Il caso

Che cosa faranno i ladri con i gioielli rubati al Louvre?

Per essere rivendute, le pietre preziose saranno tagliate, così da non essere riconoscibili – Ma trovare un buon tagliatore potrebbe non essere semplice: ne parliamo con la gemmologa Sibilla Rezzonico
© Reuters
Federica Serrao
21.10.2025 19:45

Che cosa faranno i ladri con i gioielli rubati dal Louvre? Questa è la domanda che molti, in questi giorni, si sono posti. Nel furto, sono stati sequestrati otto gioielli - tutti risalenti al XIX secolo e un tempo appartenuti alla famiglia reale francese, o a sovrani imperiali. Tra questi, un diadema, una collana e un orecchino di zaffiri della regina Marie-Amélie e della regina Hortense. Ma anche una collana di smeraldi e un paio di orecchini – sempre di smeraldo – della parure di Marie-Louise, seconda moglie di Napoleone Bonaparte. E persino due spille appartenute all'Imperatrice Eugenia, così come la sua tiara persa dai ladri durante la fuga. 

Si tratta, come sottolineato più volte in questi giorni, di gioielli e pietre preziose dal valore inestimabile. Impossibili da rivendere nello stato in cui si trovano. «Il diamante è molto riconoscibile», ci spiega la gemmologa Sibilla Rezzonico. «Di questi gioielli rubati, soprattutto, esistono foto anche dell'interno, le inclusioni: una sorta di impronta digitale. Ogni gioiello ha la sua, che lo rende riconoscibile». Proprio per questo motivo, come spiega l'esperta, per rivendere questi oggetti è necessario ritagliarli, affinché non siano più identificabili. «Ritagliando il gioiello, si perde parte del prodotto, che ha poi meno valore», ma proprio grazie a queste «modifiche» - tagliando le inclusioni e rendendo quindi meno riconoscibile il maltolto - i ladri potrebbero riuscire a rivendere il bottino più facilmente.  

Una misura non a prova di bomba, sottolinea l'esperta. «Non è detto che il gioiello non sia più riconoscibile. Alcune inclusioni sono molto particolari e anche se tagliate posso aiutare l'identificazione». Proprio per questo motivo, si pensa che alla base del furto ci sia un'organizzazione che sa come «muoversi». «Tra i gioielli rubati, ci sono anche una collana e un paio di orecchini di smeraldi. Una pietra molto delicata, dato che nasce nei corsi d'acqua e ha molte inclusioni acquifere. Se viene ritagliato, lo smeraldo rischia di scoppiare. Dunque ci vuole un buon tagliatore: non è un processo che può fare chiunque», osserva la gemmologa. 

E non è tutto. «Secondo alcune teorie, la corona dell'imperatrice Eugenia» che i ladri hanno perso poco lontano dal Louvre, «sarebbe stata in realtà abbandonata volutamente, perché i diamanti che la compongono sono troppo piccoli da ritagliare». Questo perché il taglio antico di questi gioielli, sottolinea l'esperta, già non dà la massima brillantezza. «Invece delle tipiche 57 faccette, questi gioielli ne hanno un numero inferiore, il che rende il ritorno di luce non ottimale». Un ulteriore taglio peggiorerebbe le cose: «Questi diamanti sono talmente piccoli che per ritagliarli in maniera ottimale, lo scarto sarebbe talmente tanto da non rendere più nemmeno vantaggioso rivenderli».

Due ipotesi

Le strade, insomma, sono sostanzialmente due. «O il furto è stato commissionato da un ricco mandante, che ha il solo scopo di tenere questi gioielli per sé, oppure è stato orchestrato da un'organizzazione complessa, che ruba e ritrasforma i gioielli per poi rivenderli». Una teoria, quest'ultima, che sta diventando sempre più popolare, soprattutto tra gli esperti di gemme. «Da un lato, fondere i metalli e togliere le pietre è un processo velocissimo, che si può fare senza creare danni. La parte difficile è trovare buoni tagliatori, che abbiano gli strumenti giusti e sappiano come ritagliare», spiega Sibilla Rezzonico. È probabile, insomma, che i ladri sapessero già che tipo di pietre avrebbero rubato, dal momento che per ognuna di queste esiste una foto dell'interno, quindi delle inclusioni. «La pietra, poi, va ritagliata a seconda di come sono posizionate le inclusioni. Magari di una pietra se ne fanno tre, oppure si cerca di mantenere la caratura maggiore. Dunque una pietra più grande, piuttosto che tante piccole, che insieme fanno la stessa caratura». 

Modificare questi gioielli, rendendoli irriconoscibili, insomma, è un procedimento molto complesso, che richiede molta conoscenza delle operazioni. «Alle nostre latitudini è difficile trovare qualcuno che possa ritagliare questi diamanti», confessa la gemmologa. «I migliori tagliatori si trovano a Tel Aviv: è un lavoro di tradizione, non è così evidente trovare qualcuno che possa occuparsene». Un aspetto non trascurabile, che porta gli esperti del settore a pensare che chi ha rubato i gioielli sapesse già a chi rivolgersi per trasformarli.

Ma c'è di più. «I diamanti, ora, sono certificati» con il sistema di riconoscimento e classificazione dell'Istituto gemmologico americano. «Quindi, oltre ad avere la già citata impronta digitale delle inclusioni, posseggono un numero identificativo sulla cintura, fatto con il laser». I gioielli rubati, va da sé, non l'hanno, e non potranno averlo. Diventeranno, al contrario, «diamanti rivenduti, molto probabilmente senza certificazioni». O, per lo meno, non con certificazioni autorevoli.

In questo articolo: