Battaglia all’ultimo voto alla Camera sulla riforma fiscale di Donald Trump

Se, al Senato, alla fine, è servito il sì decisivo del vicepresidente JD Vance - cui la Costituzione assegna la carica di presidente della Camera alta - nell’altro ramo del Congresso americano il percorso verso l’approvazione del disegno di legge sui tagli fiscali sarà legato alla presenza in aula di ogni singolo deputato. E a un numero minimo di defezioni nel campo repubblicano.
I 220 seggi occupati attualmente dal Grand Old Party non garantiscono, infatti, al presidente Donald Trump, il varo sereno e rapido del provvedimento. Tutt’altro: in Campidoglio si annuncia, perciò, una battaglia all’ultimo voto. E i malumori, nella maggioranza, sono moltissimi. Bastano 4 dissidenti per far saltare in aria la manovra, un esito che ovviamente la Casa Bianca intende in ogni modo scongiurare.
Due gruppi principali tra i repubblicani stanno esprimendo obiezioni serrate al Big Beautiful Bill trumpiano, così come licenziato dal Senato: da una parte, i cosiddetti “falchi fiscali”, contrari a ogni aumento del debito nazionale e del deficit federale; dall’altra parte, chi contesta - anche per ragioni squisitamente elettorali - i drastici tagli ai programmi di assistenza sanitaria e di sostegno sociale.
Esito incerto
Fino alla tarda serata di ieri (il pomeriggio inoltrato nella East Coast, ndr), non era chiaro se questi rilievi potessero o meno ritardare, se non addirittura bloccare, l’approvazione finale del disegno di legge. L’unica cosa certa è che la “Commissione per le regole” della Camera dei rappresentanti, nella notte tra martedì e mercoledì aveva dato il suo via libera con un voto di 7 a 6 e con due repubblicani - Chip Roy, deputato eletto nel distretto 21 in Texas, e Ralph Norman, eletto nel distretto 5 in South Carolina - in dissenso dal proprio partito.
Lo stesso Roy, parlando ai giornalisti dai gradini del Campidoglio poco prima di mezzogiorno (le 18 in Ticino), ha detto che ci sono abbastanza repubblicani «in questo momento» intenzionati a cambiare il disegno di legge e a inviarlo a una commissione per risolvere le differenze con il Senato, facendo capire come i voti alla Camera per andare avanti non fossero sufficienti. Ciò non solo spingerebbe il voto finale oltre la scadenza del 4 luglio fissata dal presidente Trump, ma minaccerebbe addirittura di far deragliare del tutto il provvedimento. «Il Senato non ha l’ultima parola su tutto - ha detto Roy - Dobbiamo risolvere il problema».
L’incertezza ha spinto lo stesso presidente a chiedere ai propri parlamentari di serrare i ranghi. Con un post su Truth, il social medium di sua proprietà, Donald Trump ha difeso il progetto di legge con una raffica di messaggi, non rinunciando ovviamente al caratteristico modo di comunicare, ricco di enfasi e di certezze, oltre che di punti esclamativi, di citazioni di sé in terza persona e di parole scritte in lettere maiuscole.
«Nessuno vuole parlare di CRESCITA, che sarà la ragione principale per cui il Big Beautiful Bill sarà uno degli atti legislativi di maggior successo mai approvati - ha scritto il presidente americano - Questa crescita è già iniziata a livelli mai visti prima. Trilioni di dollari vengono ora investiti negli Stati Uniti, più che mai. Allo stesso modo, centinaia di miliardi di dollari di tariffe stanno riempiendo le casse del Tesoro. I soldi dei dazi sono già arrivati e stanno stabilendo nuovi record! Stiamo rendendo più grande la nostra via d’uscita dal pasticcio di Sleepy Joe Biden, che lui e i democratici ci hanno lasciato, e sta accadendo molto più velocemente di quanto chiunque pensasse possibile».
Gli USA, ha continuato, faranno «una fortuna quest’anno, più di tutti i nostri concorrenti, ma solo se il Big Beautiful Bill sarà APPROVATO! Come si suol dire, Trump ha avuto ragione su tutto, e questo è la cosa più facile di tutti da prevedere. Repubblicani, non lasciate che i democratici della sinistra radicale vi prendano in giro. Abbiamo tutte le carte e le useremo. L’anno scorso l’America era una nazione “MORTA”, senza speranza per il futuro, e ora è la “NAZIONE PIÙ ATTRAENTE (hottest, ndr) DEL MONDO!” RENDI L’AMERICA DI NUOVO GRANDE!».
Il dettaglio delle norme
Ma che cosa contiene, davvero, il Big Beatiful Bill? E perché scatena l’opposizione feroce dei democratici e non pochi dubbi tra gli stessi repubblicani? In sostanza, il disegno di legge estende circa 3.800 miliardi di dollari di tagli fiscali decisi da Trump durante il primo mandato nel 2017 e aggiunge nuovi sgravi promessi in campagna elettorale, soprattutto sulle mance e sugli straordinari. Destina, inoltre, circa 175 miliardi di dollari alla sicurezza delle frontiere e all’applicazione delle norme sul contrasto all’immigrazione, mentre aggiunge altri 150 miliardi di dollari in nuove spese militari. Di converso, per finanziarsi, taglia drasticamente due importanti programmi federali di sicurezza: Medicaid, che fornisce assistenza sanitaria agli americani poveri e disabili; e il Supplemental Nutrition Assistance Program (SNAP), che aiuta le persone ad acquistare cibo con i cosiddetti “buoni pasto”.
Secondo il Congressional Budget Office (CBO), l’agenzia parlamentare creata con il Budget Act del 1974 per «fornire informazioni obiettive e imparziali a sostegno del processo di bilancio del Congresso», il disegno di legge così come votato dal Senato aggiungerebbe almeno 3.300 miliardi di dollari al debito nazionale, oltre 900 miliardi in più di quanti erano stati deliberati dalla Camera in prima lettura. Il Big Beatiful Bill, spiega ancora il CBO, prevede 1.100 miliardi di dollari di tagli all’assistenza sanitaria - quasi mille miliardi soltanto a Medicaid - e potrebbe far perdere, entro il 2034, l’assicurazione sanitaria a 11,8 milioni di americani.
Gli esperti del Budget Lab at Yale, il centro di ricerca sulle proposte di politica federale per l’economia americana della storica università di New Haven, nel Connecticut, hanno pubblicato tre giorni fa un rapporto nel quale spiegano come il disegno di legge distribuisca i suoi benefici in modo «sproporzionato». Una volta entrato in vigore, il quinto più povero di tutti i percettori di reddito negli USA vedrebbe diminuire i propri redditi annuali, al netto delle imposte, in media del 2,3% entro il prossimo decennio, mentre il quinto più ricco vedrebbe, all’opposto, un aumento di circa il 2,3%. In media, ciò si tradurrebbe in circa 560 dollari di perdita per chi dichiarasse un reddito minimo o nullo entro il 2034 e in oltre 118 mila dollari di guadagno per chi, invece, guadagnasse oltre 3 milioni. Per questo, Martha Gimbel, co-fondatrice del Budget Lab at Yale, ha descritto la misura votata dal Senato come «altamente regressiva».
L’analisi dei ricercatori di Yale è stata in qualche modo confermata dall’Urban-Brookings Tax Policy Center, un istituto di ricerca indipendente di Washington, secondo il quale una persona che guadagna 217 mila o più dollari all’anno riceverebbe, in media, un taglio delle tasse di 12.500 dollari, mentre una persona che guadagna 35 mila dollari o meno vedrebbe un taglio medio delle tasse di circa 150 dollari.
«Stiamo osservando l’atto legislativo più costoso probabilmente dagli anni ’60 - ha detto ieri alla Reters Jessica Riedl, ricercatrice senior del Manhattan Institute, uno dei più noti think tank conservatori degli USA - Il pericolo è che il Congresso stia accumulando trilioni di nuovi prestiti in aggiunta ai deficit che stanno già aumentando. La manovra ridurrà anche la quantità di entrate fiscali che il Paese raccoglie per decenni, dando probabilmente il via a un cambiamento sismico nella traiettoria fiscale della nazione e aumentando il rischio di una crisi del debito».