Trasporti

Basta aereo, l'Europa vuole sviluppare l'alta velocità

I leader del settore ferroviario hanno presentato un piano ambizioso per unire le principali città del continente – Ma le difficoltà (e i paradossi) non mancano
Marcello Pelizzari
06.07.2022 16:30

Lo scorso 29 giugno, i leader del settore ferroviario si sono ritrovati a Lione, in Francia. Sul tavolo un piano ambizioso, forse irrealizzabile. Raddoppiare l’uso dell’alta velocità entro la fine del decennio e triplicare i livelli attuali entro il 2050. L’obiettivo? Unire le principali città dell’Unione Europea fornendo così un’alternativa rapida, confortevole e, soprattutto, sostenibile all’aereo.

L’Europa, per certi versi, parte avvantaggiata. Dispone già di migliaia e migliaia di chilometri dedicati all’alta velocità. Tuttavia, gli sforzi e gli sviluppi – in questi anni – sono rimasti confinati nelle singole nazioni. Pensiamo alla Francia e al mitico TGV, oppure all’Italia o ancora alla Spagna. Il motivo, beh, è legato ai conflitti, talvolta inevitabili, fra Paesi. Della serie: chi paga cosa? A chi vengono assegnati i contratti? Le linee transnazionali realizzate, per contro, sono finite nel tritacarne delle pressioni politiche e della troppa burocrazia. Minandone la resa effettiva.

I successi nazionali non bastano

Ora, dicevamo, i leader del settore – la Comunità delle ferrovie europee, l’industria ferroviaria europea, ALLRAIL ovvero le ferrovie non statali, la Commissione Europea – si sono riuniti e impegnati in un nuovo studio. Dal quale emerge, con chiarezza, il vantaggio nell’allestire una rete ferroviaria ad alta velocità capace di collegare le capitali europee e altre città importanti. Il gruppo, fra le altre cose, dovrà dirimere una questione stringente. La più stringente di tutte: chi pagherà le decine di migliaia di chilometri di nuove linee. Appare chiaro, ad ogni modo, come una trasformazione del sistema possa aiutare l’Unione a raggiungere il suo obiettivo di neutralità carbonica entro il 2050.

Molto, al momento, è già stato fatto. Ma nella maggior parte dei casi, appunto, parliamo di storie di successo esclusivamente nazionali: il collegamento fra Barcellona e Madrid, o fra Milano e Roma, tratta spesso battuta anche dai ticinesi. Moltissimo, però, resta da fare.

Il problema inglese

Lo sviluppo futuro, è inevitabile, sta creando non poche discussioni. A quali rotte internazionali dare precedenza? Quali città collegare? Ne va del disegno stesso dell’Europa che verrà. C’è chi, anche a giusta ragione, preferisce mantenere un profilo basso, al grido «la promessa di una rete del genere è impossibile da soddisfare nei tempi previsti». Altri, al contrario, partono proprio dalle reti nazionali consolidate per immaginare (e disegnare) i passi successivi. La Francia, in questo senso, si è portata avanti investendo in nuovi collegamenti con le nazioni vicine: Belgio, Germania, Regno Unito e Spagna. Altri, pensiamo all’Inghilterra, rischiano il paradosso. Londra è già collegata a Parigi tramite l’Eurostar sotto la Manica, ma la rete europea non verrà collegata alla High Speed Line 2 in costruzione, che consentirà spostamenti più veloci lungo l’asse Londra, Birmingham, East Midlands, Leeds, Sheffield e Manchester.

Secondo gli esperti, il ruolo di locomotiva – in tutti i sensi – verrà assunto dalla Germania, anche per questioni geografiche trovandosi al centro del continente. Nel frattempo, anche a Est si stanno muovendo alcune cose: la Repubblica Ceca sta collaborando con l’industria francese per sviluppare nuove linee a 350 chilometri orari e che, di riflesso, permetteranno di raggiungere più facilmente l’Austria, la Polonia e la stessa Germania.

Un ICE tedesco. © Shutterstock
Un ICE tedesco. © Shutterstock

Gli ostacoli naturali

A contrastare questo piano, ambizioso, ci sono ostacoli naturali come le Alpi. A tal proposito, Innsbruck e Monaco di Baviera confidano nella galleria di base del Brennero (apertura prevista per il 2032) per un accesso più rapido all’Italia. Ma, ora come ora, è l’aereo a dominare su determinate tratte. Nonostante la distanza, in linea d’aria, sia relativamente corta. Secondo i dati dell’UE, diciassette delle venti rotte aeree più trafficate coprono distanze inferiori ai 700 chilometri. Con l’infrastruttura giusta, i treni potrebbero subentrare e permettere collegamenti più veloci, più puliti e, ribadiamo, più sostenibili in termini di emissioni. Diverse organizzazioni ambientaliste, a tal proposito, hanno spiegato che i voli all’interno dell’Unione Europea al di sotto dei mille chilometri si traducano, in un anno, in 28 milioni di tonnellate di CO2.

Proprio la CO2, o meglio il suo addebito, rappresenta la chiave per finanziare gli sviluppi della ferrovia: attualmente le emissioni in eccesso di aerei, camion e automobili sono tassate a 50 euro per tonnellata nell’Unione Europea. La cifra potrebbe salire a 80 euro per tonnellata. Se una parte di queste entrate venisse reinvestita negli aggiornamenti ferroviari (diciamo il 10%) sul piatto vi sarebbero fondi extra per portare a termine nuove linee.

Lo sforzo, però, andrà fatto anche nell’ambito del digitale. Ad esempio, creando una piattaforma unica, a livello europeo, per la biglietteria.

Come la Cina? Sì, ma...

La sfida, concludendo, è titanica: unire oltre venti Paesi, che finora hanno viaggiato con sensibilità, obiettivi e budget differenti. Il tutto tenendo presente il contesto attuale e ribadendo che il settore ferroviario è stato duramente colpito e segnato dalla pandemia. Si stima che le ferrovie europee, nell’insieme, abbiano perso oltre 52 miliardi di dollari negli ultimi due anni. L’esempio da seguire sarebbe quello della Cina, capace in pochi anni di costruire una rete capillare ed estesa. Ma il paragone, anche pensando al sistema politico, difficilmente regge.

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