Giappone

Carne di balena nei distributori automatici: ed è polemica

Kyodo Senpaku, le cui navi ogni anno sono protagoniste di controverse spedizioni nell'Oceano Antartico, crede che la pietanza debba e possa tornare sulla tavola dei giapponesi – Gli attivisti rilanciano: «Tentativo disperato di sostenere l'industria della caccia»
© SHUJI KAJIYAMA
Marcello Pelizzari
24.01.2023 21:00

Carne di balena. In vendita presso i distributori automatici, nella speranza che il consumo di questa pietanza aumenti. È successo, succede, in Giappone. E la polemica, letteralmente, è servita.

La colpa, in questo senso, è di Kyodo Senpaku, le cui navi ogni anno sono protagoniste di controverse spedizioni nell’Oceano Antartico. Ecco, dopo un primo esperimento alla fine del 2022 Kyodo ha deciso di aprire i suoi primi punti vendita di kujira, la carne di balena per dirla con i giapponesi, a Tokyo.

I distributori vendono una varietà di prodotti a base di balena, comprese alcune scatolette contenenti carne di cetaceo importata dall’Islanda. I prezzi? Da mille a tremila yen. Fra i 7 e i 21 franchi svizzeri circa.

Quando se ne mangiava tanta

La carne di balena, un tempo, diciamo nel Dopoguerra, era una fonte di proteine importante in Giappone. Un Paese, all’epoca, confrontato con la scarsità di cibo. I consumi di questa pietanza, tuttavia, calarono negli anni Sessanta quando altri tipi di carne – dal maiale al pollo, passando per il manzo – divennero più popolari e, soprattutto, convenienti.

Nel 1962, secondo il Ministero dell’Agricoltura, della Silvicoltura e della Pesca, i giapponesi divorarono 233 mila tonnellate di carne di balena. Tonnellate che, nel 2021, erano appena mille.

Kyodo Senpaku, nonostante ciò, dopo il test svolto a fine 2022 crede fermamente che il prodotto possa avere una nuova vita. E questo al netto dei prezzi, piuttosto alti se consideriamo che parliamo di distributori automatici.

D’accordo, ma chi nell’anno di grazia 2023 mangerebbe ancora carne di balena? A quanto pare vecchi nostalgici, desiderosi del classico viaggio lungo il sentiero della memoria à la Proust, ma anche giovani curiosi.

Ma piace o no?

La mossa di Kyodo, evidentemente, non piace agli attivisti. Secondo cui il ritorno in pompa magna della carne di cetaceo è un «tentativo disperato» di «sostenere l’industria della caccia alle balene», volendo citare le parole dell’associazione Whale and Dolphin Conservation. Un’industria in declino in Giappone, ma non ancora morta, anzi. Tant’è che, nel 2020, è stata sussidiata dal governo con 5 miliardi di yen. Non solo, l’Agenzia per la pesca giapponese vorrebbe allargare le quote di cattura da qui ai prossimi due anni e, ancora, irrobustire l’elenco di specie che possono essere cacciate.

La stampa locale, ad ogni modo, ha riferito che i prodotti messi in vendita sono piaciuti. «Mio padre – le parole di Miki Yamanaka al quotidiano Yomiuri Shimbun – ha mangiato tatsuta-age (carne di balena fritta, ndr) con uno sguardo nostalgico sul viso, e mio figlio maggiore al liceo è un fan della bistecca di balena cucinata con salsa di soia».

L’azienda, a tal proposito, per soddisfare la domanda aprirà un terzo distributore a Yokohama e, addirittura, prevede di arrivare a 100 macchinette operative in tutto il Giappone nei prossimi cinque anni.

Che cosa dice la legge

Il rapporto del Giappone con le balene è, eufemismo, quantomeno problematico. Nel 2014, la Corte di giustizia internazionale aveva ordinato al Paese di interrompere il suo massacro annuale nell’Oceano Antartico (900 cetacei) dopo aver concluso che la caccia non aveva, al contrario di quanto affermavano i giapponesi per sfuggire sempre più alle leggi internazionali, «carattere scientifico».

Cinque anni più tardi, Tokyo ha annunciato la sua uscita dalla Commissione internazionale per la caccia alle balene (IWC) specificando che avrebbe ripreso la caccia per fini commerciali nelle sue acque costiere.  

L’IWC, ricordiamo, aveva varato una moratoria sulla caccia commerciale alle balene nel 1986, consentendo però al Giappone – ogni inverno – di catturare balene nell’Oceano Antartico.

Quest’anno, il governo nipponico ha fissato a 379 la quota di balene (tre le specie) che possono essere cacciate. Il tutto mentre i balenieri, da anni, si lamentano che la loro industria è in seria difficoltà.

I distributori automatici, non a caso, sono sostenuti dai politici più conservatori che, da tempo immemore, accusano l’Occidente di voler imporre una sorta di imperialismo culinario. La tradizione della carne di balena risale al periodo Edo (1603-1868) mentre Kyodo Senpaku, annualmente, fornisce alle scuole circa 100 tonnellate di carne di balena per i pranzi dei bambini.

Una sordità rispetto alle critiche, al buonsenso ma anche alle leggi internazionali che spaventa, e non poco, gli attivisti. Ma non solo.