Vaticano

«Bisogna difendere il dono della vita»: ecco che cosa ha detto Papa Francesco

Nel tradizionale messaggio di Pasqua il pontefice ha scelto parole e simboli di speranza, citando anche i conflitti dimenticati
© MASSIMO PERCOSSI
Red. Online
31.03.2024 16:15

Si è affacciato alla Loggia centrale della Basilica di San Pietro. Il tradizionale messaggio nel giorno di Pasqua prima della benedizione Urbi et Orbi, già. Come la sera della Veglia, Francesco si è schiarito la voce. Ma ha letto il testo da cima a fondo. Aggiungendovi, di tanto in tanto, considerazioni personali e frasi – diciamo così – improvvisate. Dettate dal momento, insomma. La riflessione del Papa è stata scandita e inframezzata dagli applausi dei tanti fedeli accorsi. Erano fra 50 e 60 mila, secondo le stime. 

Il primo, primissimo pensiero di Francesco è andato alle guerre in corso. A ciò che sta succedendo in Ucraina e a Gaza. Alla sofferenza. «Mentre invito al rispetto dei principi del diritto internazionale, auspico uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina: tutti per tutti» ha detto. «Inoltre, faccio nuovamente appello a che sia garantita la possibilità di accesso agli aiuti umanitari a Gaza, esortando nuovamente a un pronto rilascio degli ostaggi rapiti il 7 ottobre scorso e a un immediato cessate il fuoco nella Striscia». E ancora: «Il mio pensiero va soprattutto alle vittime dei tanti conflitti che sono in corso nel mondo, a cominciare da quelli in Israele e Palestina, e in Ucraina». 

Il Papa ha celebrato la messa in piazza San Pietro. Terminata la messa, ha compiuto diversi giri sull’auto scoperta per salutare le tante, tantissime persone che riempivano il Colonnato del Bernini e le strade tutte intorno. Nel suo messaggio, per forza di cose, il Papa ha evocato il luogo e, di rimando, l'evento più importati per i cristiani: «Oggi volgiamo anzitutto lo sguardo verso la Città Santa di Gerusalemme, testimone del mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù e a tutte le comunità cristiane della Terra Santa». 

Detto ciò, la preoccupazione di Francesco si è rivolta altresì all'Europa e, allargando il campo, all'intero mondo: «Non permettiamo che le ostilità in atto continuino ad avere gravi ripercussioni sulla popolazione civile, ormai stremata, e soprattutto sui bambini. Quanta sofferenza vediamo nei loro occhi. Hanno dimenticato di sorridere, i bambini, in quella terra di guerra. Con il loro sguardo ci chiedono: perché? Perché tanta morte? Perché tanta distruzione? La guerra è sempre un’assurdità e una sconfitta. Non lasciamo che venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo. Non si ceda alla logica delle armi e del riarmo. La pace non si costruisce mai con le armi, ma tendendo le mani e aprendo i cuori».

Nel giorno di Pasqua, come la sera della Veglia a San Pietro, Francesco ha scelto parole e simboli di speranza, nonostante «le guerre che dilagano nel mondo» e i «crimini» del «terrorismo». Oggi, ha proseguito, «la Chiesa rivive lo stupore delle donne che andarono al sepolcro all’alba del primo giorno della settimana», il giorno della Risurrezione appunto: «La tomba di Gesù era stata chiusa con una grossa pietra; e così anche oggi massi pesanti, troppo pesanti chiudono le speranze dell’umanità. Il masso della guerra, il masso delle crisi umanitarie, il masso delle violazioni dei diritti umani, il masso della tratta di persone umane, e altri ancora. Anche noi, come le donne discepole di Gesù, ci chiediamo l’un l’altro: “Chi ci farà rotolare via queste pietre?”». Tuttavia, «la pietra, quella pietra così grande, è stata già fatta rotolare, lo stupore delle donne è il nostro stupore: la tomba di Gesù è aperta ed è vuota». E di nuovo: «Da qui comincia tutto. Attraverso quel sepolcro vuoto passa la via nuova, quella che nessuno di noi ma solo Dio ha potuto aprire: la via della vita in mezzo alla morte, la via della pace in mezzo alla guerra, la via della riconciliazione in mezzo all’odio, la via della fraternità in mezzo all’inimicizia».

L'elenco dei dolori è lungo. Francesco, pur ricordando soprattutto Ucraina e Gaza, ha evocato anche i tanti, troppi conflitti dimenticati. «Non dimentichiamoci della Siria, che da quattordici anni patisce le conseguenze di una guerra lunga e devastante. Tantissimi morti, persone scomparse, tanta povertà e distruzione aspettano risposte da parte di tutti, anche dalla comunità internazionale». Di più, «il mio sguardo va oggi in modo speciale al Libano, da tempo interessato da un blocco istituzionale e da una profonda crisi economica e sociale, aggravate ora dalle ostilità alla frontiera con Israele. Il Risorto conforti l’amato popolo libanese e sostenga tutto il Paese nella sua vocazione ad essere una terra di incontro, convivenza e pluralismo». 

Francesco ha citato poi i Balcani occidentali, «dove si stanno compiendo passi significativi verso l’integrazione nel progetto europeo». Con una precisa raccomandazione: «Le differenze etniche, culturali e confessionali non siano causa di divisione, ma diventino fonte di ricchezza per tutta l’Europa e per il mondo intero». Allo stesso modo, «incoraggio i colloqui tra l’Armenia e l’Azerbaigian, perché, con il sostegno della comunità internazionale possano proseguire il dialogo, soccorrere gli sfollati, rispettare i luoghi di culto delle diverse confessioni religiose e arrivare al più presto ad un accordo di pace definitivo». 

Francesco, in definitiva, ha pregato per le persone che nel mondo «patiscono violenze, conflitti, insicurezza alimentare, come pure gli effetti dei cambiamenti climatici». E ha pregato affinché «il Signore doni conforto alle vittime di ogni forma di terrorismo: preghiamo per quanti hanno perso la vita e imploriamo il pentimento e la conversione degli autori di tali crimini». Il Papa ha citato il popolo di Haiti e chiesto, anche per l'isola caraibica, che «cessino quanto prima le violenze che lacerano e insanguinano il Paese, affinché esso possa progredire nel cammino della democrazia e della fraternità». E poi ancora i Rohingya, «afflitti da una grave crisi umanitaria», il popolo perseguitato che incontrò nel 2017, nella speranza di una «riconciliazione in Myanmar, lacerato da anni di conflitti interni, affinché si abbandoni definitivamente ogni logica di violenza». E poi l’Africa, con l'auspicio di vie di pace «specialmente per le popolazioni provate in Sudan e nell’intera regione del Sahel, nel Corno d’Africa, nella Regione del Kivu nella Repubblica Democratica del Congo e nella Provincia di Capo Delgado in Mozambico». Il tutto pregando che finisca «la prolungata situazione di siccità che interessa vaste aree e provoca carestia e fame». 

Infine, Francesco ha lanciato un ultimo appello: «Il Risorto faccia risplendere la sua luce sui migranti e su coloro che stanno attraversando un periodo di difficoltà economica, offrendo loro conforto e speranza nel momento del bisogno. Cristo guidi tutte le persone di buona volontà a unirsi nella solidarietà, per affrontare insieme le molte sfide che incombono sulle famiglie più povere nella loro ricerca di una vita migliore e della felicità». Nel giorno in cui «celebriamo la vita che ci è donata nella risurrezione del Figlio», il Papa ha chiesto espressamente di difendere «il prezioso dono della vita, tanto spesso disprezzato. Quanti bambini non possono nemmeno vedere la luce? Quanti muoiono di fame o sono privi di cure essenziali o sono vittime di abusi e violenze? Quante vite sono fatte oggetto di mercimonio per il crescente commercio di essere umani?». L'esortazione finale è rivolta a «quanti hanno responsabilità politiche» affinché «non risparmino sforzi nel combattere il flagello della tratta di esseri umani, lavorando instancabilmente per smantellarne le reti di sfruttamento e portare libertà a coloro che ne sono vittime».

«Possa la luce della risurrezione illuminare le nostre menti e convertire i nostri cuori, rendendoci consapevoli del valore di ogni vita umana, che deve essere accolta, protetta e amata» ha concluso il Papa.