Berlino, agosto 1961: sorge il Muro, beffarda ipocrisia delle dittature

«Nessuno ha intenzione di costruire un muro!» («Niemand hat die Absicht, eine Mauer zu errichten!»): questa celebre esclamazione, pronunciata da Walter Ulbricht il 15 giugno 1961 durante una conferenza stampa in una Berlino tesa come una corda di violino, ma nella quale si può ancora passare da est a ovest, pesa fino a oggi come un monito contro l’ipocrisia delle dittature. Il Muro di Berlino che «nessuno ha intenzione di costruire» compare due mesi dopo, il 13 agosto.
Mentre Ulbricht esclama quella frase, i progetti per il Muro sono pronti da mesi nei cassetti della Germania est, li ha voluti lui. Il mondo non lo sa, non lo sanno neppure i sovietici, che controllano ogni cosa, nella Germania orientale.
Gli uomini della Germania est
Come Otto Grotewohl, del quale abbiamo parlato nel precedente articolo, Ulbricht è uno dei dirigenti delle sinistre tedesche esiliati in Unione sovietica per fuggire dal nazismo. È un uomo in vista: intorno a lui ruota un gruppo di una decina di politici, attivisti e intellettuali, il «Gruppo Ulbricht». Sono uomini-chiave con i quali sorge in Germania est la Repubblica democratica tedesca.
Ulbricht sale alla guida del partito dominante, nato dalla fusione tra comunisti e socialdemocratici, la SED. Wilhelm Pieck, fuori dal Gruppo Ulbricht ma con una storia personale analoga, diventa presidente del nuovo Stato. Pieck muore nel 1960 e la carica di presidente viene abolita. La funzione passa di fatto al capo della SED: così, Ulbricht diventa l’uomo forte della Germania est, mentre a Mosca, morto Stalin, si consolida il potere di Nikita Chruščëv.
Le relazioni tra le due parti della Germania divisa dipendono dagli umori di Stati uniti e Unione sovietica. Finita la guerra contro il nazismo, tra le due superpotenze comincia la contesa sul controllo del territorio tedesco. Lo status di Berlino è una pietra d’inciampo. Secondo i patti siglati a Potsdam nel 1945, la città è frazionata tra le quattro potenze vincitrici. I tre settori occidentali, controllati da Stati uniti, Francia e Regno unito, vengono unificati e la città resta divisa in due emisferi: est e ovest.
Crescono le tensioni: il vertice tra USA e URSS
Le tensioni crescono, la frontiera tra le due Germanie è già chiusa, nel resto del territorio, ma a Berlino il passaggio da un settore all’altro resta libero. Sin dal 1958 Mosca insiste: vuole cancellare i patti di Potsdam e impadronirsi di tutta Berlino. Lo spicchio occidentale della città, libero dai lacci del comunismo, è una vetrina di benessere per i cittadini dell’Est e una via di fuga insopportabile per il regime.
A gennaio 1961 John Fitzgerald Kennedy entra in carica come presidente degli Stati uniti. La sua politica è chiara: se l’Occidente cede alle pressioni di Mosca e lascia cadere Berlino ovest nelle mani dei sovietici, crolla l’incastellatura di sicurezza costruita in Europa alla fine della guerra. Ulbricht deve fermare l’emorragia di cittadini dell’Est che fuggono verso la libertà a Berlino ovest, o il suo Stato tedesco orientale si svuoterà di abitanti e di significato.
Come fare? Sembra strano, oggi, ma Chruščëv, a Mosca, in quel momento non vuole il Muro di Berlino. Non bisogna dimenticare la battaglia ideale che in quegli anni divide l’Unione sovietica dall’Occidente capitalista: i dirigenti comunisti sono certi che entro pochi anni il loro sistema sociale prevarrà. Gli Stati capitalisti falliranno, pensano. Agli occhi dei sovietici, rendere impenetrabile la frontiera tra i due sistemi sarebbe una sconfitta. Nei Paesi comunisti il tenore di vita supererà quello del mondo capitalista; i cittadini dell’Est smetteranno di fuggire verso l’Ovest – anzi, prevedono i sovietici: dall’Ovest, gli abitanti cominceranno a migrare all’opposto verso l’Est, attratti dai successi del comunismo.
I successi non si vedono, la gente se ne va
Nella Germania orientale, in realtà, di successi non vi è traccia: a quindici anni dalla fine della guerra, all’Ovest la vita riprende slancio, ma all’Est mancano i generi di prima necessità, il regime diventa sempre più aggressivo e calpesta le libertà fondamentali. Il parco auto dà la misura del divario: in Germania ovest tornano a circolare le grandi marche tedesche di sempre, mentre per le strade della Germania est arrancano le prime Trabant.
Per la retorica dell’Est – con un frasario che sentiamo ancora oggi – ad attirare i cittadini dell’Europa orientale verso Occidente è la restaurazione del fascismo, che travia le popolazioni offrendo un benessere illusorio.
Ricerche recenti, dopo l’apertura degli archivi russi, permettono di ricomporre la sequenza di decisioni che sfocia nella costruzione del Muro di Berlino. «Resta molto da studiare, non sappiamo cosa troveremo ancora» dice Stefan Karner, uno degli storici che hanno lavorato sui documenti, curatore del saggio sul vertice del 1961 tra USA e URSS. I tratti della vicenda emergono già con chiarezza.
I primi incontri segreti: chi vuole il Muro?
L’esodo dalla Germania est all’Ovest continua. Ulbricht perde la pazienza: nel gennaio 1961, ordinando segretezza assoluta, forma un gruppo per progettare un «baluardo antifascista» che impedisca all’Occidente di sottrarre uomini e donne alla costruzione dello Stato comunista. La realtà è più prosaica: i cittadini dell’Est non credono più al regime; il «baluardo» non serve a proteggerli dalle tentazioni dell’Ovest, ma a impedire che fuggano tutti, decretando la fine dello Stato tedesco orientale.
Per realizzare il progetto, Ulbricht raduna tecnici e funzionari di Stato. «Alcuni nostri ufficiali vennero trasferiti, sparirono, non se ne seppe più nulla» racconta Heinz Schäfer, ufficiale di polizia della Germania est. Non sono scomparsi: sono stati chiamati nel gruppo segreto che progetta il Muro di Berlino. I sovietici sanno qualcosa, ma i tedeschi non rivelano i particolari. Ulbricht è consapevole che rischia una brutta fine, se Chruščëv, a Mosca, scopre il progetto, al quale resta contrario.
Il vertice di Vienna e la sorpresa dei sovietici
Nel giugno 1961 Kennedy incontra Chruščëv a Vienna. Dietro i sorrisi, le posizioni divergono: l’Unione sovietica pretende tutta Berlino; per gli Stati uniti Berlino ovest non si cede, gli accordi di Potsdam non si ridiscutono. Lo status della città non è una questione tedesca: concerne gli equilibri di potenza installatisi alla fine della guerra. Chruščëv, allora, cambia idea: ordina che funzionari sovietici e tedesco-orientali si riuniscano, per organizzare la chiusura del confine tra i due settori di Berlino.
Al primo incontro con i dirigenti della Germania est, i funzionari sovietici non credono ai loro occhi: i tedeschi hanno già preparato tutto, hanno già procurato persino il filo spinato. È il piano elaborato in gran segreto da Ulbricht sin da gennaio. Ora può svelarlo a Chruščëv: al mito che nell’Est nascerà una società vincente su quella capitalista, tanto che le fughe dal comunismo cesseranno, anzi si fuggirà dal capitalismo, non crede più nessuno, forse nemmeno lui. Anche Chruščëv si convince che l’unica strada è fermare con la forza l’esodo dall’Est. Così, l’Unione sovietica decide e sovrintende la costruzione del Muro di Berlino, escogitato da Ulbricht.
Il Muro spezza la città in poche ore
È la sera inoltrata del 12 agosto 1961. Fa caldo, è un sabato come tanti. Tra le due parti della città la circolazione è libera, c’è chi va in visita a parenti e amici nell’Est. Si nota qualche movimento insolito. Qualcuno capisce e si affretta a rientrare all’Ovest. Nella sua tragicità, la costruzione del Muro è un successo organizzativo impressionante: entro le sei di domenica mattina, 13 agosto, il confine tra le due parti della città è tracciato e compaiono le prime reti di filo spinato. Qualcuno dall’Est riesce a infilarsi tra le falle della rete non ancora completa: sono le prime fughe della storia del Muro. In breve tempo, la recinzione viene sostituita da mattoni e cemento.
Tram, autobus e metropolitane si fermano a metà corsa, sul confine tra le due mezze città, senza una logica. I telefoni tra Berlino est e ovest sono staccati già da dieci anni: per parlare con i loro congiunti nell’altra metà della città, i berlinesi usano un precario ponte radio organizzato dalle Poste. Da quel giorno, e per lunghi anni, sarà difficile sapere cosa succede davvero, anche ai propri cari, nella parte opposta della metropoli.
«Non volevo più servire quello Stato»
Tra i racconti di cosa significa la notte dal 12 al 13 agosto a Berlino c’è quello di Traugott Renz, agente di polizia della Germania est, di guardia al confine in quelle ore. Vede una madre e una figlia, l’una sul lato est corre per superare lo sbarramento e raggiungere l’altra, sul lato ovest. Renz dovrebbe fermarla, ma rifiuta. Intervengono allora degli ufficiali, che separano le due donne, lasciandone una di qua e l’altra di là del confine. Per l’insubordinazione, Renz viene processato. «In quel momento – ricorda – capii che avevo chiuso: non volevo più servire quello Stato». Lui stesso fuggirà in Occidente.
A organizzare la logistica che permette di saldare in poche ore il confine tra le due Berlino c’è un funzionario nemmeno cinquantenne, Erich Honecker. L’efficienza che dimostra quella notte gli varrà l’ascesa ai piani alti dello Stato, sinché scalzerà di sella proprio il capo supremo che del Muro era stato l’ideatore, Walter Ulbricht: è la tragica, beffarda ironia delle autocrazie.
Questo approfondimento fa parte di una seria curata dal ricercatore indipendente Luca Lovisolo in esclusiva per CdT.ch. Per leggere la prima puntata clicca qui. Per leggere la seconda puntata clicca qui. Per leggere la terza puntata clicca qui.