Italia

C'era una volta la Milano da bere

A un'ora dal Ticino, la città vive un momento di crescita senza precedenti ed è meta turistica sempre più gettonata – Ma aumentano diseguaglianze sociali, speculazioni e infiltrazioni mafiose
Gino Banterla
05.05.2024 17:00

«Milano rinasce ogni mattina, pulsa come un cuore. Milano è positiva, ottimista, efficiente. Milano è da vivere, sognare e godere. Milano da bere». Dalla fortunata campagna televisiva dell’amaro Ramazzotti, ideata dal pubblicitario Marco Mignani nel 1985, i giornalisti attinsero alcuni anni dopo il titolo d’innumerevoli articoli sulla società milanese dominata dal «craxismo»: era la «Milano da bere» nel periodo di maggior fortuna politica del segretario del PSI Bettino Craxi, caratterizzato da un diffuso benessere accompagnato da un rampantismo sfrontato dilagante in ogni settore, da uno sfrenato consumismo, dal marketing elevato a valore assoluto dell’economia meneghina.

Un film metteva alla berlina la DC

Un particolare curioso: Mignani fu anche ideatore per conto della DC, in occasione delle elezioni politiche del 1987, del motto «Forza Italia», lanciato con un efficace spot televisivo: «Forza Italia, fai vincere le cose che contano, vota Democrazia Cristiana». Non era una novità. «Forza Italia» era anche il titolo di un dissacrante documentario del 1977 firmato da Roberto Faenza. Pochi riuscirono a vedere quel film, che metteva ferocemente alla berlina alcuni leader della DC denunciando il disinvolto modo di fare di quel partito, perché la pellicola venne ritirata dalle sale per disposizione del Ministero dell’Interno in seguito al sequestro Moro, salvo essere diffusa in videocassetta una quindicina d’anni dopo, quando Silvio Berlusconi fondò l’omonimo partito. Questo singolare intreccio diede in qualche modo inizio a una lunga serie di contaminazioni - di linguaggio e di sostanza - tra politica, giornalismo, marketing che continuano ancor oggi.

Le grandi imprese industriali

La «Milano da bere», che si lasciava alle spalle tranne alcuni tragici rigurgiti - gli anni del terrorismo, si dissolse come una bolla di sapone nel 1992 con Tangentopoli e con la caduta in disgrazia di Craxi. E segnò al tempo stesso la fine di un felice periodo storico che ebbe il suo apice tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, quando pionieri illuminati - nonostante due guerre mondiali - fondarono le grandi imprese industriali che richiamarono nella metropoli centinaia di migliaia di lavoratori.

La città - che al momento dell’unificazione dell’Italia non contava neppure 250.000 abitanti - ha saputo via via meritarsi e declinare nei diversi modi il titolo di «capitale», seguendo l’onda di un progresso che l’ha vista diventare punto di riferimento internazionale. Capitale inizialmente industriale, poi capitale del commercio, della finanza, della chimica, dell’editoria (Hoepli, Treves, Baldini & Castoldi, Mondadori, Rizzoli, Mursia, Feltrinelli). Capitale morale, intendendosi con questa definizione, non soltanto una contrapposizione etica con la Roma della politica corrotta, ma anche una funzione di guida nella costruzione di una società moderna. E ancora: capitale dell’innovazione, dell’hi-tech, dell’informatica, della moda, del design di alta qualità. E delle idee. Già lo affermava Gaetano Salvemini: «Quello che pensa oggi Milano, domani lo penserà l’Italia». O, ricordando un vecchio detto popolare caro a Carlo Dossi: «Milàn dis, Milàn fa». Quello che Milano dice, Milano fa, con il sottinteso di un modo di agire concreto e deciso.

Speculazioni finanziarie e immobiliari

Oggi è ancora così? Come vive la metropoli i tormentati anni Venti del XXI secolo, sui quali soffiano sempre più forti i venti di guerra sull’onda delle trasformazioni dettate dalla globalizzazione e dai conseguenti mutamenti degli assetti geopolitici?

Diciamolo subito: Milano è profondamente cambiata. Ha perso, strada facendo, molti di quei valori che ne hanno costituito la grandezza. Ha tante anime in contrapposizione una con l’altra. Vive profonde divisioni sul piano sociale, etico, politico, economico, persino culturale, quando la cultura dovrebbe essere il collante di uno sviluppo solidale che non si misura con i numeri del PIL. Negli ultimi anni è stata attraversata da speculazioni finanziarie ed immobiliari che hanno arricchito pochi e impoverito molti, lasciando spazio all’indifferenza di fronte a una società che vede drammaticamente allargarsi la forbice delle diseguaglianze.

La metropoli tuttavia, dopo aver ospitato Expo 2015, gode di una crescita senza precedenti, dotandosi di servizi e infrastrutture che ne fanno una capitale europea fortemente attrattiva dal punto economico, finanziario, culturale e turistico. Al tempo stesso ecco la faccia nascosta della luna: è diventata attrattiva anche per la malavita organizzata, in particolare la ’ndrangheta, con infiltrazioni nei settori edilizio, finanziario, istituzionale. Per rendersi sommariamente conto della vastità di questa piaga e dell’impressionante serie d’inchieste della magistratura basta digitare su Google la voce ’ndrangheta in Lombardia.

Le Olimpiadi invernali del 2026

Proprio questo è il rischio che corre la città di fronte agli investimenti previsti per i prossimi anni, alcuni dei quali in vista di quelle strampalate Olimpiadi invernali 2026, organizzate con Cortina d’Ampezzo, al centro di crescenti polemiche. Un recente rapporto dell’Istituto di ricerche e studi «Scenari immobiliari» e di Unipol censisce una trentina di grandi progetti, sette dei quali già avviati, destinati a rigenerare la metropoli soprattutto nelle periferie ex-industriali. Per citarne alcuni: gli scali ferroviari Romana e Farini, l’ex-Innocenti, il Parco della Lambretta, la «Magnifica Fabbrica» che ospiterà i laboratori della Scala, il Campus internazionale dell’Istituto europeo di design, il campus dove troveranno posto le Civiche scuole e un bosco urbano, l’ex-area Alfa Romeo, la Biblioteca europea a Porta Vittoria. Dice il presidente di «Scenari immobiliari» Mario Breglia: «Il passato ci ha lasciato tanti vuoti: fabbriche dismesse, aree ferroviarie, complessi destinati ad uffici non più adeguati. Non solo le normative ma anche l’etica impongono di non consumare, se non in casi eccezionali, il terreno verde, ma di operare e trasformare le aree urbanizzate non più utilizzate o abbandonate». Sacrosanto principio. Riusciranno questi e altri investimenti urbanistici e immobiliari a resistere alle infiltrazioni di una criminalità organizzata che agisce con mezzi sempre più sofisticati, sulla quale il nuovo procuratore di Napoli Nicola Gratteri lancia ogni giorno il suo accorato allarme? Recentemente la trasmissione Report di Raitre condotta da Sigfrido Ranucci ha messo in luce un fatto inquietante: una sorta di patto d’affari a Milano tra «cosa nostra», ‘ndrangheta e camorra.

Un fermento di investimenti

La Grande Milano è tutta un fermento d’investimenti, ma c’è una città sommersa esclusa da questa euforica modernizzazione. È la Milano sofferente degli ultimi, delle classi più povere. La città di Sant’Ambrogio vanta un primato antico e glorioso riguardante le istituzioni e gli enti operanti nel campo assistenziale e sociale, una storia popolata da grandi personaggi e da umili cittadini uniti dall’ideale della solidarietà. A partire già dai tempi degli Sforza e di Carlo e Federico Borromeo, la città ha dato vita a una serie infinita d’iniziative. Questa tradizione è continuata e continua oggi, sotto diverse forme ma con lo stesso spirito, di fronte alle trasformazioni del mondo globalizzato. Così, mentre aumentano le persone in coda per visitare il Duomo o per vedere le mostre di Palazzo Reale o le grandi collezioni d’arte, prima fra tutte Brera, assistiamo oggi all’allungarsi di ben altre code davanti alle mense dei poveri: migliaia di donne e uomini di ogni età, milanesi e immigrati, in cerca di un piatto di minestra. Davanti a questa umanità dolente possiamo dire almeno questo: la «Milàn dal coeur in man» non è morta.