Attacco sulla residenza di Putin: «Già pronta una rappresaglia»

La pace torna ad allontanarsi. Già, ma quale pace? I già fragilissimi equilibri negoziali tra Mosca e Kiev oggi hanno subito un nuovo scossone. E la tempistica di questo ribaltamento non può certo essere definita casuale. Domenica, infatti, quindi solo poche ore prima, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, reduce dal vertice di Mar-a-Lago con il suo omologo americano Donald Trump, aveva parlato ai media di un accordo completato al 95%. Una percentuale molto alta, che neppure il tycoon si era sentito di confermare. Lui si era limitato a parlare di un accordo vicino, ma aveva pure accennato alla complessità dell’operazione. Nelle scorse ore la dimostrazione pratica di tutta questa complessità. Mentre lo stesso Zelensky ancora stava analizzando l’esito del vertice del giorno precedente, il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov accusava Kiev: «Hanno tentato di attaccare la residenza di Stato di Putin con 91 droni, tutti distrutti». E poi ancora: «La Russia non lascerà senza risposta l’attacco dei droni ucraini alla residenza presidenziale russa».
«Tutti all’erta»
La situazione si fa, quindi, se possibile, sempre più complessa. Anche perché non è chiara la natura di questo presunto attacco. La Russia ha subito accusato l’Ucraina dell’attacco alla residenza ufficiale di Putin nella regione di Novgorod. Mentre l’Ucraina ha negato ogni responsabilità, parlando di un pretesto trovato da Mosca per far saltare i negoziati e rendere, di fatto, inutili mesi e mesi di chiacchiere diplomatiche. Lo stesso Lavrov ha rivelato che la Russia avrebbe già determinato gli obiettivi e il momento della rappresaglia. «Gli obiettivi per i colpi di rappresaglia e il momento in cui verranno inferti dalle forze armate russe sono stati definiti». Ma non solo, naturalmente. Già, perché il ministro degli Esteri ha anche aggiunto: «Data la degenerazione definitiva del regime criminale di Kiev, che è passato a una politica di terrorismo di Stato, la posizione negoziale della Russia sarà rivista». Zelensky continua a negare: «Una menzogna». E la rivendicazione del Cremlino? «Un modo per minare i progressi nei colloqui di pace dopo l’incontro di domenica». Il leader ucraino prova a leggere tra le parole di Lavrov e dice: «Stanno semplicemente preparando il terreno per effettuare nuovi attacchi, probabilmente sulla capitale e probabilmente sugli edifici governativi». L’allarme: «Tutti devono stare all’erta ora, assolutamente tutti. Potrebbe essere effettuato un attacco alla capitale, soprattutto perché Putin ha detto che sceglierà obiettivi pertinenti». E non ci sarebbe nulla di più pertinente della residenza governativa dell’odiato Zelensky, a questo punto.
Menzogne
E gli Stati Uniti? Putin ha informato Trump dell’attacco, o presunto attacco, annunciando di aver cambiato posizione sull’accordo di pace. La reazione del presidente americano, stando a quanto dichiarato dal consigliere del Cremlino, Yuri Ushakov, è stata di choc. «Il presidente degli Stati Uniti è rimasto letteralmente indignato e ha affermato che non poteva nemmeno immaginare azioni così folli». Zelensky, dal canto suo, ha parlato con il cancelliere tedesco Friedrich Merz, aggiornandolo sui negoziati di Mar-a-Lago, ma anche sulla questione del giorno, del presunto attacco alla residenza di Putin. E poi ha detto: «L’Ucraina fa tutto il possibile perché ci sia la pace, la Russia deve smettere di inventare come combattere e iniziare a pensare a come ripristinare la sicurezza». Da un’accusa di invenzioni all’altra, dalla sponda russa del conflitto, la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, ha accusato a sua volta Kiev di mentire. «Zelensky mente». Non mentirebbe, a suo dire, solo sull’attacco alla residenza di Putin, ma anche su altri eventi del conflitto, dai bambini rapiti agli orrori di Bucha. Un’accusa particolarmente pesante, questa, visto cos’ha rappresentato quella strage nella narrazione della guerra d’aggressione scatenata da Mosca.
Garanzie per 15 anni
Tornando un attimo ai negoziati di domenica, oggi Zelensky ha parlato approfonditamente ai media dei contenuti delle discussioni. Gli Stati Uniti, tanto per cominciare, avrebbero proposto garanzie di sicurezza per un periodo di 15 anni, ma Kiev non ha nascosto di aspettarsi di più: 50 anni. Zelensky pretende un impegno, da parte dell’Occidente, che possa scoraggiare fino in fondo future nuove aggressioni da parte della Russia. E che possa garantire all’Ucraina un buon lasso di tempo per ricostruire e ripartire. Il presidente ha ripetuto, ancora una volta, che «senza garanzie di sicurezza adeguate, questa guerra non finirà». Il Cremlino, sempre domenica, aveva analizzato il punto dal proprio osservatorio: finché gli europei ambiranno a inviare forze militare a protezione dell’Ucraina – aveva detto Lavrov –, la guerra non potrà finire. Sul Donbass, però, la soluzione appare ancora più lontana. Il presidente ucraino, in un’intervista a Fox News, ha infatti spiegato: «La gente vuole la pace. L’87% degli ucraini sostiene la pace, ma allo stesso tempo l’85% è contrario al ritiro dal Donbass. Ciò significa che tutti vogliono la pace, ma una pace giusta». Ha quindi aggiunto: «Non è una novità che la Russia desideri il Donbass. Nei loro sogni vorrebbero che noi non esistessimo affatto sul territorio del nostro Paese. Ma noi abbiamo la nostra terra, la nostra integrità territoriale, il nostro Stato e i nostri interessi. Agiremo in conformità agli interessi dell’Ucraina». La strada per la pace è ancora lunghissima.
