Stati Uniti

Che cosa significa, per l'America, avere un Congresso diviso?

Con i repubblicani al controllo della Camera e i democratici al Senato, il rischio di un blocco legislativo è concreto
© AP
Marcello Pelizzari
17.11.2022 10:00

Ora è ufficiale: la Camera è nelle mani repubblicane. Addio, dopo quattro anni, al controllo democratico, con il partito di Joe Biden che manterrà il Senato. Gli Stati Uniti, dunque, per i prossimi due anni almeno avranno un Congresso diviso. Che cosa significa? E che cosa devono aspettarsi i cittadini americani? Per noi, in Europa, cambierà qualcosa?

Il rischio di blocco

La prima, logica constatazione è che per il Partito Democratico – ora – sarà molto più difficile portare avanti (e a termine) l’agenda legislativa. È vero, da quando Biden è presidente la Camera ha approvato alcuni progetti di legge importanti, fra cui la legge sulle infrastrutture, forte di un sostegno bipartisan. Tuttavia, secondo gli analisti la nuova maggioranza repubblicana difficilmente sarà accomodante e, di riflesso, difficilmente vorrà consegnare altre vittorie politiche a Biden. All’orizzonte, infatti, ci sono le presidenziali del 2024. Il rischio di un cosiddetto blocco legislativo, insomma, è reale.

Le ambizioni repubblicane

Rovesciando la questione, è certo che ogni ambizione legislativa sul fronte repubblicano – vista anche la maggioranza molto ristretta – finirebbe per schiantarsi. Anche se i repubblicani riuscissero a far approvare qualcosa alla Camera, infatti, l’eventuale disegno di legge fallirebbe in Senato. Ergo, il lavoro dei repubblicani nei prossimi due anni si concentrerà sulle indagini e sulla supervisione.

Per dire: ancora prima che chiudessero i seggi, martedì scorso, i repubblicani avevano già annunciato piani bellicosi. Delineando piani per avviare indagini sull’amministrazione Biden e sui membri della famiglia del presidente. I temi? Il ritiro, caotico, dall’Afghanistan, ma anche i rapporti d’affari extra-USA del figlio Hunter.

Quanto alla supervisione, alcuni esponenti di estrema destra hanno minacciato di sfruttare la nuova maggioranza per ritardare le proposte di legge già agendate, come l’aumento del tetto del debito. In sostanza, si tratta dell’importo massimo che il governo può prendere in prestito. Se non venisse alzato, beh, l’economia americana potrebbe avere problemi. In cambio del loro sostegno, alcuni repubblicani vorrebbero prima ricevere garanzie sulla spesa pubblica. Della serie: potremmo vederne delle belle.

A livello internazionale, invece, in ballo potrebbero esserci gli aiuti militari all’Ucraina. «Non un altro centesimo andrà a Kiev» ha dichiarato a tal proposito la deputata Marjorie Taylor Greene.

Chi dopo Nancy Pelosi?

Altro punto: chi sarà il prossimo speaker della Camera? Ovvero, chi sostituirà Nancy Pelosi? La risposta più ovvia sarebbe Kevin McCarthy, leader della minoranza repubblicana alla Camera dal 2019. Ma, stando ai bene informati, non godrebbe di un ampio sostegno all’interno del Partito. La frangia più a destra dei repubblicani, in questo senso, preferirebbe Andy Biggs dell’Arizona.

Gli ordini esecutivi

Joe Biden, sul lavorare di concerto con i repubblicani, è parso piuttosto fiducioso. D’altronde, nei suoi anni in Senato si era distinto per la sua capacità di raggiungere sempre e comunque il compromesso. Detto ciò, negli ultimi mesi Biden ha criticato aspramente la controparte repubblicana e, in particolare, Donald Trump e suoi seguaci. «Donald Trump e i repubblicani MAGA (Make America Great Again, ndr) rappresentano un estremismo che minaccia le fondamenta stesse della nostra repubblica» aveva detto il presidente a settembre. Apriti cielo.

D’altro canto, il controllo del Senato darà ai democratici la possibilità di gestire le nomine giudiziarie e, quindi, di insediare più giudici liberali in posti chiave. Qualora si aprisse un altro seggio alla Corte Suprema nei prossimi due anni, vi sarebbe la possibilità per il Partito di piazzare un giudice democratico.

Non bisogna dimenticare neppure la possibilità, per Biden, di firmare ordini esecutivi. Secondo il Presidency Project dell’Università della California, citato dal Guardian, il presidente ne ha firmati oltre 100 da quando è in carica. Che cosa sia un ordine esecutivo è presto detto: in alcuni casi, il presidente stesso può agire come un legislatore ed emanare appunto un ordine esecutivo. Gli ordini esecutivi vengono emessi per aiutare il ramo esecutivo a svolgere i propri compiti e hanno valore di legge e possono rivelarsi utili quando è necessaria un'azione urgente.  Uno degli ordini esecutivi più famosi nella storia degli Stati Uniti fu l’Emancipation Proclamation emanato dal presidente Abraham Lincoln nel 1863, che dichiarava liberi gli schiavi che partecipavano alle rivolte contro gli stati dell’Unione.

Biden ha utilizzato gli ordini esecutivi per ribaltare alcune delle politiche più controverse di Trump e per avanzare proposte progressiste che altrimenti si sarebbero bloccate al Congresso. Con i repubblicani ora al controllo della Camera, il presidente potrebbe usufruire più frequentemente della sua penna esecutiva.

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