da stelle che collassano a buchi neri che poi crescono, è una pista molto interessante. Inoltre, questa galassia a forma di infinito ci mostra che le fusioni galattiche – quando due galassie si incontrano e si fondono – possono essere i catalizzatori della formazione di questi buchi neri».

Veniamo a temi molto più vicini a noi. L’anno prossimo verrà costruito l’osservatorio dell’Alpe Gorda, progetto promosso dall’associazione Astrocalina. In qualità di presidente di Astrocalina, ci può descrivere brevemente l’osservatorio? Quali saranno le sue funzioni principali?
«È un progetto che ci rende molto orgogliosi. Sorgerà in Valle di Blenio, accanto alla capanna dell’Alpe Gorda, a circa 2.000 metri di altitudine. L’osservatorio – che sarà anche operabile da remoto – ospiterà un telescopio principale da 80 cm, uno strumento potente che permetterà attività di divulgazione di alto livello, così come attività di ricerca. Inoltre, l’osservatorio ospiterà anche una serie di telescopi e strumenti di ricerca in visita da vari istituti accademici europei. Sarà un luogo dove studenti, appassionati e visitatori potranno osservare direttamente pianeti, stelle e galassie, ma anche dove si potranno condurre piccoli progetti scientifici. E questo in prossimità della Capanna Gorda, dove si può pernottare. In un’epoca in cui parliamo tanto di spazio con il James Webb o altri osservatori terrestri irraggiungibili per molti, avere un osservatorio in Ticino di tale portata sarà un’occasione unica per “toccare con mano” l’astronomia nelle nostre bellissime Alp

In Ticino c’è una comunità vivace di appassionati di astronomia, ma anche professionisti

In Ticino, infatti, ci sono numerosi appassionati di astronomia, e questo anche grazie al lavoro di associazioni che propongono attività aperte al pubblico. Insomma, per chi volesse avvicinarsi a questo affascinante settore le proposte non mancano...
«Sì, in Ticino c’è una comunità vivace di appassionati, ma anche professionisti. I diversi punti di osservazione per i quali la SAT (Società Astronomica Ticinese) fa da cappello, propongono serate pubbliche, conferenze, corsi di astronomia, e attività per le scuole. L’astronomia è uno di quei campi che unisce: non serve essere scienziati per emozionarsi guardando Saturno al telescopio o per lasciarsi stupire da una Via Lattea limpida in cielo. Credo che offrire occasioni di incontro sotto le stelle sia un modo bellissimo per avvicinare le persone alla scienza. Ma non solo: è anche uno strumento per sensibilizzare la popolazione a problemi quali la perdita dei cieli bui e della diversità delle specie a causa dell’inquinamento luminoso, e stimolare la riflessione e le attività per salvaguardare l’ambiente».

Lei ha conosciuto un percorso professionale particolare. Da infermiera ad astrofisica. Come e perché è scoppiata questa scintilla?
«Il filo rosso della mia vita è sempre stata la curiosità. Da ragazza, dopo diversi anni di volontariato in ambulanza (ai tempi ancora ad Ascona) ho scelto di fare l’infermiera perché sentivo questo un lavoro utile e vicino alle persone. Ma sono una persona molto competitiva e ho sempre puntato in alto: dopo aver guardato per la prima volta attraverso un piccolo telescopio, aver visto gli anelli di Saturno e quattro delle lune di Giove, e aver realizzato che di quello che sta lassù non ne sapevo assolutamente nulla, ho accolto la sfida di soddisfare questa mia curiosità tramite gli studi universitari. Quindi, il giorno dopo aver finito scuola infermieri, ho seguito quella scintilla e mi sono rimessa a studiare, intraprendendo un percorso che sembrava folle: diventare astrofisica. Il primo anno del Bachelor non è stato facile, ma credo che la vita sia troppo breve per non seguire i propri sogni. Oggi sono felice e orgogliosa di questo percorso, del coraggio che ho trovato. Sono anche incredibilmente grata delle esperienze che ho potuto fare grazie a queste due carriere».